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Sonya Orfalian ; dopo Centotrenta ricette per ‘Una cena armena’ al Teatro Petruzzelli ora a Rai UNO
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TG1 STORIA - RAI UNO - RAI
LUNEDI' 6 GIUGNO 2011 - h. 9.05
Un'intervista esclusiva a Sonya Orfalian è al centro di TG1 Storia, la rubrica di approfondimento del TG1 a cura di Roberto Olla, in onda lunedì 6 giugno alle 9:05 su Rai Uno. L'intervista è imperniata sul tema del genocidio del popolo armeno e del suo riconoscimento, a tutt'oggi negato dallo Stato turco e dai suoi governi.
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Il libro di Sonya Orfalian diventa spettacolo per il riconoscimento del genocidio armeno
02/06/2011
Uno spettacolo teatrale per riconoscere il genocidio armeno come fatto storicamente avvenuto.
‘Una cena armena’ offerta dal Comune in attesa della delibera che ufficializzi questo riconoscimento.
Al Teatro Petruzzelli, ieri e oggiAggiungi un appuntamento per oggi, in scena il testo di Paola Ponti nato dalle pagine del libro di Sonya Orfalian, figlia della diaspora armena, "La cucina d’Armenia. Viaggio nelle culture culinarie di un popolo", volume contenete centotrenta ricette messe insieme con anni di ricerche storiche ed tnografiche, traduzioni di testi introvabili, attraverso le quali il mondo armeno prende vita, ti emoziona e ti commuove profondamente.
Un’occasione per risarcire la memoria legata alla vicenda dei profughi armeni che incontrarono Bari nei primi del Novecento, ancor prima del 1915, della Guerra mondiale.
In pochi conoscono il villaggio degli armeni, le storie di chi si è fermato e di chi è ripartito verso nuove mete, la storia della loro introduzione a Bari, in Puglia e in Europa per la lavorazione dei tappeti.
In pochi conoscono i motivi di quel viaggio, in fuga dalla persecuzione.
‘Una cena armena’ con Silvia Ajelli e Antonella Attili e la regia di Danilo Nigrelli, partendo dall’intimità familiare raccolta in cucina e attraversando gli aromi e i profumi che ricordano l’essenza del Mediterraneo, porta la storia della diaspora armena nella vita quotidiana, la storia di un popolo che non solo è stato sterminato, ma non ha ancora avuto il riconoscimento unanime della tragedia che ha subito.
Il Ruanda, la Cambogia, la Jugoslavia, la Shoa sono orrori che stanno sui libri di storia, ma per sapere qualcosa del ‘Grande male’, del ‘Metz ye-ghèrn’, come lo chiamano gli armeni, devi svolgere una ricerca accurata, eppure tutto continua ad essere vacuo, indefinibile, poco credibile.
I nazisti prima di fuggire dai campi di sterminio distrussero i forni crematori, abbatterono i famigerati camini, gli aguzzini del popolo armeno hanno messo in atto una negazione preventiva: hanno massacrato le vittime facendole camminare senza cibo né acqua nel deserto. È molto difficile affrontare argomenti di questa portata con uno spettacolo teatrale. I
l testo delicato ed emozionante di Paola Ponti riesce a parlare di questa tragedia senza false indignazioni, senza mai essere didattico, sviluppando uno scontro generazionale tra due personaggi femminili, perché gli armeni vogliono solo che i figli dei propri figli possano un giorno abbracciare i figli dei figli del popolo di Turchia. E perché questo accada bisogna che questa storia sia scritta, finalmente, sui libri di storia che non venga lasciata sospesa tra il ricordo e l’oblio, come le valigie appese sul palco nella coloratissima scenografia di Nigrelli, per sottolineare l’alone di inverosimile che circonda la storia del popolo armeno.
Il passato così atrocemente doloroso risuona attorno a Nina, ragazzina curiosa alla ricerca della sua maestra Lucia, di qualcuno che le insegni e le dia spiegazioni, come un’aura di calore. Sentirla parlare del genocidio, di un lutto che ha sterminato un milione e cinquecentomila persone, è una scoperta per fare un passo avanti verso l’uomo e la sua esistenza. Più precisamente ‘un saltello’, unica possibilità concessa all’uomo per oltrepassare la morte. L’emergere lento, graduale della verità, nel continuo domandare di Nina, tra un saltello e l’altro, tra un proverbio e la preparazione di pietanze, permette di vivere, di non “continuare ad essere polvere”, di ridare voce a usi, leggende, ricorrenze religiose e civili raccolti da un repertorio in cui il piglio rigoroso della studiosa si stempera nei ricordi, richiamando luoghi e figure di familiari e amici, di restituire un volto e una patria aperta, disposta a farsi contaminare, a questo popolo, di cui anche a Bari si sta cercando di ricostruire il luogo della memoria, il sito archeologico del Villaggio armeno, in gran parte di proprietà privata e costituito quasi interamente da una fabbrica di tappeti.
Ecco, allora, chiamare il pubblico, che si scopre protagonista sul palco del grande teatro, a sperimentare e gustare gli ingredienti e i piatti della tradizione armena.
Vahè
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