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Non c’è solo l’Europa - Intervista al presidente della Turchia Gül
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di Marco Ansaldo da LIMES
La politica interna, il rapporto con Israele e un riscoperto interesse per gli affari regionali. I negoziati con l'Ue, Cipro e la diplomazia silenziosa con l'Armenia. Tratto dal volume di Limes "Il ritorno del sultano" in edicola e in libreria.
Abdullah Gül, undicesimo presidente della Turchia, è nato a Kayseri, in Anatolia, il 29 ottobre 1950, proprio nel giorno in cui ogni anno si celebra la nascita della Repubblica. Apprezzato per le sue posizioni moderate, grande fautore delle riforme democratiche necessarie per l.ammissione del paese nell.Unione Europea, Gül ha svolto all.inizio degli anni Novanta un ruolo di primissimo piano come ministro degli Esteri turco.
Economista e professore universitario, ha ricoperto posizioni di rilievo nella Banca islamica per lo sviluppo, fino a quando non è stato eletto in parlamento, nel 1991, tra le file del partito Benessere (Refah). È stato poi tra i fondatori nel 1999 del Partito della virtù. Quando questo venne dissolto, nel 2001, aderì al Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp).
Nel 2002 venne chiamato alla guida del governo per via dell.ineleggibilità dell.esponente di maggior spicco dell.Akp, Recep Tayyip Erdo.an. E quando al leader furono restituiti i diritti elettorali toltigli per un arresto motivato con l.incitamento all.odio religioso, Gül rassegnò le dimissioni dalla carica di premier in suo favore. Nel 2007 il partito lo candidò alla carica di presidente della Repubblica.
Ma il boicottaggio dell.opposizione, che contestava un candidato presidenziale la cui moglie, Hayrünnisa, indossa il velo, aprì una lunga crisi istituzionale cui non fu estraneo un deciso intervento politico dei militari. Crisi che si risolse solo con le elezioni anticipate, largamente vinte dal partito di governo.
Il 28 agosto 2007 Gül fu eletto presidente della Repubblica. Il colloquio con Limes si è svolto a settembre 2010 nella residenza presidenziale estiva di Tarabya, a Istanbul.
Presidente Gül, la Turchia ha votato il 12 settembre in un referendum per cambiare la costituzione nata dopo il golpe del 1980. Il pacchetto degli emendamenti approvati era ampio, ma i punti principali riguardavano soprattutto la limitazione del potere dei generali, che in questo paese sono stati sempre molto influenti. È soddisfatto del risultato?
Guardando a quel che è stato votato, c.erano articoli che rientravano in un quadro europeo e che riguardavano la richiesta di adeguare gli standard della Turchia al livello comunitario. Presi uno per uno gli articoli avevano come oggetto diverse questioni, la figura dell.ombudsman, la Corte suprema, la composizione della Corte costituzionale, e naturalmente anche le relazioni fra militari e civili.
E ora che i «sì» hanno prevalso approvando quegli emendamenti cambierete la costituzione?
Indipendentemente dal risultato, è stato importante ciò che si è votato, e bisogna accettare quel che è emerso dal voto. Io ho sempre sostenuto che la costituzione in Turchia deve essere opera delle autorità civili. Ecco perché la questione di una nuova Carta è sempre stato un tema importante, in cima all.agenda politica del paese.
Ma non c.era la paura che se il «no» avesse prevalso, alcune componenti, i nazionalisti più accesi e le forze dietro al cosiddetto sistema Ergenekon, quelle più golpiste e oscure, potessero alzare la testa?
Esistono delle leggi e questo è uno Stato di diritto. In ogni democrazia quando
ci sono elezioni i risultati vanno accettati. Queste sono le regole da rispettare.
Il primo ministro Erdo.an ha detto che questo è solo un nuovo inizio, una ripartenza per le riforme. Lei è stato insieme a lui il protagonista principale
di quella stagione. Quali riforme ha in mente il governo ora?
Ora bisogna continuare ad armonizzare la nostra legislazione con l’acquis communautaire, in modo rapido. Questa è la riforma di cui parliamo oggi.
La Turchia va avanti con l.armonizzazione richiesta dall’Unione Europea. Ci sono
stati periodi in cui quel processo ha conosciuto momenti di grande impeto e tempi in cui non è stato così. Ma il processo è avviato.
Oggi nel mondo la politica estera turca è osservata con molta attenzione. Dopo il blitz israeliano contro la nave turca Mavi Marmara c.è stato un forte attrito con lo Stato ebraico. Non solo, si sono manifestate delle incomprensioni con gli Stati Uniti, mentre tutti possono vedere quanto blando sia il ritmo dei negoziati per il vostro ingresso nell.Unione Europea. Non è che la Turchia sta allontanandosi dall.Occidente?
