|
|
Zatik
consiglia: |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Iniziativa
Culturale: |
|
|
|
|
|
Turkia: È la prima volta per un uomo delle istituzioni in Turchia Una chiesa per chiedere scusa.
|
da EUROPA:it
Diyarbakir - Il primo cittadino della città sudorientale riconosce la strage del 1915. È la prima volta per un uomo delle istituzioni in Turchia Una chiesa per chiedere scusa. Il sindaco che rompe il tabù sul genocidio
Armeno Quando il sindaco di Diyarbakir prende la parola e pronuncia le parole impronunciabili sul genocidio degli armeni in Turchia, Sevim inizia a piangere.
«Questa non è solo la riapertura di una chiesa, è anche un modo per chiedere scusa», dice Osman Baydemir alla cerimonia di riapertura della più grande chiesa armena del Medio Oriente, di fronte a un paio di migliaia di fedeli increduli, approdati per l.occasione nel sud est del paese da tutte le parti del mondo.
Sevim è una di loro. È una donna sulla sessantina, ossuta. Ha dovuto lasciare Diyarbakir quando aveva sei anni, negli anni Cinquanta.
La sua famiglia aveva sempre vissuto qui, in queste strade strette e rumorose, dove i fabbri martellano il ferro rovente tutto il giorno. Morte sua mamma e sua sorella, la famiglia, anziché lasciarla qui e vederla rinnegare la sua fede . come hanno dovuto fare i pochissimi armeni sopravvissuti al genocidio .
preferì mandarla a vivere la sua vita altrove.
Ma prima di oggi Sevim non aveva mai trovato il coraggio di affrontare il suo passato e ripercorrere le strade della sua infanzia. Troppi i ricordi, i fantasmi. Le parole del sindaco le arrivano dritte al cuore. E non è la sola a essere toccata veramente.
Tutti applaudono, nella chiesa tornata in vita, quasi risarciti. Perché Baydemir, curdo, appartenente al Partito per la pace e la democrazia (Bdp), è riuscito davvero a lenire per un attimo le ferite più brucianti dell.animo armeno, pronunciando un discorso breve ma trascinante, in uno dei luoghi più simbolici possibili, là dove è stato scritto uno dei capitoli più atroci del massacro degli armeni: «Da quando non ci siete più, anche noi siamo diventati più poveri. E in questa città che è un tempo è stata ricca di diversità,
multiculturale, oggi ci sentiamo più soli».
Le foto dell.archivio dei cappuccini affisse all.ingresso della chiesa di Surp Giragos sono testimonianze vivide delle differenze che abitavano questa città all.inizio del secolo scorso.
Si vedono i minareti che svettano insieme ai campanili, le croci che si stagliano all.orizzonte accanto alle mezzelune, senza nessuna incompatibilità.
All.inizio del Novecento a Diyarbakir vivevano 35 mila armeni. Nel 1927 ne erano rimasti solo tremila. In mezzo c.è stato quello che ormai tutti gli storici concordano nel definire il «genocidio» degli armeni, anno di disgrazia 1915. E che i turchi invece si ostinano a non voler riconoscere. Minimizzando, oppure dividendo le responsabilità in parti uguali: gli armeni hanno ucciso noi, noi abbiamo ucciso loro.
Ma le cose non sono andate affatto così. Lo dice la verità dei documenti storici esistenti e anche la tenacia con cui la repubblica turca mantiene segreti i suoi archivi. Per questo le parole del sindaco di Diyarbakir sono di un.importanza simbolica e politica notevole. E il fatto che Baydemir sia curdo non toglie nulla a questa importanza. Semmai, ne aggiunge.
Perché al genocidio . pianificato e deciso dai Giovani Turchi per omogeneizzare e .turchizzare. la popolazione dell.Impero Ottomano . parteciparono in massa anche i curdi. E nella squallida corsa a scaricare i barili questa è forse la prima volta che un rappresentante delle istituzioni turche, nella .capitale.
della regione curda, ammette le colpe del passato e domanda perdono.
Certo, la voce di un sindaco di una città pur grande e importante come Diyarbakir non è la voce di tutto lo stato turco. Però è il segno di come il linguaggio e le stratificazioni mentali si stiano lentamente modificando nella Turchia di oggi. Ma forse ancora più significativo della politica e della storiografia è il fatto che persone come Sevim possano non solo tornare a pregare nelle chiese dove pregavano i loro padri, ma sentano che ci sono anche le condizioni per riannodare i fili della memoria e dei luoghi. Vedendo riconosciute le proprie ferite, e iniziando a restaurare il futuro.
Nicola Mirenzi
G.C.
|
|
|
|
|