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Delibere pro armeni in Veneto La Turchia Ğavvisağ i Comuni. Patriarca Armena , Aram I da Cilicia , manda una lettera a Erdogan dicendo che gli Armeni aspettano giustizia .
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La scrittrice Arslan: «Intimidazioni mafiose». Lettere dell’ambasciatore ai sindaci di Padova, Limena e San Giorgio in Bosco che hanno approvato iniziative di riconoscimento del genocidio
PADOVA — «Respingete al mittente quelle lettere, sono pericolose». S’indigna la scrittrice padovana Antonia Arslan, di origine armena, per la «pesante interferenza» dell’ambasciata di Turchia, che ha inviato nei giorni scorsi ai Comuni di Padova, Limena e San Giorgio in Bosco un’identica missiva firmata dall’ambasciatore Hakki Akil, in cui esprime «delusione » per l’approvazione delle delibere comunali che riconoscono il genocidio armeno e prospetta «ripercussioni negative nei rapporti tra Italia e Turchia». «Sono lettere mafiosette e intimidatorie - denuncia l’Arslan - . Un ambasciatore se ha qualche rimostranza, dovrebbe rivolgersi alla Farnesina, non certo scrivere in tono minaccioso ai sindaci di piccoli paesi come San Giorgio in Bosco o Limena». E la scrittrice (di cui è appena uscito il nuovo libro Il cortile dei girasoli parlanti, Piemme editore) incalza: «Il genocidio armeno del 1915 è ormai riconosciuto universalmente dalla comunità degli storici. Anche l’opinione pubblica in Turchia è molto più avanti delle posizioni ufficiali del governo e discute ormai apertamente della tragedia armena e di tutti i danni che l’eliminazione delle minoranze portò anche alla maggioranza turca».
L’Arslan ha narrato con passione e intensità il genocidio nel libro La masseria delle allodole (Rizzoli editore), in cui il dramma armeno rivive nella drammatica storia della sua famiglia: il fratello del nonno Yerwant e tutti i numerosi parenti furono sterminati in quell’orgia di sangue con cui si è aperta la storia della Turchia «moderna». Padova con il sindaco Flavio Zanonato, ormai diversi anni fa, è stato il primo Comune del Veneto a riconoscere il genocidio armeno e a realizzare un bassolirievo commemorativo a Palazzo Moroni. Eppure, anche a Padova, la lettera «minatoria» dell’ambasciatore turco è arrivata solo da poche settimane. «Evidentemente il governo turco è in allarme - spiega Antonia Arslan -, tra 4 anni sarà il centenario del genocidio e quindi sta già preparando una controffensiva per evitare che se ne parli, mettendo in atto svariate forme di pressione, tra cui queste missive ai Comuni solidali con gli armeni. E’ successo nel Veneto, ma anche in altre regioni, ho visto le stesse lettere inviate a Cerchiara di Calabria e a Bolano, in provincia di La Spezia». Domenica a Padova Fethiye Cetin, avvocato turco che ha scritto un libro in cui parla del genocidio, è stata nominata «Giusto per gli armeni».
Gli eventi di solidarietà al popolo armeno si susseguono in Veneto, ma evidentemente la Turchia non gradisce. «E’ un atteggiamento che provoca allarme e sconcerto, questo dell’ambasciatore turco - sottolinea l’avvocato Vartan Giacomelli, padovano di origine armena, presidente dell’associazione Italia- Armenia - . Queste lettere intimidatorie fanno rabbrividire, sono goffe minacce alla libera espressione, non possono avere conseguenze pratiche. E’ l’ossessione maniacale di un governo nel negare ciò che non è più negabile. Ma le istituzioni non si possono intimidire e qualsiasi delibera che riconosce il genocidio armeno parte dal presupposto che si tratta ormai di una verità storica acquisita». Secondo l’avvocato Giacomelli, «arrivare a modalità di questo tipo ha dell’incredibile. Fa rabbrividire. Sono riflessi del negazionismo di stato, che va contro i fermenti della società turca. Ma le lettere non vanno sottovalutate, creano allarme, soprattutto nei piccoli comuni, mettono sotto pressione, intimidiscono le iniziative etico-culturali. La speranza è che non abbiano effetto: il genocidio è una verità storica non discutibile ». La scrittrice Antonia Arslan invita i Comuni veneti «a una risposta ferma e decisa». E suggerisce alle amministrazioni di chiarire all’ambasciatore turco che «non compete a un diplomatico straniero interferire nei dibattiti dei consigli comunali».
