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Cari amici,
invio alla vostra cortese attenzione, la locandina di un primo incontro che è stato inserito in un ciclo di seminari promosso in collaborazione dal Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena di Venezia e dal Centro Interdipartimentale di Studi Balcanici e Internazionali dell'Università Ca' Foscari di Venezia, che ha come tema principale:

"La Costruzione del passato nel presente: ricordare, restaurare, archiviare nel mondo globale"
Il passato nel presente : Come diverse società presentano il proprio passato? Quali sono le pratiche del ricordo, ma anche di r estauro, ricostruzione, ricerca e divulgazione ed archiviazione attraverso le quali culture diverse interpretano il passato, proprio od altrui? Come queste pratiche si intrecciano con lo scambio e la circolazione continua di informazione che caratterizza il
mondo contemporaneo globalizzato?

Il ciclo, a cui prenderanno parte studiosi provenienti da vari paesi ed esperienze, sarà ripreso con una frequenza settimanale verso metà aprile e si concluderà verso inizio giugno, e si terrà presso la sede veneziana del Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena. Il programma verrà comunicato prossimamente.

Grazie per la cortese attenzione,
Minas Lourian
Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena
Venezia

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Turchia: accordo Obama-leader Congresso per non votare risoluzione genocidio

ultimo aggiornamento: 06 marzo, ore 11:47

Washington, 6 mar. - (Adnkronos/Washington Post) - L'amministrazione Obama ha raggiunto un accordo con i leader del Congresso per non mettere ai voti alla Camera dei rappresentanti la risoluzione approvata due giorni fa dalla commissione Esteri in cui viene definito "genocidio" il massacro degli armeni compiuto ai temi dell'Impero ottomano. Lo scrive il "Washington Post", citando una fonte dell'amministrazione, all'indomani della grave crisi diplomatica scoppiata tra Stati Uniti e Turchia a causa di quel voto che, hanno avvertito i leader di Ankara, rischia di compromettere i rapporti e la collaborazione tra i due Paesi.
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E' stata la lobby filoisraeliana a determinare il voto sul genocidio armeno Londra, 6 marzo - Stando al quotidiano arabo Al Quds Al Arabi è stata la lobby filoisraeliana che ha giocato un ruolo di primo piano nell'influenzare il voto della Commissione esteri della Camera dei rappresentanti Usa, spingendo i membri della Commissione ad approvare il documento che definisce come genocidio commesso dalla Turchia l'uccisione di armeni avvenuta durante gli anni del primo conflitto mondiale.

Secondo il giornale i sostenitori di Israele, che per anni hanno appoggiato le istanze di Ankara negli Stati Uniti, hanno voluto in questo modo "punire" il governo turco per le sue recenti coraggiose prese di posizione circa l'operato israeliano nella striscia di Gaza.

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7/03/2010

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La risoluzione della Commissione affari esteri del Congresso americano, che ha definito “genocidio” i massacri commessi dai turchi ai danni degli armeni nel 1915, è stata probabilmente favorita dall’azione della lobby israeliana a Washington, come misura di ritorsione per il raffreddamento dei rapporti fra Ankara e Tel Aviv – sostiene il giornalista palestinese Abd al-Bari Atwan

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Non è da escludere che la lobby israeliana negli Stati Uniti abbia giocato un ruolo di primo piano nel voto della Commissione affari esteri della Camera dei rappresentanti a favore della risoluzione che accusa la Turchia di aver commesso un genocidio contro gli armeni nel 1915. Ciò sarebbe avvenuto anche grazie alle esortazioni della lobby armena a compiere questo passo, e attraverso il suo forte appoggio dietro le quinte.

E’ evidente che le relazioni turco-israeliane stanno registrando un crescente deterioramento, dopo che il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha assunto una posizione di condanna nei confronti dell’ultima aggressione israeliana a Gaza, ed ha chiesto di porre fine all’ingiusto assedio della Striscia, e di fermare le operazioni di pulizia etnica e culturale che Colpiscono i palestinesi ed i loro luoghi santi nei Territori palestinesi occupati.

