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Hrant Dink, un ricordo
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19 gennaio 2012
Murat Cinar
Uno degli ultimi eroi di un popolo che esiste da più di quattromila anni è stato assassinato nel centro di Istanbul con tre colpi al collo, esattamente cinque anni fa.
Hrant Dink ha sempre avuto la volontà di fermarsi un attimo e parlare, studiare la storia con lo scopo di conoscerla, per poter riabbracciare i popoli del territorio anatolico. Dink ha sempre e soltanto immaginato fosse possibile creare in Turchia un futuro diverso in cui i popoli potessero guardarsi in faccia e chiedersi scusa, ammettendo gli errori del passato, popoli turchi, curdi, armeni oppure europei.
Quando nel 2006 ha ricevuto il Premio Internazionale di Henri Nannen in Germania per aver promosso la libertà di stampa disse: “Soltanto i Turchi sono responsabili per quello che è accaduto? Non sono anche gli Europei a doversi chiedere se sono responsabili? Secondo me sì, e solo facendo così, oggi, potremo capire cosa si riesca a fare per il futuro”. Senz’altro con queste parole Dink si riferiva ai Governi europei che, dalla fine dell’Impero Ottomano, hanno sistematicamente ignorato, per via delle alleanze militari, ideologiche oppure economiche, quasi tutto quello che hanno vissuto i cittadini ottomani e turchi di origini armene nel territorio anatolico. Nel suo appello durante la serata della premiazione, chiese ai Ministri, ai Parlamentari ed ai giornalisti presenti in sala di non isolare e non “lasciare soli” i popoli della Turchia e dell’Armenia.
Hrant Dink era un giornalista, lavorava per il giornale armeno più grande della Turchia, Agos, era il suo capo redattore. Dink non era un giornalista rinchiuso nel suo ufficio: oltre scrivere ed investigare per il suo giornale organizzava conferenze e partecipava a programmi radiofonici e televisivi con lo scopo di farsi “porta voce” di un popolo e della sua storia. Grazie alle dichiarazioni rilasciate durante una conferenza nella città di Urfa nel 2002 (Dink aveva dichiarato di non essere un Turco, bensì un cittadino turco ed armeno) fu processato fino al 2006 ed infine assolto. Ovviamente non smise mai di difendere le proprie idee così, nel 2004 e nel 2005, furono avviate due altre cause contro di lui perché, secondo i giudici, “offendeva l’identità turca” nelle sue dichiarazioni pubbliche in cui sosteneva che la figlia adottiva del fondatore della Repubblica turca (Mustafa Kemal Ataturk) fosse in realtà una ragazza armena. Fu inoltre processato perché, nel 2006, in un’intervista rilasciata all’Agenzia di stampa Reuters, definì “genocidio” ciò che accadde nel 1915. Infine, nel 2007, a causa di un suo articolo, lui e due altri giornalisti dell’Agos furono accusati di “offendere l’identità turca”: questa volta Dink finì nel mirino per aver scritto: “Il sangue pulito che sostituirà il sangue avvelenato che verserà il Turco, scorre nelle vene che l’Armeno costruirà in Armenia”. Nel suo articolo criticava apertamente il Governo armeno di allora per non essere in grado di assumersi le giuste responsabilità nei confronti degli Armeni residenti nel resto del mondo, lasciandoli soli.
Da quel punto in poi, in Turchia, prese piede una campagna nazionale forte, creata e portata avanti da una grossa parte dei media e dei partiti politici contro di lui. Mentre si svolgeva la caccia all’uomo a livello politico, mediatico e giuridico, il 19 Gennaio del 2007, un diciassettenne fece fuoco per ben tre volte su Hrant Dink, uccidendolo in uno dei centrali quartieri di Istanbul, proprio all’ingresso del palazzo nel quale aveva la propria sede il giornale Agos. La sera stessa, l’assassino fu arrestato. I media iniziarono a ricevere un filmato che mostrava l’assassino, in caserma, con due poliziotti intenti ad elogiarlo, in posa davanti alla bandiera turca. In pochi giorni si iniziarono a scoprire piccole incongruenze che fanno sì che il processo per l’omicidio di Dink prosegua tuttora: sotto accusa sono giudici, avvocati, poliziotti, parlamentari, giornalisti, politici e militari. Tutti elementi che dimostrano che non si sia trattato semplicemente di un omicidio ad opera di un adolescente impazzito.