Francesca Visentin
03/10/2011 11:29
LIBANO – TURCHIA
Lettera di Aram I a Erdogan : Il popolo armeno attende sempre giustizia
di Fady Noun Il Catholicos armeno ortodosso di Cilicia afferma che la restituzione da parte del governo turco dei beni sequestrati alle Chiese dopo il 1936 è troppo poco. E reclama il ritorno di tutte le proprietà requisite e perdute dopo il genocidio e il riconoscimento del genocidio armeno del 1915. Beirut (AsiaNews) – Le recenti misure di Ankara per restituire alle minoranze religiose tutte le loro proprietà confiscate dopo il 1936 sono “insufficienti”. È quanto afferma il Catholicos Aram I Kechichian in una lettera aperta inviata
al premier turco Recep Tayyip Erdogan. Per il capo della Chiesa armeno ortodossa, la cui sede titolare si trova ancora nella provincia turca di Cilicia, ci sarà giustizia per il popolo armeno solo quando la Turchia riconoscerà il genocidio del 1915 e quando tutti i beni privati e della Chiesa, confiscati all’epoca, saranno restituiti.
Ecco quanto dice la lettera (traduzione di AsiaNews): Attraverso la stampa, abbiamo appreso la decisione del suo governo di restituire alle minoranze religiose le proprietà che sono state loro confiscate dopo il 1936. Tale decisione risponde con certezza da una parte alle recenti ingiunzioni del Tribunale europeo per i diritti dell’uomo; dall’altra ai dibattiti che si sono svolti al Congresso americano sulle pressioni esercitate
dai turchi sulle minoranze cristiane [Cfr:29/08/2011 Storica decisione: Erdogan restituisce le proprietà sequestrate alle minoranze religiose] Quale capo spirituale e legale del Catolicosato degli armeni ortodossi di
Cilicia, sradicati dalla loro sede storica e rifugiati in Libano, quale rappresentante dei figli della Chiesa armena espulsi dall Turchia e disseminati nel mondo, considero parziale e ingiusta la sua decisione del 27 agosto 2011.Il Catolicosato degli armeni ortodossi di Cilicia conserva tuttora i titoli di proprietà di numerosi edifici: chiese, ospedali, asili, orfanotrofi, cimiteri e altre proprietà appartenenti alla Chiesa, che sono stati confiscati dalle autorità turche durante il genocidio armeno del 1915. Lo stesso è per i figli del popolo armeno, che conservano tuttora i titoli di proprietà delle loro case, commerci, istituzioni e altri beni ereditati dai loro antenati, perduti dopo il genocidio pianificato ed eseguito dal governo turco ottomano.
La decisione del suo governo forse può essere considerata adeguata ai criteri dell’Unione europea, ma essa non può essere considerata una misura giusta e giuridicamente pertinente. Signor Primo ministro, i passi che lei ha preso nella direzione della giustizia, essendo incompleti, sono in realtà una negazione della storia e dei
principi e dei valori democratici. Certo, le istituzioni internazionali – quali il Tribunale europeo dei diritti
dell’uomo e il Parlamento europeo e le sue commissioni – hanno l’incarico di difendere questi principi e valori democratici e a vigilare sul loro rispetto, ma la coscienza e la memoria di questi valori e principi è nel popolo.
Fridtjof Nansen, Premio Nobel per la pace 1922, al tempo Alto commissario per i rifugiati, nella sua celebre pera “L’Armenia e il Vicino oriente” ha scritto che “il popolo armeno non ha mai perso la speranza, esso ha continuato la sua azione e atteso con coraggio; esso attende sempre”. Mi permetto di aggiungere che il popolo armeno non ha mai cessato di reclamare giustizia dalla Turchia, per quanto riguarda il genocidio armeno e non ha mai spesso di cercare di riprendere i suoi diritti umanitari.
Signor Primo ministro, l’attaccamento ai diritti umani e alla giustizia che voi mostrate, guadagnerà credibilità solo se riconoscerete il genocidio armeno”.