La lobby israeliana ha una forte influenza sul Congresso americano, e si era sempre schierata a fianco della Turchia, e contro la lobby armena. Tuttavia, dopo le nuove posizioni assunte dalla Turchia in merito alla questione palestinese, la lobby israeliana ha cominciato a cambiare le proprie alleanze adottando politiche ostili ad Ankara.

La risoluzione della Commissione del Congresso, che ha vinto per un solo voto (23 a 22), giunge come una mossa volta a sabotare gli enormi sforzi di riconciliazione prodigati dalla Turchia nei confronti della vicina Armenia con l’obiettivo di normalizzare i rapporti fra i due paesi e siglare una serie di accordi di cooperazione economica.

Israele ha un grande interesse ad assediare Ankara ed a contrastare i suoi sforzi di allacciare stretti rapporti con i suoi vicini, i quali si distinguono dalla Turchia per storia e religione. Ciò spiega perché sia stata riaperta la ferita della controversia turco-armena, dopo che erano stati fatti grandi
progressi sulla strada della riconciliazione fra i due paesi. La visita del ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman in Grecia e nella metà greca di Cipro, il mese scorso, è un altro tentativo di riattizzare un antico conflitto fra questi due paesi e la Turchia.

La lobby israeliana a Washington ha frequentemente “ricattato” la Turchia negli anni passati, rammentandole di sostenere la posizione turca (in merito alla questione dei massacri degli armeni) attraverso un’azione di contrasto che ha impedito alla forte lobby armena di penetrare il Congresso e di far emettere una risoluzione di condanna nei confronti della Turchia per aver commesso un “genocidio”.

E’ certo che il voto della Commissione affari esteri della Camera dei rappresentanti intende mettere in difficoltà il presidente Barack Obama e la sua amministrazione, compromettendo i suoi rapporti con la Turchia, nel contesto delle pressioni israeliane nei confronti sia della Casa Bianca che di Ankara. Il presidente Obama si era opposto al voto su questa questione, e si era rimangiato la promessa – fatta in passato alla lobby armena – di condannare la Turchia per aver commesso un genocidio ai danni degli armeni, nel caso in cui fosse giunto alla Casa Bianca. In realtà Obama si era spinto ancora oltre, quando aveva scelto Ankara come sua prima tappa nel mondo islamico, e durante la sua visita aveva lodato il modello democratico turco che conferma che non vi è contraddizione fra la democrazia e l’Islam.

Ma gli israeliani dominano il Congresso attraverso il loro gruppo di pressione in America, e non esageriamo se diciamo che il loro controllo del Congresso è quasi maggiore del loro controllo della Knesset. Essi sono riusciti a comprare la maggior parte dei deputati americani, come ha dimostrato la schiacciante condanna della relazione Goldstone da parte del Congresso.

Erdogan è diventato una spina nel fianco di Israele. Mentre Tel Aviv è riuscita ad addomesticare la stragrande maggioranza dei leader arabi – o con il pretesto della comune inimicizia nei confronti dell’Iran, e dei timori condivisi per il programma nucleare di quest’ultimo, o facendosi forte dell’alleato americano – Erdogan è uscito da sotto il mantello di Israele ed è diventato il primo difensore dei diritti dei palestinesi e il censore dei crimini israeliani nella Striscia di Gaza.

Le congiure contro Erdogan e il suo partito non cesseranno. Dopo che è stato smascherato il tentato golpe pianificato da alcuni generali dell’esercito, ecco un altro complotto all’interno del Congresso americano per macchiare l’immagine della Turchia e fomentare la discordia fra Ankara ed il mondo cristiano, riattizzando dispute dimenticate con i suoi vicini a nord e a sud.

Non crediamo che Erdogan si piegherà al ricatto israeliano, in primo luogoperché egli rappresenta un grande paese islamico, e poi perché trae la propria forza da una radicata esperienza democratica (che lo ha portato al governo attraverso le urne elettorali), oltre che dai successi economici senza
precedenti che hanno portato la Turchia al 17° posto fra i paesi economicamente più forti del mondo.