Dopo l’esecuzione di Dink, sia come protesta spontanea sia durante il funerale, in diverse città della Turchia si sono svolte le manifestazioni di massa. Da quando è iniziato il processo, in ogni udienza, sia dentro che fuori dal tribunale, sono migliaia le persone che si ritrovano per dimostrare alla famiglia Dink che non è sola.
Hrant Dink aveva sempre detto che voleva vivere in una Turchia democratica e desiderava un Paese in cui tutti i pareri potessero essere enunciati, un Paese con libertà di espressione. Hrant Dink è stato sempre definito “traditore della patria”. Adesso lui, nella sua tomba, e la sua famiglia su questa terra, insieme ai suoi amici, parenti, conoscenti, colleghi e sostenitori, aspettano giustizia. Il tempo scorre come ha fatto per centinaia e migliaia di cittadini turchi ed ottomani di origini armene che da tempo aspettano quel giorno in cui potranno vivere in Anatolia insieme a tutti i popoli, in pace.
Qui riporto un articolo di Hrant Dink che mi sta nel cuore e che ho tradotto con l’ausilio di Gepi Scapparone, mia moglie.
“Un signore anziano di un qualche paese vicino a Sivas mi telefonò e disse: ‘Figlio mio, ti stavamo cercando: qui c’è una donna vecchia… credo sia una di voi. Dio l’ha presa con sé. Se trovate qualche suo parente, mandatelo qui da noi, così potrà prenderla e portarla via, altrimenti faremo il nostro rito religioso e la sepelliremo. ‘Va bene’ ho risposto ‘Mi informerò’.
Mi ha detto che la signora si chiamava Beatris ed aveva 70 anni. Veniva dalla Francia, per visitare la città. Ho fatto un po’ di chiamate e, in 10 minuti, ho trovato un indirizzo. Noi siamo pochi, ci conosciamo tutti. Sono andato al negozio che mi avevano indicato ed ho chiesto se conoscessero questa persona. Ho fatto il suo nome. Una signora non più giovane mi disse: ‘è mia madre”. Stupito ho indagato: ‘Beh, scusi, e dove vive sua madre?’ “Vive in Francia, fratello mio, viene in Turchia 3-4 volte all’anno ma non si ferma mai ad Istanbul. Va direttamente nel villaggio che lasciammo anni fa”. Allora le spiegai tutto e dissi di andare al villaggio.
Il giorno dopo, qualcuno mi chiamò. La signora aveva trovato sua madre e l’aveva identificata. Si mise a piangere per telefono. Le chiesi “Allora cosa fa? Porterà qui la salma?” e lei mi disse; “Fratello mio… la porterei via ma qui c’è un signore che…” fu interrotta dal suo pianto. La esortai a passarmi quel signore. A lui chiesi: “Che state facendo? Perché fate piangere la signora?” “Figlio mio”, rispose “Io non le ho detto nulla: le ho detto solo che quella donna è sua madre e che se vuole può seppellirla qui, è come un fiume che ha trovato il proprio letto. In quel momento mi sono messo a piangere anch’io. Mi sono messo a piangere per questo modo di percepire e rappresentare le cose della gente dell’Anatolia.
Sì, “il fiume ha trovato il proprio letto”. E’ proprio così. Infatti, signori: gli armeni hanno delle “pretese” in questo mondo … hanno pretese verso questo Paese, ed un cuore rivolto a queste terre. Lo avevo già scritto e detto anni fa, quando il Presidente Demirel disse “Non abbiamo nemmeno un pezzo di pietra da dare agli Armeni”. Allora avevo scritto e raccontato la storia di questa donna. “Sì, noi, gli armeni, abbiamo gli nostri occhi puntati su questa terra, ma non preoccupatevi: non è perché vogliamo portarvi via questo territorio, solo vogliamo ritornarci ed entrarci dentro, per poterci vivere per sempre’.