Non è assolutamente così. La reazione al blocco di Gaza non è provenuta solo dalla Turchia, ma anche dagli Stati Uniti d.America, dall.Europa e dalle Nazioni Unite. C.è stata una sorta di appello internazionale perché sia tolto l.embargo israeliano. Sulle navi della flottiglia c.erano cittadini di 33 paesi. E le proteste sono venute da diversi Stati, tra cui anche Italia, Grecia, Gran Bretagna. Nella flottiglia i turchi erano la maggioranza. Ma anche se ne erano alla guida si trattava comunque di un tentativo di aiuto internazionale per concentrare l.attenzione su quel che accade a Gaza.
Esprimere preoccupazione per quella tragedia umana non significa che la Turchia
si stia allontanando dall.Occidente. Al contrario. Dimostra che condividiamo i valori del mondo occidentale.
Israele è stato un vostro stretto alleato per anni. Quali sono state le ragioni
che negli anni Novanta hanno portato al cosiddetto «asse di ferro» tra Ankara e
Gerusalemme, e quali i motivi di una quasi rottura oggi?
Mi faccia chiarire che noi non abbiamo alcun tipo di problema con Israele o con il suo popolo. È solo una questione riguardante alcune scelte non appropriate di politici israeliani, con cui non ci troviamo d.accordo. Se guardiamo alla storia, io penso al tempo in cui gli ebrei furono espulsi dalla Spagna e trovarono pace e felicità nell.impero ottomano, accolti e confortati dalla gente di qui. E sappiamo anche che cosa è successo ad altri ebrei che cercarono di trovare rifugio altrove. Più avanti nel tempo, Ankara ha riconosciuto Israele e ha
contribuito alla pace in Medio Oriente sviluppando il suo rapporto sia con lo Stato ebraico sia con i paesi arabi. Questa è una posizione che abbiamo sempre mantenuto. Recentemente siamo stati coinvolti anche nel dialogo fra Israele e Siria, che ha quasi portato a colloqui diretti fra loro. Molte di queste scelte sono state fatte dai nostri governi (quelli guidati dall.Akp, n.d.r.) negli ultimi dieci anni, anche quando ero ministro. Personalmente ho visitato Israele forse dieci volte. E visite sono state compiute anche dal primo ministro Erdo.an. Il presidente Shimon Peres è venuto ad Ankara, dove ha parlato davanti al nostro parlamento. Tutte cose che hanno un significato e hanno favorito i nostri rapporti. Insomma non si può dire che le nostre relazioni con Israele siano bloccate.
Ma come potete rilanciare i vostri rapporti dopo la crisi della Mavi Marmara?
Se vogliamo analizzare strettamente la questione della flottiglia, allora parliamo di navi turche che si trovavano in acque internazionali, attaccate da soldati di un paese straniero, e su cui sono avvenuti degli omicidi. È morta della gente.
Questo non è un fatto su cui si possano chiudere gli occhi. E quando cose come queste accadono si deve riesaminarle con cura. Se c.è buona volontà, e vengono espresse scuse, disposte compensazioni economiche e ammessi errori . ecco, se questo succede, allora naturalmente questo aiuta a riparare le relazioni. Ma ci deve essere la volontà di impegnarsi in questo senso e di ammettere che un errore è stato compiuto. Perché parliamo di nove persone uccise, di cui otto cittadini turchi e uno con doppia nazionalità, turca e americana. Se di fronte a questi fatti si agisce in modo appropriato, allora possiamo parlare del futuro.
Guardando alla politica estera della Turchia, e in particolare alle linee direttive impresse dal suo successore agli Esteri, Ahmet Davuto.lu, sembra che non siate più concentrati soltanto sull.ingresso in Europa. L.impressione è che
giochiate ormai a 360 gradi, dall.Africa al Medio Oriente, passando per i Balcani, il Caucaso, la Russia e l.Asia centrale. Vi comportate come un.importante potenza regionale, che non aspetta più una risposta dall’Europa ma anzi impone il suo gioco. È così?
Quel che lei sostiene è giusto. Ma mi lasci dire che l.ingresso nell’Unione Europea resta la nostra priorità assoluta. È il pilastro fondamentale delle nostre relazioni con il mondo. Detto questo, come per ogni grande paese anche per la Turchia è naturale concentrarsi sulla propria regione, guardandosi attorno con attenzione. Questo a volte viene mal interpretato. È naturale. Ma non è normale ritenere che la Turchia possa focalizzarsi solo e soltanto sull.Unione Europea, a spese di tutti i paesi con cui . a nord, sud, est e ovest . intrattiene relazioni. È normale invece concentrarci su una scala più ampia, perché disponiamo di rapporti importanti nei Balcani, in Africa, in Asia centrale, in Medio Oriente. Noi mobilitiamo e sviluppiamo tali relazioni. Questo va rispettato. Va rispettato perché lo facciamo in modo costruttivo. Se lo facessimo in modo distruttivo, allora la discussione potrebbe essere diversa. Ma . primo . dovunque noi andiamo parliamo di valori.