Non crediamo neanche che Erdogan resterà a guardare, di fronte a queste campagne contro la Turchia. Egli ha già obbligato in passato Israele a scusarsi ufficialmente, nell’arco di poche ore, quando aveva minacciato gravi conseguenze se il governo israeliano non avesse presentato queste scuse la sera stessa del giorno in cui gli israeliani avevano umiliato l’ambasciatore turco a Tel Aviv. In precedenza, egli non aveva neanche esitato a contrapporsi al presidente israeliano Shimon Peres quando quest’ultimo aveva mentito e travisato i fatti riguardo all’aggressione israeliana a Gaza, dando la colpa ai palestinesi. In quell’occasione, Erdogan aveva lasciato la sala in segno di protesta.

Ci auguriamo che Erdogan non si accontenti di richiamare il proprio ambasciatore a Washington in segno di protesta contro la risoluzione votata dalla Commissione affari esteri della Camera dei rappresentanti, ma che risponda ricordando al mondo intero i crimini di genocidio commessi dai coloni americani contro gli indiani d’America – gli abitanti originari del paese – o che parli delle due immense stragi perpetrate dall’America democratica, leader del mondo libero, quando sganciò le due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki nel momento in cui la seconda guerra mondiale si era praticamente conclusa a vantaggio degli Alleati. E se i due esempi appena ricordati sono considerati da alcuni come appartenenti ad un passato ormai lontano, basterà ricordare lo sterminio americano di due milioni di iracheni, la metà dei quali morirono sotto l’assedio imposto al regime di Saddam, mentre l’altra metà cadde vittima dell’invasione e dell’occupazione – per non parlare poi dei milioni di vedove, di orfani, e di sfollati; e la lista potrebbe continuare.

Tutti i crimini di sterminio e di pulizia etnica vanno assolutamente condannati, quali che siano le vittime, e quale che sia la religione o l’identità di coloro che li commettono. Ma ciò su cui non siamo d’accordo è il modo selettivo di rapportarsi a questi crimini, e l’utilizzo della condanna di
questi crimini come strumento di pressione e di ricatto, soprattutto da parte del mondo occidentale e del suo alleato israeliano. Gli americani e gli israeliani sono gli ultimi ad avere il diritto di dare lezioni al mondo sui crimini di genocidio.

Le campagne di incitamento contro la Turchia continueranno nei prossimi mesi;
di questo non dubitiamo affatto. Ma ci tranquillizza il fatto che esse potrebbero avere risultati del tutto contrari a quelli voluti, perché uniranno il popolo turco a sostegno dell’attuale governo, e metteranno in luce il livello di ingratitudine mostrato dagli alleati della Turchia nei confronti del loro paese, soprattutto quando la faccenda riguarda Israele. Malgrado i grandi servigi che la Turchia ha fornito per sessant’anni come membro della NATO, a fianco dell’America contro il blocco sovietico, tutto ciò viene messo da parte non appena la Turchia assume una posizione etica che non può non assumere in quanto stato musulmano, decidendo di sostenere i suoi correligionari più deboli e rifiutando le campagne di giudaizzazione dei luoghi santi islamici a Gerusalemme, ad al-Khalil (il nome arabo di Hebron (N.d.T.) ), ed altrove.

Il popolo turco non può dimenticare come è stato tradito dagli europei, che hanno rifiutato l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea sebbene Ankara avesse soddisfatto le condizioni richieste per l’adesione (alcune delle quali sono in contrasto con la religione islamica e con la sharia), mentre essi hanno aperto le porte ad alcuni ex membri del Patto di Varsavia. Allo stesso modo, i turchi troveranno difficile accettare le recenti posizioni americane contro la Turchia, sostenute da Israele.

Erdogan, il discendente degli Ottomani, si è trasformato in un simbolo di fermezza e di giustizia nel suo paese ed in tutto il mondo islamico, e non ci stupiremmo se egli dovesse cambiare la storia della regione così come ha cambiato la storia della Turchia, liberandola dal dominio dei militari, smascherando il razzismo europeo, e ponendo fine all’alleanza di Ankara con uno stato che intende giudaizzare i luoghi santi musulmani e distruggere la moschea di al-Aqsa, ricostruendo al suo posto il tempio di Salomone.