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Corriere del Veneto/Corriere della Sera
I girasoli parlanti nel nuovo romanzo dell'Arslan
Sentimenti, emozioni, ricordi: i racconti brevi della scrittrice padovana di origine armena
Antonia Arslan, tra i libri della sua casa (Archivio)
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E’ un viaggio magico, che rapisce come in un sogno, quello attraverso Il cortile dei girasoli parlanti (Piemme editore). Il nuovo libro di Antonia Arslan, che esce oggi, narra di sentimenti, emozioni e ricordi, attraverso la forma del racconto breve. Così le storie sembrano cesellate come gioielli, ma mantengono la capacità di incantare e commuovere. Un romanzo folgorante, con i temi cari alla scrittrice padovana, di origine armena, in una galleria di immagini nitide e coinvolgenti, difficili da dimenticare. Il cortile dei girasoli parlanti torna sulla questione armena, ma non solo. I personaggi sono tanti, variegati, emergono dai ricordi d’infanzia o dal periodo della guerra, ma spuntano anche dalla quotidianità di oggi: un viaggio in taxi, la visita a una chiesa a Venezia dove si celebra il rito della messa in latino, o la passeggiata in un castello. E la malattia, la lunga degenza della scrittrice, che diventano storie narrate con serenità. Gli spunti si susseguono, sembrano uscire con foga dalla carta, incontenibili.
E’ l’ingresso in un mondo di sogno, che fa stare bene, trascina nella magia di gesti, azioni e parole permeate di poesia. Si sta così beati tra le pagine di questo libro che riemergere, tornare in superfice, è duro. «Questi racconti sono piccoli angoli della mia sensibilità- rivela Antonia Arslan -, flash che si sono presentati con gioia. Mi mettevo al computer e pregustavo quello che scrivevo, usciva volentieri, senza sforzo. Credo questo si senta anche nel risultato, comunque cerco sempre di mantenere una serenità di fondo in quello che scrivo». Sembra un diario questo libro e lascia la voglia di continuare il viaggio magico. «Sono piccole storie che nascono per non rattristare - fa notare la scrittrice -. Cimentarmi con la forma breve, 1300 battute ogni racconto, è stata una sfida che ho raccolto volentieri».
Il risultato è un capolavoro, dove la tecnica (che c’è) risulta impalpabile di fronte della carica emozionale. Il cortile dei girasoli parlanti riesce a passare da immagini divertenti come quelle di zia Anja e zia Nini, le migliori sferruzzatrici del paese, alla signora che vendeva scarponi e che per la sua somiglianza con un grande coniglio bianco era chiamata «Conigliut», al dramma della bambina che voleva giocare con il soldatino ussaro, ai ricordi buffi come quello della «verdigiallumina». Il fascino di questa narrazione, lo svela l’autrice, dipende forse dal «segreto delle storie che si amano»: «creano mondi in cui desideriamo entrare e da dove non usciamo senza rimpianto». Pare di sentirlo il gusto dei «biscotti di zia Enrica»: rotondi, piatti, piccoli e deliziosi. E il profumo del «prosciutto di nonno Carlo»: «lo portava a casa ben avvolto in carte oleate e pezze, come un bambino in fasce». Al momento del taglio, le sue mani, «come danzando, facevano volare intorno fetta dopo fetta... ».
Spiega l’Arslan nella prefazione: «E’ un viaggio in cui si rincorrono temi cari al cuore e alla penna: la spontaneità dell’infanzia, la gioia delle piccole cose, l’odio che contamina e deturpa, la forza invincibile dell’amore, l’insensatezza della guerra e il calvario armeno». Folgorazioni. Come quella dell’autrice, che dopo avere letto una dedica sulla foto di nonna Virginia, capì «in un abbagliante momento, qualcosa della vita e della morte e della nostalgia per chi abbiamo amato e di cui cerchiamo di conservare piccoli ricordi, come il verso di una canzone ». La speranza? «Che come i girasoli riescono a guardare il sole e a tramutarlo in bellezza, una delle piccole storie del libro possa diventare un girasole nel cuore di chi legge».
Francesca Visentin
04 ottobre 2011
G.C.
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