Per valori intendiamo democrazia, rispetto dei diritti umani. E ci raccomandiamo che i paesi dove andiamo li adottino, li rafforzino. Secondo: promuoviamo una cooperazione economica che significhi sviluppo e prosperità anche per gli altri paesi.
Terzo: forniamo aiuti umanitari, soprattutto laddove si verificano disastri naturali. Insomma, si dovrebbe guardare a che cosa fa la Turchia delle proprie relazioni. Se le sviluppasse in modo negativo o non costruttivo, si potrebbero nutrire dei dubbi. Ma se ciò che facciamo è positivo, si dovrebbe apprezzarlo.
È appropriato definire questo approccio come neo-ottomano?
Noi non abbiamo pensato di caratterizzare la nostra politica estera in questo modo. Siamo ovviamente orgogliosi della nostra storia. La storia, come dice la parola stessa, è storia . cioè è il passato. Noi guardiamo ai giorni nostri.
Abbiamo dei confini, abbiamo un nostro stile di governo e definiamo realisticamente la situazione del nostro paese. Forse posso spiegarmi con un esempio. Gli inglesi hanno il loro Commonwealth: nessuno però lo chiama impero britannico. I francesi hanno relazioni forti con alcuni paesi in Africa. La Spagna ha importanti relazioni con alcuni Stati dell.America Latina. L’Italia coltiva rapporti particolari con paesi con cui ha avuto un passato comune.
Allo stesso modo, la Turchia ha rapporti con l.Asia centrale, la Russia,i Balcani, il Medio Oriente. Bisogna considerare la nostra politica estera sotto questa prospettiva.
Ma che cos’è oggi la Turchia rispetto all.impero ottomano: l.erede di quello Stato multietnico o una costruzione nazionale del tutto diversa?
A questa domanda si è risposto istituendo la Repubblica di Turchia. Perché gli imperi sono entità differenti dalle repubbliche. Gli imperi hanno una peculiare struttura multietnica e multigeografica . una sorta di federazione o di sistema federale con regioni autonome. La Repubblica di Turchia è uno Stato nazionale.
Naturalmente ci sono territori che hanno fatto parte dell.impero e dove musulmani, cristiani, ebrei, curdi e altri hanno vissuto assieme. Noi abbiamo
buone relazioni con molti di quei paesi, con cui abbiamo la grande opportunità
di stabilire ponti di amicizia a ragione dei nostri rapporti passati.
E con il vostro obiettivo di entrare in Europa a che punto siamo oggi? Le difficoltà nei negoziati sono evidenti. Di chi è la responsabilità?
L’Italia è un paese fondatore dell.Unione Europea ed è sempre stato a nostro
favore, ci ha molto appoggiato. E di questo siamo grati al vostro popolo come a
tutti i governi che hanno sostenuto la Turchia. Quello che dirò ora in risposta
alla domanda spero non vi offenda come italiani, ma devo dire che secondo me la
responsabilità maggiore delle difficoltà nei negoziati è dell.Unione Europea.
Perché?
Perché secondo me la Ue sta vivendo una crisi di sfiducia in se stessa. Ancora non è troppo consapevole della profondità della sua crisi, della sua gravità e della sua importanza. Sicché l.Europa non riesce a sviluppare una visione strategica su quel che dovrebbe fare.
Le difficoltà che la Turchia incontra nel cammino verso l.Unione Europea la
preoccupano?
No, non sono preoccupato. La Turchia ha imboccato una strada importante. Oggi siamo un paese più democratico, abbiamo elevato i nostri standard democratici e
continuiamo a fare molti progressi in questo ambito. Siamo molto fiduciosi anche riguardo all.economia. Il futuro sarà brillante per la Turchia. Se l.Unione manterrà le sue promesse, ne trarremo entrambi vantaggio. So che ci sono alcune dichiarazioni di politici in Europa che riflettono ancora un.immagine della Turchia risalente a trent.anni fa. Quelli che dicono che Istanbul è meravigliosa e fantastica, ma che qui non c.è altro di interessante.
Quando scopriranno che non è vero per loro sarà troppo tardi.