Abd al-Bari Atwan è un giornalista palestinese residente in Gran Bretagna; è direttore del quotidiano “al-Quds al-Arabi”

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da CORRIERE.it del 5/3/2010
Dino MESSINA

Personalmente sono contrario alla storia scritta dagli Stati, com'è avvenuto con i tanti decreti riguardanti la ricerca sul passato, emanati in Francia, e come sta avvenendo negli Stati Uniti, dove la commissione esteri della camera ha detto che "il genocidio degli armeni venne concepito e attuato dall'Impero ottomano tra il 1915 e il 1923". Preludio a una risoluzione del congresso che metterebbe in crisi profondamente i rapporti diplomatici tra Ankara e Washington.
Personalmente sono favorevole all'ingresso della Turchia in Europa e sono convinto che un passo decisivo verso questo processo di integrazione sarebbe compiuto quando Ankara ammettesse che sì, tra il 1915 e il 1923 venne compiuto un massacro del popolo armeno (circa un milione e mezzo le vittime accertate dagli storici più seri) soprattutto attraverso le marce estenuanti cui parteciparono donne e bambini.

Quanto sta avvenendo sulla scena diplomatica va contro i desiderata di un modesto cittadino europeo, convinto come molti cittadini europei che la Turchia possa far parte della Ue per il contributo di lavoro dato, per le dimostrazioni di fedeltà verso gli occidentali, per il fatto che geograficamente è un'espressione europea. Basti pensare ai luoghi natali dei filosofi presocratici, tutti concentrati sulle splendide coste del'Asia Minore.



Sulla questione del genocidio armeno si confrontano due ragion di Stato:
quella americana che deve valutare se rinunciare a molti scambi commerciali e a ualche base Nato in nome di un giudizio storico politicamente corretto, e quella della Turchia, che per il momento ha richiamato l'ambasciatore da Washington "per consultazioni", minacciando altre azioni ostili.
La rigidità del governo turco è dettata da due motivi: innanzitutto il fatto che un'ammissione di colpa potrebbe comportare concessioni territoriali alla piccola e confinante nazione armena. Il secondo motivo è insito nella visione ideologica del kemalismo che permea la nazione dal 1923, da quando Kemal Ataturk fondò la nuova Turchia dalle ceneri dell'impero ottomano, con un processo di occidentalizzazione autoritario ma molto efficace. Sono i fanatici del kemalismo oggi che non vogliono l'abolizione completa dell'articolo di legge che prevede il reato di lesa turchità, in base al quale venne perseguito il premio Nobel Orhan Pamuk. E' altresì l'ala oltranzista del laicismo, a detta
degli osservatori, il principale nemico della democrazia in Turchia, dove l'islamismo costituirebbe un male minore.

Insomma, l'unica revisione storica significativa, che potrebbe sbloccare le cose, anche il processo di integrazione in Europa, dovrebbe venire dalla Turchia. Ma sembra che il cammino sia ancora molto lungo.


Per farsi un'idea dell'argomento qui trattato, consiglio questi tre libri: "Il genocidio degli armeni" di Marcello Flores, uscito nel 2006 dal Mulino, "La masseria delle allodole" di Antonia Arslan (Rizzoli) e la biografia "Ataturk" di Fabio Grassi, edita da Salerno nel 2008.


risposte all'opinionista:

Postato da miniato minas | 05/03/2010
Egregio Messina non ritengo che il mio parere sia più autorevole del suo nonostante possa "vantare" numerosi familiari morti dalla pulizia etnica turco ottomana del '15.
Rivendico però il diritto delle vittime di ricercare caparbiamente, in ogni paese, in ogni circostanza, con ogni mezzo che la democrazia permette che la verità storica prevalga su ipocrisie,affari, lobbismi di cui siamo inspiegabilmente vittime!


