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27 Giu. 2011 - scritto in turco dal giovane Hüseyin T. ] KURDO
Hüseyin T.
[NdT.: il testo che segue è stato integralmente
scritto in turco dal giovane Hüseyin T. ]
Nonostante il fatto che io sia kurdo ed alevita, se volete un esempio del fatto che sta tuttora continuando la politica all’insegna del motto: “una sola lingua, una sola religione”, che la Repubblica di Turchia da anni tenta di perseguire, e da anni riesce a perseguire con molto successo, io potrei essere il migliore esempio di ciò, perché, io che sono kurdo, non conosco la lingua kurda, ed io che sono alevita, non conosco in modo soddisfacente che cos’è l’alevismo.

Lasciamo pure da parte queste considerazioni, ma resta il fatto che ora persino questa stessa mia testimonianza non sono in grado di scriverla nella mia lingua-madre.

Ora andiamo un po’ indietro nel tempo, cioè risaliamo alla mia infanzia, quando ho cominciato la scuola elementare: non sapevo manco una parola di turco. Siccome non conoscevo la lingua turca, ricevevo ogni tipo di percosse da parte del mio insegnante. Quando tornavo a casa, per la paura che avevo, non potevo più parlare in kurdo neanche con mia madre.

Durante le lezioni di religione, siccome si sapeva che io ero kurdo ed alevita, mi si obbligava ad osservare il rito di culto islamico e ad imparare le preghiere. Se io non volevo farlo, quando non lo facevo mi picchiavano; a causa di ciò non volevo neanche più andare a scuola, eppure io, nonostante tutto, desideravo davvero studiare.

Accadde un giorno, e quel giorno era un giovedì [NdT.: il giovedì è il giorno del culto alevita, laddove invece il giorno del culto islamico sunnita è il venerdì], che mia nonna disse che sarebbe andata assieme a mio nonno alla Cemevi [NdT.: la Cemevi è il luogo di culto e di ritrovo collettivo dei fedeli della confessione religiosa alevita], e disse pure che mi avrebbero portato assieme a loro. “Perché?” chese allora mio nonno, e proseguì: “bambino mio, in ogni caso tu stattene ad aspettarci a casa!”. Appena lui disse così, io cominciare a piangere, e mia nonna a causa di ciò prese a biasimare mio nonno, e finirono per portare anche me.

Quando arrivammo alla Cemevi, eravamo tutti riuniti là dentro, ed aspettavamo che il nostro ministro di culto cominciasse la sua predica [NdT.: per pura coincidenza il ministro di culto, nella confessione alevita, è denominato “dede”, cioè “nonno”, come, non molto diversamente, in Piemonte il ministro di culto dei Valdesi si chiama "barbët" o "barbetti", in derivazione dalla parola "barba", che significa “zio”. Ma il “nonno” della Cemevi, ovviamente, non ha nulla a che fare con il nonno del nostro Hüseyin, di cui egli parlava poch’anzi].

Non appena il ministro di culto ebbe iniziato a parlare, la Cemevi fu assalita da alcune persone di ignota identità. Essi minacciarono il ministro di culto, e lo insultavano con epiteti irripetibili.

Uno di loro disse: “Ehi, voi tutti, branco di pirla infami, vi abbiamo bruciati vivi a Dersim [NdT.: l’odierna Tunceli], ma non abbiamo ancora finito; vi abbiamo ammazzati a Maraþ [NdT.: Kahramanmaraþ, altro luogo di eccidio contro gli aleviti], ma non abbiamo ancora finito; vi abbiamo bruciati vivi a Çorum ed a Sivaþ [NdT.: altri due luoghi di massacri contro gli aleviti], e di nuovo l’avete pagata cara; ora bruceremo il ‘nonno’ di Gaziantep”.
Cominciarono a picchiare tutti quelli che si trovavano nella Cemevi, ed a mettere tutto a soqquadro. Uno di loro prendendomi per le orecchie mi chiese: “Ehi tu brutto bastardo, come ti chiami?”. Io risposi “Hüseyin”, e lui, mentre cominciava a sferrarni calci e pugni, continuò: “Pirla, ti abbiamo mozzato la testa a Kerbela, e non la smetti ancora?” [NdT.: allusione al profeta Hüseyin (Al-Husayn) caro alla tradizione religiosa alevita ed omonimo del Richiedente Asilo Hüseyin che qui racconta la sua storia, nonché al massacro di Kerbela (cfr.: http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Kerbela ), in cui appunto tale profeta Hüseyin, che era il figlio del profeta Ali che fu capostipite della tradizione religiosa che originò sia l’Islam sciita che l’alevismo, venne prima ucciso e poi decapitato: “Al-Husayn si dedicò alla preghiera del pomeriggio. Dinanzi alle donne e ai bambini fece il suo ultimo discorso e si diresse sul campo di battaglia. Con tutte le sue forze l'Imam cercò di resistere all'attacco ma, sfinito e dissanguato, morì poco dopo. Tutti i corpi dei martiri vennero denudati e le loro teste furono mozzate. I corpi vennero lasciati sul campo di battaglia finché, dopo due giorni, gli abitanti del vicino villaggio si sentirono abbastanza sicuri per andarli a seppellire. L'esercito omayyade nel frattempo si era avviato verso Kufa in una macabra processione, con le settantadue teste dei martiri infilzate sulle punte delle lance, con le donne e i bambini catturati al seguito e alle donne fu ordinato di togliere il velo in segno di spregio. Dopo essere stata mostrata in pubblico a Kufa, la testa di al-Husayn fu portata a Damasco per essere presentata al califfo”].

Poi dissero: “Se vi azzarderete ancora a rimettere piede in una Cemevi non ne uscirete sani e salvi”, e portarono via il ministro di culto ed alcuni altri,

Come ho detto, io sono kurdo ed alevita; noi kurdi siamo stati condannati alla schiavitù per anni, e siamo stati bruciati vivi ed uccisi chi come traditore della patria e chi come ‘armeno’ [NdT.: il termine ‘armeno’ viene sovente usato in Turchia come epiteto offensivo contro gli aleviti, usando tale termine nel senso traslato di “eretico, miscredente”, anche se la confessione alevita e quella armena hanno radici storiche e caratteristiche completamente diverse]. E costoro proseguono ancora persino adesso. Noi alevi siamo stati decapitati a Kerbela, impiccati a Dersim, uccisi a Maraþ e Çorum senza eccezioni per donne e bambini, ed a Sivaþ ci hanno arsi vivi. Ora sono io a chiederLe, rispettabile giudice: se fosse Lei a trovarsi al mio posto, dopo tutto quello che ci hanno fatto, Lei lo farebbe il servizio militare in Turchia? Se Lei vorrà rivolgere a me questa domanda, io non lo faccio e non lo voglio fare.

Dopo il massacro di Kerbela (680 d.C.), il profeta Hüseyin chiede asilo a Senza Confine

Aldo - senzaconfini

 
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