A proposito di difficoltà con l.Europa, uno dei nodi più intricati è quello di Cipro. I negoziati fra i due presidenti, entrambi provenienti da partiti di sinistra, il greco cipriota Dimitris Christofias e il turco cipriota Mehmet Ali
Talat, non hanno sortito effetti concreti. Così, soprattutto nel Nord dell.isola, nella parte turca non riconosciuta internazionalmente, la gente delusa ha scelto un nuovo capo di Stato, il conservatore Dervi. Ero.lu. Il quale vuole due entità diverse e non la riunificazione dell.isola. Lei non teme che proprio dal difficile contesto cipriota, su cui Ankara ha molta influenza, possa venire lo stop che interromperà il cammino della Turchia verso l.Europa?
Su Cipro sono preoccupato, ma non tanto per il contesto turco. La mia preoccupazione è su scala più ampia, riguarda l.Europa e coloro che possiamo definire alleati. Perché la questione cipriota avvelena la cooperazione e la solidarietà fra l.Europa e gli alleati in generale. Questo è un mondo fragile.
Non sappiamo quali sfide dovremo affrontare in futuro, che comunque richiederanno una grande solidarietà fra noi. È a quel futuro che va la mia preoccupazione. La questione irrisolta di Cipro potrà creare molti problemi all.Europa e ai suoi Stati membri. È un rischio. Ma sulla questione specifica riguardante Turchia, Cipro e turchi ciprioti, bisogna dire che sia la Turchia sia i turchi ciprioti hanno fatto tutto quello che potevano per cercare di risolvere il problema. Ci sono molte aree del mondo in cui i paesi alleati hanno inviato truppe e forze di pace. E ci sono molti problemi che possono nascere dal nodo cipriota, nella Nato e altrove, perché questo è un problema che impedisce la cooperazione in alcuni dei settori più strategici, come l.energia. Se non si risolve il problema di Cipro si frena anche lo sviluppo delle nostre relazioni energetiche. Tanto è vero che non c.è ancora una seria discussione su come garantire un sicuro approvvigionamento energetico all’Europa.Tanto che il relativo capitolo negoziale che l.Ue deve discutere con la Turchia non è stato aperto. Ci sono tutti questi fronti in cui la partecipazione di Ankara era stata vista come positiva . a cominciare dall.energia . ma che oggi non si muovono. Non mi preoccupo tanto per la Turchia, quanto per l.Europa, per gli alleati. Quanto allo specifico contesto cipriota, il presidente Ero.lu ha ripreso in modo molto costruttivo il filo tessuto dal presidente Talat ed è a favore dei negoziati.
E anche la Ue ora sta spingendo per le trattative.
Un altro punto delicato di cui lei conosce bene i termini per esperienza diretta è la questione armena. Due anni fa a Erevan il suo viaggio in occasione della partita di qualificazione ai Mondiali di calcio fra Armenia e Turchia, e i conseguenti colloqui con il presidente Serge Sarksyan, hanno portato una ventata di speranza e il riavvio di un dialogo fermo dalla guerra del 1993 fra l.Armenia e il turcofono Azerbaigian. Ma ora anche qui il processo si è fermato e c.è chi sostiene che la soluzione della questione armena debba essere posta come condizione all’ingresso di Ankara nella Ue. Lei che cosa risponde?
Non c’è relazione tra l.ingresso di Ankara nell.Unione Europea e la questione armena. Certo, è molto importante che i problemi nella nostra regione siano risolti, perché la Turchia persegue politiche costruttive per la pace e la cooperazione. Ci si dia atto della nostra sincerità: abbiamo lavorato alla stabilità nel Caucaso. Io stesso ho fatto i primi passi in tale direzione avviando l’iniziativa con l’Armenia. Quella armena è una questione che va risolta. Ora, forse, è il momento per una diplomazia silenziosa.
Che cosa intende con «diplomazia silenziosa»?
Una diplomazia silenziosa e determinata.
Quindi nessuna iniziativa pubblica, solo trattative riservate?
Credo che in questo momento sia quel che è necessario fare per arrivare a una soluzione.
Signor presidente, negli anni la Turchia si sta dimostrando un paese energico, ambizioso, sempre più prospero, molto fiducioso in se stesso. E comunque molto diverso rispetto ad appena quindici anni fa. Lei dove vede la Turchia fra quindici anni?
Non c.è dubbio che la Turchia stia cambiando. Se guardiamo al 2002, a meno di dieci anni fa, qui le banche erano sul lastrico, il sistema economico stava per collassare, il prodotto interno lordo si era ridotto in modo drastico, e noi non potevamo nemmeno dire la nostra nel contesto internazionale. Ci troviamo adesso qui, quasi dieci anni dopo, con un.economia in pieno sviluppo. E anche in tempi di crisi la Turchia è stata capace di esportare beni per più di 130-140 miliardi di dollari. Credo che fra quindici anni la Turchia sarà un posto molto diverso. Attualmente è la sesta economia in Europa. Potrei immaginare, considerando i massicci investimenti nella ricerca e nell’istruzione, che saremo la quarta forza.
(19/10/2010)
G.C
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