Postato da Dino Messina | 05/03/2010
Sono totalmente d'accordo con lei. Tuttavia una cosa è la verità storica e il diritto delle vittime alla verità, un'altra è la verità imposta per legge.
Quanto all'autorevolezza, le cedo volentieri il passo, ricordando una battuta di Enzo Biagi: contano le teste non le testate. In questo caso lei non è soltanto una testa ma un teste, cioè un testimone, e in quanto tale doppiamente benvenuto.

Postato da wolf56 | 05/03/2010
Egregio Messina,
non è un problema di verità da imporre per legge.
In tutte le legislazioni la menzogna è sanzionata e non si capisce perchè uno storico (o uno stato) dovrebbe avere il diritto di affermare il falso diversamente da qualunque altro cittadino (o stato). Il nostro codice civile sanziona la menzogna ed il fatto di essere degli storici (o uno stato) non costituisce una deroga; in altre parole: essere degli storici (o uno stato) non consente di mentire.
In particolare, in Turchia sì, esiste una verità di stato sul genocidio armeno imposta per legge. Il problema si pone unicamente per questo. Perchè uno stato lo nega.
Se il genocidio armeno è un fatto (un fatto NON controverso - a meno che si pensi che un genocidio sia controverso solo perchè chi l'ha commesso lo nega e non oso pensare ad una Germania che si comportasse in questo modo ...), è proprio la negazione di esso da parte di uno stato che dovrebbe muovere gli altri stati a fare qualcosa.
Ovviamente è strano che servano delle leggi per imporre il buon senso. E’ tuttavia comprensibile. Per quanto riguarda il genocidio degli armeni siamo in presenza di un caso nel quale non vi sono semplicemente alcuni individui che negano, bensì uno stato, e a tutti i livelli istituzionali. Non è un caso se dopo la seconda guerra mondiale le leggi più restrittive nei confronti di fascismo e nazismo siano state quelle di Italia e Germania. Si trattava in fondo dei paesi che avevano originato e messo in pratica tali ideologie totalitarie. E così si spiega anche il furore anticomunista delle società che
dell’ideologia comunista hanno fatto un’esperienza reale. Le società si preoccupano di trovare degli anticorpi. L'anticorpo più importante è l’informazione. Un altro è rappresentato dalle leggi. Si tratta di provvedimenti necessari e, ritengo, auspicabilmente transitori. Quando in una società l’orrore per l’accaduto e la volontà di non ripetere tali esperienze diventeranno senso comune (e stabilire quando è certamente frutto di una semplificazione) tali leggi potranno non essere più necessarie: in Germania si potrà discutere del divieto di pubblicare il Mein Kampf (in nome della libertà di informazione) e in Italia di levare le leggi che impediscono agli eredi maschi dei Savoia di tornarvi (come già accaduto, verrebbe da dire purtroppo) o di vietare il saluto fascista (in nome della libertà di espressione).
Inoltre il genocidio continua con la sua negazione. Ritengo pertanto giusto che la negazione di un genocidio sia un crimine. Avrei semmai dei dubbi sulla possibilità di quantificare una pena.
In Turchia la società civile è in alcuni casi più avanti ed in alcuni casi più indietro rispetto alle istituzioni. Vi sono individui che riconoscono apertamente la natura genocidaria degli eventi di inizio novecento e ve ne sono altri che letteralmente uccidono chi non si conforma alla verità dello stato.
Le istituzioni turche perseguitano i primi e si dimostrano incapaci di fermare i secondi. Tanto che qualche dubbio sul fatto che il lavoro sporco sia lasciato ad altri è legittimo (vedi ad esempio le omissioni a tutti i livelli nel caso dell’assassinio e poi dell'inchiesta sull'assassinio del giornalista Hrant Dink).
Che si debbano escludere dei pronunciamenti sul genocidio armeno per non urtare la sensibilità della Turchia è osceno. La storia prima o poi presenterebbe il conto e farebbe pagare caro un errore di questo tipo. Non ho peraltro dubbi sul fatto che dietro il pronunciamento della commissione statunitense possano
esservi motivazioni meno limpide della semplice affermazione della verità.
Non capisco poi la necessità di legare il pronunciamento della commissione con la questione dell'entrata in Europa della Turchia. La commissione non l'ha fatto. Personalmente mi auguro che un giorno una Turchia democratica, e senza ombre che non siano state affrontate nel proprio passato, possa far parte della Comunità europea.