La testimonianza di Hrant Dink
di MATTEO MIELE, ROYAL UNIVERSITY OF BHUTAN
Cinque anni fa fu ucciso a Istanbul un giornalista che aveva ricordato il genocidio degli armeni
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Cinque anni fu ucciso a Istanbul il giornalista armeno Hrant Dink. Aveva 52 anni e si trovava poco lontano da Agos, il giornale di cui era direttore e che veniva pubblicato in armeno e turco. Il suo assassino non aveva ancora diciotto anni. Dink venne ucciso perché “testimone” di un crimine che la storia ha ormai riconosciuto e condannato, ma stenta ancora a trovare giustizia: il genocidio degli armeni, un milione e mezzo di persone uccise dai Giovani Turchi nel 1915 per creare uno stato nazionale. Pochi mesi prima di essere assassinato era stato condannato per aver scritto del genocidio armeno, sulla base dell’articolo 301 del Codice penale turco, che punisce l’offesa all’identità turca, una sorta di passepartout per imbrigliare la libertà di stampa e di espressione nel paese. Il suo funerale si trasformò in un momento di grande commozione per la città e per il paese intero che ora si interrogava davanti alle centomila persone che gli rendevano omaggio con lo slogan “siamo tutti armeni”.
La Turchia che chiede l’ingresso nell’Unione Europea continua sistematicamente a rifiutare il riconoscimento del genocidio armeno. Un milione e mezzo di bambini, donne e uomini trucidati nelle loro case di Istanbul o dell’Armenia storica, oppure lasciati morire nel deserto siriano. Il popolo armeno, i suoi superstiti, è rimasto come testimone. È testimone nella Repubblica d’Armenia, che copre meno di un quarto del territorio dell’Armenia storica, con Yerevan, la capitale che ammira impotente il monte Ararat, oggi oltreconfine, simbolo di un’identità tormentata. È testimone nella Diaspora, in Medio Oriente, nelle Americhe, in Europa. È testimone a Venezia. È testimone nella richiesta di libertà degli uomini e delle donne dell’Artsakh e nell’amorevole conservazione dei libri e dei manoscritti, legami con la propria storia.
Hrant Dink era uno di questi uomini.
Turchia: paese scosso per caso-Dink, si indaghera' ancora
Erdogan vuole fugare i dubbi dopo manifestazione di piazza
ANSA 20 GENNAIO, 18:39
(di Rodolfo Calo') (ANSAmed) - ANKARA, 20 GEN - Tra resoconti delle manifestazioni di ieri, dichiarazioni al massimo livello e annunci di ricorsi, la Turchia continua ad essere concentrata sul caso di Hrant Dink, il giornalista turco-armeno ucciso cinque anni fa per quello che tutti - tranne la magistratura - considerano un complotto nazionalista che ha coinvolto pezzi dello Stato ancora nell'ombra.
Alcuni giornali, tra cui Vatan, hanno alzato a ''decine di migliaia'' la stima sul numero di partecipanti alla manifestazione inscenata a Istanbul per commemorare il quinto anniversario della morte del giornalista. Dink era stato ucciso in pieno giorno a colpi di arma da fuoco nella citta' sul Bosforo dopo aver ricevuto minacce da nazionalisti infuriati per gli articoli che pubblicava sul settimanale turco-armeno Agos di cui era direttore: vi esortava i turchi a riconoscere le loro responsabilita' per le stragi di armeni perpetrate durante la caduta dell'impero ottomano (la questione del ''genocidio'' che ha innescato una crisi diplomatica fra Turchia e Francia).
Dopo che l'anno scorso erano stati condannati il killer reo confesso e sei o sette uomini delle forze di sicurezza che non lo fermarono, ha creato indignazione l'assoluzione di quasi tutti i 19 presunti complici del minorenne che fece fuoco: a fare scandalo e' che la sentenza esclude l'esistenza di un'organizzazione dietro il delitto. La nebbia calata sul caso ha trasformato l'anniversario in una marcia di protesta che ha scosso il paese. Oggi il premier Recep Tayyip Erdogan, pur sottolineando che la magistratura e' indipendente e che quindi il governo non c'entra nulla con la presunta insabbiatura, ha ricordato che c'e' ancora una fase di appello e ha detto di sperare che ''la magistratura compira' passi che diano sollievo alla coscienza pubblica e fughino i dubbi''. ''Nessun complotto o provocazione rimarra' segreto.
Nessun omicidio rimarra irrisolto'', ha detto ancora.
Critiche alla sentenza sono venute oggi pure da un vicepremier, Bekir Bozdag, dopo che - fra i molti - anche un portavoce della commissione Ue e il presidente della Repubblica, Abdullah Gul, avevano auspicato una nuova indagine sui mandanti dell'omicidio.
