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CONDANNARE IL NEGAZIONISMO MA NO ALLA STORIA DI STATO
Mercoledì 28 dicembre 2011
Rassegna Stempa: sul negazionismo - Di Sergio Romano , Roberto Macchia e Mary Avakian ;



Roberto Macchia, Livorno

CONDANNARE IL NEGAZIONISMO MA NO ALLA STORIA DI STATO
Plaudo al recente pronunciamento dell’Assemblea nazionale francese che così riconosce ufficialmente il genocidio degli armeni del 1915-17.
Ritengo che la Turchia debba finalmente ammettere, in qualche modo, quello che allora avvenne: un mio amico americano, figlio di immigrati armeni scampati al massacro, anni fa mi raccontò la vastità e l’atrocità dei crimini che vennero compiuti dai turchi contro quel popolo.

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Mary Avakian, Taranto

Il genocidio degli armeni è riconosciuto come tale dall’Onu, dalla Unione Europea e da diversi Paesi nel mondo.
Chiedere alla Turchia di riconciliarsi con il suo passato è un atto dovuto: parere non solo degli armeni ma anche di storici di fama internazionale, di innumerevoli persone ben informate e anche di un numero crescente di intellettuali turchi. Mi chiedo perché alcuni lo ritengano «non indispensabile».
Oltre al «politically correct», dobbiamo forse piegarci anche all’«economically correct» a scapito della verità? La linea tra convenienza ed etica, già assottigliata all'inverosimile, la vogliamo davvero cancellare del tutto?
AAVV
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Cari lettori,
Sergio Romano
Non credo che gli Stati e i parlamenti democratici, abbiano il compito di scrivere la storia e di fissare per legge le date fauste e infauste del calendario nazionale e internazionale. Là dove questo accade lo Stato è «etico », vale a dire una cattedra morale autorizzata a proclamare dogmi e a impartire precetti. Oggi scrive una sorta di bolla pontificia sui massacri armeni del 1915. Domani proclamerà altri dogmi a cui i sudditi fedeli dovranno piegarsi. È questo lo Stato in cui desideriamo vivere? La condanna del «negazionismo » diventa a questo punto inevitabile. Se il giudizio su un evento storico è legge dello Stato, non è permesso avere dubbi, proporre interpretazioni diverse, invocare circostanze che ai sacerdoti del dogma sembreranno inammissibili giustificazioni. Avrò ancora il diritto di sostenere (come lo storico angloamericano Bernard Lewis di fronte a un tribunale francese qualche anno fa) che l’espressione genocidio è impropria e che «massacri» definisce meglio il trattamento di cui gli armeni turchi furono vittime nel 1915? Potrò ricordare che gli armeni delle maggiori città turche non vennero colpiti dai provvedimenti di espulsione? Avrò ancora il diritto di collegare quegli avvenimenti a una guerra in cui le comunità armene dell’Anatolia erano percepite, con qualche buona ragione, come la quinta colonna dell’impero zarista? Sarò autorizzato a suggerire che la legge approvata dall’Assemblea nazionale francese risponde soprattutto alle esigenze elettorali di un presidente a caccia di voti per una elezione che si annuncia particolarmente difficile? Potrò dire a un armeno che se fossi al suo posto non proverei dopo questo voto alcuna soddisfazione? Il pensiero liberale si è battuto per secoli contro il delitto di opinione, la caccia alle streghe, il rogo degli eretici e dei loro libri. Dovrei applaudire una legge che ripristina il concetto di eresia e mi impedisce di ragionare, discutere, argomentare?


v.V

 
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