Postato da Dino Messina | 05/03/2010
Il suo è un intervento davvero interessante e complesso, che pone sul piatto tanti problemi. Mi limito a ribadire un punto: Italia e Germania per diventare Paesi democratici non solo si sono dati istituzioni parlamentari e una nuova costituzione, ma hano sentito la necessità di rinnegare il passato dittatoriale, di condannare alcuni crimini come le leggi razziali e il genocidio degli ebrei.
Per quanta riguarda i turchi l'ammissione e la condanna del genocidio armeno dovrebbe il passo necessario per l'acquisizione di una completa democrazia. Ma si tergiversa e poi si dà la colpa alle reticenze di alcuni Paesi Ue.
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da l'OCCIDENTALE del 6 marzo


L’Impero Ottomano non esiste più dal 1918, moltissimi governi si sono succeduti, l’ideologia dominante è cambiata, lo scenario internazionale non è più quello di allora, cinque generazioni sono passate, ma la Turchia ha ancora un grandissimo problema con la sua Storia: non vuole ammettere il genocidio ottomano del popolo armeno, avvenuto nel 1915. Fu il primo tentativo sistematico di annientare un’intera etnia e il suo artefice, il regime nazionalista dei Giovani Turchi, arrivò molto vicino all’obiettivo, uccidendo o provocando la morte per stenti di un milione e mezzo di armeni in appena due anni.

All’inizio del 1915, in piena Prima Guerra mondiale (l’Impero Ottomano intervenne al fianco di Germania e Impero Austro-Ungarico nel novembre del 1914) i Giovani Turchi decisero l’eliminazione fisica totale del popolo armeno.
Nei rapporti di quella riunione del Comitato per l’Unione e Progresso (il partito dei Giovani Turchi) si leggono frasi inequivocabili sulla volontà genocida del governo ottomano: “Siamo in guerra e non potrebbe verificarsi un’occasione migliore per sterminare tutta la popolazione armena. In un momento come questo è estremamente improbabile che vi siano interventi da parte delle grandi potenze e proteste da parte della stampa; e se anche ciò accadesse tutti si troverebbero di fronte ad un fatto compiuto”, disse il segretario esecutivo Nazim.

Hassan Fehmin, altro membro del Cup suggerì la prima mossa: “Siamo nelle condizioni ideali per spedire sul fronte caucasico tutti i giovani armeni ancora in grado di imbracciare un fucile. E una volta là, possiamo intrappolarli e annientarli con facilità, chiusi come saranno tra le forze russe che si troveranno davanti e le forze speciali che piazzeremo alle loro spalle”. E così fecero: i turchi uccisero interi reparti, fedeli sudditi e combattenti nelle file dell’esercito ottomano, solo perché erano costituiti da armeni di nascita. Fu la prima fase dello sterminio, volta a indebolire la resistenza dell’etnia “nemica”, lasciando soli e indifesi gli anziani, le donne e i bambini.

Il genocidio vero e proprio iniziò nell’aprile del 1915, con l’arresto e la fucilazione di attivisti politici e intellettuali. Infine la furia dei nazionalisti si abbatté sulla parte più debole della popolazione. Il più noto (e crudele) documento scritto di questa decisione resta il Telegramma Talaat, dal nome del suo autore, ministro degli Interni e uno dei tre membri più influenti del regime nazionalista assieme a Enver e Djemal Pascià. Nel Telegramma, datato 15 settembre 1915 (dunque a genocidio già in corso da mesi), indirizzato al governatore di Aleppo, si legge: “Siete già stato informato del fatto che il Governo ha deciso di sterminare l’intera popolazione armena (...) Occorre la vostra massima collaborazione (...) Non sia usata pietà per nessuno, tanto meno per le donne, i bambini, gli invalidi (...) Per quanto tragici possano sembrare i metodi di questo sterminio, occorre agire senza alcuno scrupolo di coscienza e con la massima celerità ed efficienza”.