Il caso comunque non e' chiuso: il capo della procura di Istanbul, Hikmet Ustam, ha annunciato appello contro la sentenza di questa settimana che ha inflitto un ergastolo, ma negato l'associazione per delinquere. ''E' coinvolta un'organizzazione e c'e' la prova. C'e' addirittura un'abbondanza di prove'', ha sostenuto il magistrato. Del caso Dink dunque si parlera' ancora, tenendo presente che i ''sospetti'' evocati anche da Erdogan si appuntano su settori deviati laici dello Stato turco che, secondo un'ipotesi ricordata di nuovo oggi da un editoriale del quotidiano Milliyet, volevano screditare il partito del premier islamico-moderato Erdogan, insanguinando il paese con omicidi di magistrati e non-islamici attribuiti a fondamentalisti musulmani. E' la pista del complotto dell'organizzazione golpista ultra-laicista ''Ergenekon'', tirata in ballo anche durante le udienze del processo conclusosi questa settimana, come ricordano editoriali del quotidiano islamico Zaman.
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Génocide arménien > Pourquoi la Turquie nie
Les explications de Vincent DUCLERT*, historien, professeur à l'Ecole des hautes études en sciences sociales, qui a vécu et enseigné en Turquie dans les années 1980.
Ceci est la version intégrale de l'interview parue, ce samedi matin, dans les éditions papier d'Ouest-France. Photo : Daniel FOURAY.
Quand on évoque le génocide des Arméniens de l'empire Ottoman, en 1915, de quoi parle-on ?
D'un processus d'extermination d'un peuple défini par sa religion, qui composait la plus forte des minorités chrétienne et sans doute la plus forte des minorités de Turquie, et la plus fidèle à l'empire Ottoman. D'un processus responsable de la mort, entre 1915 et 1917, de près d'un million de personnes dans des conditions terrifiantes, de l'exil dans la misère des survivants et de l'islamisation forcée de plusieurs dizaines de milliers d'enfants. Mais ce processus avait commencé bien avant. Dès les années 1890, le sultan Abdülhamid II a fait tuer près de 200 000 Arméniens, moins pour les exterminer que pour leur administrer une telle leçon telle qu'ils n'auraient plus jamais revendiqué de droits. Et d'une certaine manière il s'est prolongé : lors du massacre des kurdes alévis de Dersim (est de l'Anatolie) par l'aviation, en 1937-1938, sont en même temps visés des Arméniens que ces Kurdes avaient protégés.
L'intention exterminatrice est-elle avérée ?
Oui. À l'ambassadeur américain Morgenthau, qui tente de sauver les Arméniens, Talaat Pacha, l'un des trois hommes forts du gouvernement Union et progrès (ultra-nationaliste) au pouvoir en 1915, répond qu'il assume cette extermination. Les moyens utilisés tels que l'Organisation spéciale, un service secret qui sort des détenus de droits communs de prison et les manipule, ou bien les pratiques systématiques d'atroce mutilation des corps et de déshumanisation des êtres, ne laissent pas place au doute. D'ailleurs, le juriste Raphaël Lemkin, qui a défini la notion de génocide et la défendra à Nuremberg avant qu'elle soit retenue par l'Onu, s'est appuyé sur le génocide des Arméniens - qu'il a lui-même reconnu - pour la concevoir.
La Turquie a-t-elle toujours nié ces massacres ?
Cette négation n'a pas été immédiate. Au départ, Mustafa Kemal (le général qui refuse le découpage et l'occupation de l'Anatolie après la guerre et qui fondera la république de Turquie en 1923, N.D.L.R.) a eu des mots très durs pour les crimes monstrueux des unionistes. Il était prêt à les juger. Il s'est éloigné de cette position à mesure que son mouvement nationaliste était menacé par les Grecs et par les alliés en général. En 1922, l'urgence est à l'union sacrée et Kemal repêche les génocidaires. Dans les années 1920, il n'y a pas de négation, mais une justification du massacre, par le fait que les Arméniens auraient été des traîtres, que l'on était en situation de guerre.
Quels sont les ressorts de ce négationnisme ?
