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il Ministro degli Esteri della pił piccola delle Repubbliche caucasiche, Edward Nalbandyan, Presente le nuove linee
Il 14 gennaio 2011, il Ministro degli Esteri della più piccola delle Repubbliche caucasiche, Edward Nalbandyan, ha presentato, alla tradizionale conferenza stampa che inaugura il nuovo anno, le linee di sviluppo per una politica estera armena rinnovata ed accattivante. Che il 2011 sia foriero di drastici cambiamenti? E. ancora tutto da vedere.

Quando si parla di politica estera armena non si possono che nominare due questioni fondamentali, tanto radicate nelle dinamiche dell.area trans caucasica da essere diventate elementi imprescindibili per un qualsiasi sviluppo nella regione. Il gelo tra Turchia ed Armenia e l’astio tra Armenia ed Azerbaigian isolano Erevan da troppo tempo, congestionando un po. tutto quel complesso geo-politico che si estende da Izmir a Baku. Ciononostante, è proprio l’Armenia a pagarne le conseguenze più serie, incastrata tra l.ortodossia sciita di un Iran alquanto subdolo ed una necessaria ma forzata amicizia con la vicina Georgia.

Lo stato delle relazioni turco-armene non sembra ricoprire il baricentro politico armeno. In termini di retorica, Nalbandyan non ha dato che un breve accenno alla necessità di sbloccare quell.impasse, quando ancora l.emotività che scaturiscono negli armeni i tragici eventi del 1915 continua a contrarsi con la reticenza turca di guardare alla verità con mente aperta e libera da pregiudizi. E. lecito domandarsi dove sia finita la .zero problem doctrine. dell’emerito professore Davutoglu (ministro degli Esteri turco, N.d.R.) quando in campo vi sono le questioni del confine paralizzato, del sottosviluppo cronico delle province di Kars, Igidir e Van, del calo del commercio transfrontaliero non più trascurabile. Sembra che il Caucaso e le sue numerose trappole siano state messe per il momento da parte, da una Turchia del tutto orientata a mostrare le sue nuove vesti di deus-ex-machina in Medio Oriente, per esempio attraverso il deciso intervento nella recente crisi libanese.

La questione del Karabakh pare decisamente più spinosa. Il 24 gennaio a Mosca il Ministro degli Esteri russo Lavrov presiederà l.ennesimo round di negoziati tra Armenia ed Azerbaigian sotto l.ombrello del Minsk Group dell.OSCE. Come ripetuto da Nalbandyan nel suo discorso, l.Armenia si dichiara pronta a trattare lo status de iure e de facto della Repubblica dell.Alto Karabakh fermo
restando il principio di auto-determinazione della popolazione armena residente in quest.ex-provincia azera. Dall.altro lato, l.Azerbaigian non può che ribadire la violazione del principio di integrità territoriale. Insomma, niente di nuovo. Tuttavia, Nalbandyan, mentre nel suo discorso ha annoverato tutte le dichiarazioni OSCE in cui agli armeni del Karabakh è riconosciuto il diritto di reclamare la loro autonomia, ha sagacemente omesso invece un particolare importante. Nell’ultimo vertice NATO di Lisbona, l.Alleanza Atlantica ha diametralmente cambiato prospettiva sul conflitto in Karabakh. Nel paragrafo 35 della relazione finale del summit la NATO ha riconosciuto come l.Armenia, a seguito dell.occupazione di quasi il 20% del territorio azero, abbia effettivamente invaso con la forza una regione esterna alla propria sovranità territoriale. In seguito a tali dichiarazioni il governo armeno si è rifugiato dietro un caustico .no-comment., mentre l.opposizione interna conclamava il fallimento della politica estera dell.attuale presidente Sargysian. In effetti, l’Armenia è passata da difensore dei propri connazionali ad aggressore internazionale, e ciò avvenuto nello spazio di un summit. Se tale interpretazione dovesse contagiare la postura fino ad adesso adottata dall.OSCE, l.intero processo di pace riguardante il conflitto in Karabakh potrebbe mutare radicalmente. Tuttavia ciò appare meno realistico di quanto si possa pensare, giacché la .partnership strategica. tra Mosca e Erevan (questa sì ben reiterata da Nalbandyan nel suo discorso) implica il crescente ruolo russo nella risoluzione del conflitto e dunque un’opera di delicato bilanciamento per rabbonire l.Azerbaigian e al contempo difendere la posizione armena.

In che cosa vedere allora dei segni di rinnovamento? Nelle sette nuove rappresentanze diplomatiche armene aperte in tutto il mondo, nelle gioviali relazioni con gli Stati Uniti, nel futuro Accordo d.Associazione con l.Unione Europea, il cui prossimo round si è svolto nell.ultima settimana di gennaio, in una serie di importanti accordi economici con l.Iran, riguardanti energia (gas ed elettricità) e infrastrutture per l.alta velocità. Ottimi specchietti per le allodole, laddove l.urgenza di far scorrere via il coagulo di tensioni che stringe l.Armenia è più forte che mai. Mantenere tale status quo non fa che aumentare l.intromissione della Russia nelle questioni della regione, perpetrando la strategia del divide-et-impera e rendendo remota ogni possibilità di rapproachment. La Turchia, sulla scia del sua nuova leadership regionale, potrebbe fare molto di più per la risoluzione della questione armena. Ancora una volta, divario tra retorica e prassi o lampante mancanza di volontà politica?

Per l.Armenia l’unica prospettiva certa sembra essere la sempre maggior dipendenza dalla Russia, una scelta comprensibile e quasi obbligata, ma di gran lunga la meno soddisfacente se si pensa a lungo termine per la stabilità e l.integrazione dell’intera regione.

G.C

 
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