Durante tutta l’estate e l’autunno del 1915, squadre speciali turche, costituite per l’occasione usando criminali liberati dalle galere, deportarono l’intera popolazione dei villaggi armeni. Donne, vecchi e bambini furono incolonnati e fatti marciare per centinaia di chilometri, fino al deserto siriano. Dove infine furono fatti tutti morire di stenti nei campi di concentramento. Il genocidio fu completato entro la fine del 1916. Gli armeni che si salvarono furono quelli che riuscirono a organizzare una resistenza armata, come nel caso del villaggio di Van e nel massiccio montuoso di Moussa Dagh. O quelli che, avendo la fortuna di abitare vicino al fronte, furono salvati dall’avanzata dei russi.

Ebbene: per il governo di Ankara, i rapporti della seduta segreta del Cup, il Telegramma Talaat, i rapporti della Croce Rossa, le lettere degli ambasciatori stranieri, le testimonianze, le proteste dei comandi militari alleati tedesco e austro-ungarico... sono tutti dei “falsi storici”. La storiografia ufficiale turca non arriva a negare l’esistenza dello sterminio, ma la ridimensiona nel numero e nel significato. Nel numero: secondo i libri di Storia non sono morti più di 300mila armeni. Nel significato: viene negato ogni intento di uccidere sistematicamente un popolo e si riduce la tragedia armena a un episodio di guerra, a crimini contro civili commessi da un esercito vicino al fronte, se non addirittura alla necessità di trasferire la popolazione locale in aree più sicure... per proteggerla dai russi. Se poi durante il trasferimento molti sono morti, la colpa non è attribuita all’esercito ottomano, ma solo a bande di predoni curde incontrate durante il percorso. E’ così che ad Ankara e Istanbul si racconta la Prima Guerra Mondiale.

Non è solo un problema storico: in Turchia, chi parla di questo evento epocale, il primo genocidio della storia contemporanea, può essere processato per “lesaturchità” in base all’articolo 301 del Codice Penale. A livello internazionale, invece, genera crisi diplomatiche che si ripresentano ogni anno, più di una volta all’anno, ogni volta che un governo o un parlamento straniero cita quell’eccidio del passato definendolo per quello che è: un genocidio.

Questa volta è toccato agli Stati Uniti, la cui Commissione Affari Esteri della Camera ha approvato, giovedì, una risoluzione che invita il presidente a: “definire in modo preciso lo sterminio sistematico e deliberato di un milione e mezzo di armeni”. La reazione di Ankara non si è fatta attendere: il governo turco ha richiamato l’ambasciatore negli Usa “per consultazioni” e ha condannato la risoluzione approvata a maggioranza nel Congresso a Washington.
Potrebbero non essere le uniche conseguenze: la Turchia, membro storico della Nato, non esclude ritorsioni nel prossimo futuro contro l’alleato statunitense.

L’amministrazione Obama, a dire il vero, non ha dimostrato una grande fermezza in merito. Nonostante la risoluzione sia stata promossa dalla maggioranza democratica che sostiene il presidente, la Casa Bianca ha sempre evitato di usare il termine “genocidio” e aveva invitato la Commissione Affari Esteri a non votare, per non compromettere le relazioni con Ankara. Il deputato Howard Berman (Partito Democratico), però, non ha ceduto alle pressioni del segretario di Stato Hillary Clinton, che gli aveva telefonato all’avvicinarsi della sessione della Commissione: “La Turchia è un alleato vitale e leale – ha dichiarato Berman – ma nulla giustifica la sua cecità davanti al genocidio armeno. La Germania ha accettato le sue responsabilità per l'Olocausto. Il Sudafrica ha creato una commissione per esaminare l'Apartheid. E negli Stati Uniti continuiamo a fare i conti con l'eredità della schiavitù e del terribile trattamento degli indiani d'America. È ora che la Turchia accetti la realtà del genocidio armeno”.