Lorsque les premières demandes de reconnaissance du génocide par les Arméniens sont exprimées, après la Seconde Guerre mondiale, la négation s'installe. Parce qu'elle impliquerait de reconnaître une forme de continuité entre l'empire Ottoman et la République turque, et risquerait de déstabiliser la nouvelle bourgeoisie turque, enrichie par les spoliations de biens arméniens. Aujourd'hui, le gouvernement turc dit à l'Arménie créons une commission mixte d'historiens : manière d'aborder le génocide comme une thèse à discuter (et à noyer dans le piège relativiste), et non comme vérité objective, démontrée par les chercheurs.
Était-ce le rôle du Parlement français de s'en mêler ?
Les députés ont fait droit, je pense, à une demande de la communauté arménienne (la France accueille avec les États-Unis le plus grand nombre d'Arméniens), qui souffre de ce que son histoire est peu connue et de l'activisme de la propagande des réseaux négationnistes. Lors de la saison culturelle turque en France (2010), des programmes ont été ainsi réimprimés et expurgés de toute référence à 1915. La loi part d'un bon sentiment - même si elle est chargée d'opportunisme politique. En tant qu'historien, je me méfie de ce qui tend à établir une vérité d'État. La meilleure façon de lutter contre le négationnisme, c'est de soutenir le travail des historiens, de créer des chaires d'études comparées des génocides, de publier et de vulgariser la recherche.
Est-ce que cela fait bouger les choses en Turquie, objectif affiché par Nicolas Sarkozy lors de son voyage en Arménie en octobre 2010 ?
Les choses ont bougé en Turquie, mais cela n'est pas dû à l'action de Nicolas Sarkozy qui a proclamé à de nombreuses reprises que la Turquie n'avait rien à faire en Europe (qu'il se désintéressait des Turcs en d'autres termes). Ce que je note en revanche, c'est que la parole avait commencé à se libérer dans la société civile turque, des intellectuels, des journalistes, des historiens participant à plusieurs colloques sur la question depuis 2005. En même temps, ces votes au Parlement français interviennent en plein tournant liberticide en Turquie. Après avoir favorisé la démocratisation au début des années 2000, le gouvernement AKP de Recep Tayyip Erdogan la combat en faisant notamment un usage exorbitant des lois antiterroristes. De nombreux journalistes, universitaires, et plus de 500 étudiants sont emprisonnés pour des faits relevant de la liberté d'expression, y compris Ragip Zarakolu, éditeur turc de l'un de mes livres, qui a publié très courageusement de nombreuses études sur l'histoire des Arméniens et la vérité du génocide.
Recueilli par Bruno RIPOCHE.
*Agrégé d'histoire très connu pour ses livres sur l'affaire Dreyfus, Vincent DUCLERT est aussi l'auteur de « L'Europe a-t-elle besoin des intellectuels turcs ? » (Ed. Armand Colin) et co-fondateur de l'initiative du Groupe international de travail GIT « Liberté de recherche et d'enseignement en Turquie » (www.gitfrance.fr).
Convegno e Mostra Fotografica dedicato a Hrand Nazariantz
Presso la Biblioteca Provinciale Santa Teresa dei Maschi il 25 gennaio dalle ore 16,00, il Centro Studi “Hrand Nazariantz” con il Patrocinio e il supporto dell’Assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia, il patrocinio della Provincia di Bari, del Comune di Bari, del Consiglio per la Comunità Armena di Roma e con l’apporto della Timurian s.r.l., ha realizzato un convegno e mostra fotografica dedicato a Hrand Nazariantz, studioso e poeta armeno vissuto a Bari dal 1913 al 1962.
Nel 50° anniversario dalla sua morte, studiosi turchi, armeni, siriani e greci staranno insieme, in un’eccezionale opportunità di dialogo, per discutere sulla questione Turco-Armena. Interverranno tra gli altri la prof.ssa Silvia Godelli, assessore al Mediterraneo della Regione Puglia, il vice Presidente della Provincia di Bari dott. Trifone Altieri, il sindaco di Bari, dott. Michele Emiliano, il prof. Kegham J. Boloyan (Università del Salento), la prof.ssa Isabelle Bernardini d’Arnesano Oztasciyan (Università del Salento), il dott. Murat Cinar (giornalista e corrispondente di testate progressiste turche), il prof. Cosma Cafueri (presidente del Centro Studi “Hrand Nazariantz”).
