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16 Marzo 2010 - di Vartan Oskanian per il Morning Star
La paralisi del processo di normalizzazione fra Armenia e Turchia, e la mancata soluzione della questione del Nagorno-Karabakh, costituiscono un grave rischio in una regione d’importanza cruciale per la pace euroasiatica – scrive l’ex
ministro degli esteri armeno Vartan Oskanian

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L’attuale crisi tra il primo ministro Recep Tayyip Erdogan e il potente esercito nazionale in Turchia complicherà e ritarderà l’iniziativa turca più coraggiosa degli ultimi anni – la decisione di porre fine a decenni di tensioni con armeni e curdi?

Ridefinire il ruolo dell’esercito turco è vitale, ma se la Turchia non è in grado di portare avanti le aperture nei confronti degli armeni e dei curdi, la situazione interna del paese, le sue relazioni con i due popoli, così come le tensioni nel Caucaso, si aggraveranno di certo. Delle diverse zone di crisi nella regione – compresa la crisi tra Georgia e Russia per l’Ossezia del Sud e
l’Abkhazia – la tensione tra gli armeni e gli azeri per il Nagorno-Karabakh (enclave abitata prevalentemente da armeni, all’interno dell’Azerbaigian (N.d.T.) ) è tra le sfide più impegnative.

Riguardo a Georgia e Russia, la sproporzione di dimensioni e di potere politico a favore di una delle due parti è sufficiente a scoraggiare qualsiasi ricorso alla violenza. Per di più, non ci sono intricate alleanze a complicare la faccenda. La Georgia non è un membro della NATO, e gli Stati Uniti – è evidente – non dichiareranno guerra alla Russia per la Georgia.

La lotta tra armeni e azeri è più instabile. Non è più un braccio di ferro a due, tra due piccole repubbliche ex-sovietiche, ma fa parte di un triangolo tra Armenia, Turchia e Azerbaigian. Questo triangolo è la diretta conseguenza del processo di normalizzazione tra l’Armenia e la Turchia, che ebbe inizio quando i presidenti dei due i paesi si incontrarono ad una partita di calcio.

Questo processo si basa su protocolli per stabilire le relazioni diplomatiche, che sono stati firmati da entrambi i governi ma non sono stati successivamente ratificati da nessuno dei due parlamenti. Il completamento del processo dipende direttamente e indirettamente da come gli armeni e gli azeri riusciranno a risolvere il conflitto del Nagorno-Karabakh.

Questa rabbiosa controversia a tre, se non attentamente districata, può serbare molti pericoli. La Turchia, che per quasi vent’anni ha dichiarato il proprio appoggio all’Azerbaigian, ha apertamente subordinato il riavvicinamento con l’Armenia alle concessioni armene nei confronti dell’Azerbaigian.

La Turchia, un membro della NATO, è dunque un attore di questo conflitto, ormai, e una qualunque esplosione di tensioni militari tra armeni e azeri potrebbe coinvolgerla – provocando eventualmente il coinvolgimento della Russia, o a causa dei suoi accordi bilaterali con l’Armenia, o attraverso la Collective Security Treaty Organization (CSTO, alleanza militare difensiva tra Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e Armenia (N.d.T.) ) di cui Russia e Armenia fanno parte.

Date le preoccupazioni per la sicurezza energetica, qualunque conflitto azero avrebbe una seria ricaduta per l’Europa. Lo stesso Iran ne sarebbe colpito, dato che è uno stato confinante con interessi nella regione.

Gli armeni e gli azeri non si scontrano militarmente da oltre quindici anni. Ma questo è stato possibile solo perché vi è stata la percezione di un equilibrio militare e la speranza che i negoziati in corso avrebbero avuto successo.

Oggi, entrambi questi fattori sono cambiati. La percezione dell’equilibrio militare è stata alterata. Avendo l’Azerbaigian speso smodatamente in armamenti negli ultimi anni, potrebbe essersi convinto di essere in vantaggio. Allo stesso tempo, c’è meno speranza nei negoziati, che sembrano in una fase di stallo, in gran parte perché sono stati collegati al processo di normalizzazione turco-armeno, che pure sembra trovarsi in un limbo.