Per il premier Recep Tayyip Erdogan, gli Usa non possono accusare la Turchia “per un crimine che non ha commesso”. Nessuna ammissione di colpa, insomma. E a rischiare di esser compromessi non sono solo i legami fra Washington e Ankara, ma anche i nuovi rapporti, tuttora in fase di normalizzazione, fra Ankara e Erevan, la capitale della piccola Repubblica Armena risorta nel 1991 sulle ceneri dell’Urss. Tra gli ex persecutori e gli ex perseguitati il percorso della riconciliazione è lungo e difficile. Ma non si può accusare il Congresso degli Stati Uniti di averlo interrotto. Il problema è essenzialmente turco.

Il negazionismo nasce con il governo di Kemal Ataturk, che era un ufficiale fedele al governo dei Giovani Turchi e che plasmò la Turchia repubblicana, laica e moderna negli anni ‘20. Demolire il suo mito, per Ankara, vuol dire demolire storicamente le fondamenta della Repubblica. Erdogan non si rifà alla stessa ideologia laica, nazionalista e repubblicana: è un islamico moderato. Ma se dovesse mettere in discussione il fondamento storico repubblicano della Turchia rischierebbe un colpo di Stato molto più di quanto non lo stia rischiando ora.


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San Marino - Una mostra sui genocidi del '900


Inaugurata alla presenza dei capitani reggenti

SAN MARINO - Dal genocidio dimenticato di inizio 900 degli Herero a quello degli armeni del 1915; dalla Shoah fino allo sterminio dei Tutsi in Rwanda nel 1994.

E' stata inaugurata in mattinata, alla presenza dei Capitani Reggenti, Francesco Mussoni e Stefano Palmieri, e dell'ambasciatore d'Italia, Giorgio Marini, la mostra "I genocidi del XX secolo", promossa dalla Commissione nazionale sammarinese per l'Unesco, in collaborazione con il Memorial della Shoah, nell'ambito delle iniziative che celebrano la giornata della memoria del 27 gennaio.

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5 Marzo 2010

IL PRINCIPE CARLO REGALA AI SUOI OSPITI IL LIBRO FOTOGRAFICO "ARMENIA" DI
GRAZIELLA VIGO


Il Principe Carlo d’Inghilterra, dopo aver ricevuto in dono dal ministro Armen Sarkissian il volume fotografico “ARMENIA” di Graziella Vigo, ha dedicato una serata al Castello di Windsor all’Armenia, regalando il libro a tutti gli ospiti eccellenti , armeni arrivati da tutto il mondo con la presenza del Presidente armeno e di Sua Eccellenza il Catholicos Karegin II. Il libro, edito da Skirà in cinque lingue, è stato voluto da Joseph Oughourlian.




Presentazione del libro "La strada di Smirne" di Antonia Arslan di: Vanessa Ioannou

NAPOLI - Ieri, giovedì 4 marzo 2010, alle ore 17,00, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici sito in Via Monte di Dio n. 14, a Napoli, il dott.
Policarpo Saltalamacchia e la prof.ssa Athanasia Athanasopoulou hanno presentato il libro di Antonia Arslan “La strada di Smirne”.

Il libro, pubblicato già nel 2009, è il prosieguo del suo primo romanzo, pubblicato nel 2004, “ La masseria delle allodole”, saga familiare armena che racconta le vicende dei sopravvissuti al genocidio degli armeni, vincitore del Premio Stresa di narrativa, finalista del Premio Campiello e del Premio Fregene.
Nell’opera, scritta con prosa evocativa, magica e poetica, la testimonianza coraggiosa dell’autrice dà spazio alla narrazione delle vicende di un popolo condannato all’esilio, un popolo che si aggrappa alla speranza di una nuova vita, cercando di adattarsi alla nuova realtà, come i figli di Shushanig, otentando di strappare altre vite alla morte, come la lamentatrice greca Ismene.

Era presente l’autrice del libro Antonia Arslan, scrittrice e saggista italiana di origine armena, laureata in archeologia, che è stata professoressa di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova.

L’evento è stato promosso dall’Associazione Italo-Ellenica “La stella di Rodi”, da anni impegnata a coinvolgere nelle diverse manifestazioni dell’ellenismo quanti ne siano appassionati e suoi estimatori, favorendo la conoscenza delle culture differenti.

G.C

 
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