In programma un momento di letture a cura dell’attore Vito Lopriore e l’esecuzione musicale di musiche di Schumann, Albeniz, De Falla, Rota, Casavola dirette dal Maestro Di Leo ed eseguite dal baritono tedesco Alexander Schmidt e dalla pianista spagnola Elena Méndez Gallego.
Durante la serata sarà presentato il libro “Hrand Nazariantz Fedele d’Amore” a cura del prof. Paolo Lopane, con introduzione di Bhogos Levon Zekiyan, Bari, F.A.L. Vision, 2012. Volume costellato da materiale inedito per celebrare Hrand Nazariantz.
Al Convegno è collegata una Mostra Fotografica, avente per tema Nazariantz e i suoi luoghi e gli ambienti di vita da Istanbul a Parigi, le sue frequentazioni a Bari dove svolse diverse occupazioni di docente e traduttore, i suoi amici di Conversano, la sua famiglia e ad alcuni dei suoi amori, le immagini di “Nor Arax” (villaggio-opificio di via Amendola).
La mostra rimarrà aperta, nell’orario di visita al pubblico della Biblioteca Provinciale, fino al 2 febbraio 2012.
Antonio Calisi
Génocide La communauté arménienne d’Alsace à fond pour la loi
le 22/01/2012 à 05:00 par Michel Arnould
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Le père Vatché Ayrapétyan (à gauche), prêtre de la seule paroisse arménienne d’Alsace. Photos M. A.
http://www.lalsace.fr/actualite/2012/01/22/la-communaute-armenienne-d-alsace-a-fond-pour-la-loi?image=10354A66-8CD8-4815-9617-94F109BEF6E4 - galery
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Demain, le Sénat examine à son tour le projet de loi pénalisant la négation du génocide arménien de 1915. Un débat suivi avec ferveur par la très discrète communauté arménienne d’Alsace.
Ils seraient 8 000 dans la région, à en croire le père Vatché Ayrapétyan, prêtre de la paroisse de l’église apostolique arménienne de France. Une paroisse toute jeune, la seule d’Alsace, qu’il organise peu à peu depuis un an grâce à l’accueil fraternel de la paroisse catholique Sainte-Madeleine, du quartier de la Krutenau à Strasbourg, qui lui prête une vaste chapelle.
« Chaque dimanche, une centaine de personnes participent à l’office et, bien sûr, beaucoup plus lors des grandes fêtes », explique le père Vatché. La religion joue un rôle de boussole pour le peuple arménien qui se flatte d’avoir été le premier État chrétien du monde, avant même l’Empire romain, avec la conversion du royaume d’Arménie dès le début du IV e siècle. Aujourd’hui encore, le christianisme dispose d’une écrasante majorité, proche de 100 % de la population, dominée par l’église apostolique, une église orthodoxe orientale.
Pour le père Vatché, le débat franco-français et franco-turc sur la reconnaissance du génocide arménien est une surprise… quasi divine : « Merci la France, merci le peuple français ! Nous prions pour que cette loi soit acceptée. Non pas comme une vengeance, mais comme un appel à réfléchir et à condamner tous les génocides… Chaque homme a le droit de vivre sur cette terre. »
Le groupe de jeunes, réuni autour du prêtre acquiesce, mais est plus vif dans son expression.
« En mars 2011, on a été une quarantaine de jeunes Arméniens d’Alsace à monter à Paris pour manifester devant l’Assemblée nationale avec Charles Aznavour et Patrick Devedjian, pour la reconnais- sance du génocide de 1915 », raconte Hamlet Housepian, 22 ans, ouvrier à Strasbourg, arrivé en Alsace à l’âge de 8 ans, en novembre 2004 (lire aussi l’encadré).
Pourquoi la France et l’Alsace ? Parce qu’un oncle y était déjà établi. C’est d’ailleurs le cas de la très grande majorité des Arméniens d’Alsace qui constituent une immigration très récente. La communauté alsacienne s’est constituée seulement au cours des 20 dernières années. « Il y avait peut-être quelques familles anciennes, avant », estime le prêtre. Il faut traduire « familles anciennes » par descendants de familles rescapées du génocide de 1915 et arrivées en France au début des années 1920.
Les nouveaux immigrants ne fuient pas un génocide mais le marasme économique arménien. Pays semi-désertique, sans accès à la mer et sans grande richesse naturelle, l’Arménie végète économiquement depuis la fin de l’Union soviétique dont elle faisait partie. Elle entretient de plus de très mauvaises relations avec deux de ses quatre voisins, la Turquie et l’Azerbaïdjan. Avec ce dernier pays couve même un conflit armé, gelé depuis 1994.