I protocolli diplomatici in attesa di ratifica da parte dei parlamenti di Turchia e Armenia sono stati vittime delle valutazioni errate di entrambe le parti. Gli armeni sono arrivati a credere che la Turchia avrebbe trovato un modo per riconciliare gli interessi azeri con l’apertura turca nei confronti dell’Armenia, e avrebbe aperto le frontiere con l’Armenia a prescindere dai passi avanti per risolvere la questione del Nagorno-Karabakh. Il problema è che
la Turchia inizialmente aveva chiuso il confine proprio a causa del Nagorno-Karabakh, più che per problemi bilaterali.

Dal canto suo, la Turchia credeva che firmando i protocolli con l’Armenia e manifestando chiaramente la propria disponibilità ad aprire il confine, gli armeni si sarebbero in qualche modo persuasi, o sarebbero stati spinti a risolvere il problema del Nagorno-Karabakh più velocemente, o a cedere i territori che circondano il Nagorno-Karabakh. Ma ciò è sempre stato improbabile in assenza di un accordo complessivo che desse una risposta alla maggiore paura armena – la sicurezza – e soddisfacesse la richiesta politica fondamentale degli armeni, ovvero una definizione dello status del Nagorno-Karabakh.

Ciascuna delle parti sembra essere in qualche modo sorpresa dalle aspettative dell’altra. A dire il vero, vi è il timore crescente che un accordo sulla controversia del Nagorno-Karabakh sia più lontano, perché il palese appoggio della Turchia ha aumentato le aspettative dell’Azerbaigian, mentre alcuni armeni temono una possibile collusione tra paesi vicini allo scopo di spingere l’Armenia ad accettare un accordo insostenibile.

Questo è il momento della verità per la Turchia. Il processo diplomatico tra Armenia e Turchia è in fase di stallo, e lo sforzo del governo turco per riconciliarsi con l’ampia minoranza curda del paese ha perso slancio. Così come una perdita di fiducia tra curdi e turchi della parte orientale del paese scuoterebbe la precaria stabilità di cui essi hanno goduto recentemente, una perdita di speranza in una soluzione della controversia del Nagorno-Karabakh potrebbe mettere fine all’incerta tregua militare tra armeni e azeri.

Tuttavia la situazione non è irrecuperabile. I continui litigi tra responsabili turchi e armeni sui media non sono d’aiuto. È tempo che i leader di entrambi i paesi parlino privatamente e direttamente l’uno con l’altro, tenendo bene a mente l’instabilità che deriverebbe da qualunque insuccesso nel portare a termine l’apertura diplomatica che le due parti hanno avviato.

Così, anche mentre la Turchia cerca di gestire le conseguenze della sua storia in patria, e ridefinisce il ruolo dell’esercito nella società, deve allo stesso tempo rifondare il suo tormentato rapporto con l’Armenia. La recente risoluzione approvata dalla Commissione per le Relazioni Estere del Congresso americano, che invita il presidente Barack Obama a far sì che la politica estera americana rifletta “un’appropriata comprensione e sensibilità” riguardo al genocidio degli armeni, dovrebbe costituire, per i governi di Armenia e Turchia, un richiamo al fatto che gli armeni non intendono mettere in discussione la veridicità storica del genocidio. Dopotutto, se la Francia e la Germania possono affrontare la loro tormentata storia, la Turchia dovrebbe essere in grado di fare altrettanto.

Le due parti in causa dovrebbero fare un passo indietro, osservare la situazione spassionatamente, riconoscere le inadeguatezze presenti nei protocolli, dare una risposta alle richieste minime dell’altra parte, e tenere a mente che un singolo documento non guarirà tutte le ferite né cancellerà tutte le paure.

La comunità internazionale deve sostenere questo sforzo. Il problema non dovrebbe essere liquidato come un semplice regolamento di vecchi conti. In ballo c’è il futuro di una regione cruciale per la pace euroasiatica.

Vartan Oskanian è stato ministro degli esteri dell’Armenia dal 1998 al 2008

G.C

 
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