À ces difficultés s’ajoute une très violente sismicité. Le dernier très gros tremblement de terre, le 7 décembre 1988, a fait plus de 30 000 morts, soit 1 % de la population. « On a tout connu : des séismes, le génocide azéri…, mais on est toujours là », note Souren Azarpyan, 24 ans.
* * *
« Mon arrière-grand-père a été sauvé par un Kurde »
Tout nouveau champion d’Alsace de lutte dans la catégorie des 60 kilos, Hamlet Housepian est, ce dimanche 22 janvier, à Sarrebourg, où se déroulent les championnats de France. Avec, peut-être l’espoir, d’offrir ce soir un champion de France de plus à sa terre d’adoption…
À 22 ans, le génocide de 1915 est pour lui une histoire, certes ancienne, mais qui résonne encore. « Nous n’avons pas connu ce malheur, admet-il. Mais mon arrière-grand-père a dû fuir l’empire ottoman. Il est venu se réfugier en Arménie soviétique de l’époque. Il a été aidé et protégé pour cela par un Kurde, alors même que les autorités ottomanes manipulaient la minorité kurde pour qu’elle s’en prenne aux Arméniens. Mon arrière-grand-père a écrit sa vie et je garde ses écrits. »
Le débat sur le projet de loi, le captive. « On espère que la loi passe pour que les États-Unis suivent… » La réaction du gouvernement turc, qui menace la France de représailles économiques et politiques, le conforte dans son opinion : « Menacer un pays, c’est montrer qu’on a peur de lui et que la France a raison. »
Enfin, les accusations de manœuvre électorale à quelques semaines d’élections présidentielles et législatives le laissent sceptique : « Les Franco-Turcs sont beaucoup plus nombreux que les Franco-Arméniens. Ils seraient donc plus rentables électoralement, non ? »
le 22/01/2012 à 05:00 par Michel Arnould
TRIESTE: DELEGAZIONE ARMENA VENERDÌ LA PRESENTAZIONE ALL’UESE
MERCOLEDÌ 18 GENNAIO 2012 15:46
TRIESTE\ aise\ - Venerdì prossimo, 20 gennaio, Rouben Karapetian, Ambasciatore della Repubblica di Armenia in Italia e Massimiliano Lacota, Segretario Generale dell’Unione Europea degli Esuli e degli Espulsi terranno una conferenza stampa di presentazione del programma di visita che la delegazione del Governo della Repubblica di Armenia, guidata dal Ministro della Diaspora Hranoush Hakobyan, compirà assieme ad una rappresentanza di imprenditori della capitale Yerevan nei giorni 10 ed 11 febbraio 2012 a Trieste.
Durante l’incontro, che inizierà alle 16.15 a Trieste, presso la Sala del Consiglio di Palazzo Tonello, verranno presentate anche le iniziative di carattere culturale che accompagneranno la visita della delegazione del Governo armeno, tra le quali una conferenza di carattere internazionale.
Prenderanno parte alla conferenza stampa anche l’Assessore Regionale Elio De Anna, la Presidente della Provincia di Trieste Maria Teresa Bassa Poropat ed il presidente della Camera di Commercio, Industria ed Artigianato di Trieste, Antonio Paoletti. (aise)
Armenia, la strage delle innocenti
da LaStampa.it
Cresce, nel paese fiero delle proprie radici cristiane, il fenomeno dell’aborto selettivo ai danni delle nasciture. Ogni anno 1400 bambine non arrivano alla nascita: un tabù per la chiesa ortodossa
GIORGIO BERNARDELLI
ROMA
Non è una Paese per bambine: ben 114 maschi contro 100 femmine alla nascita, quando invece le proporzioni normali non dovrebbero andare mai oltre un rapporto di 105 a 100. Sembrerebbero le cronache sull’aborto selettivo - la triste pratica di interrompere la gravidanza se si scopre che a nascere sarà una femmina - che abbiamo purtroppo letto tante volte dall’India o dalla Cina. E proprio di questo fenomeno stiamo parlando. Che ora, però, si scopre essere molto diffuso anche in un Paese come l’Armenia. Cioè in una terra molto fiera delle proprie radici cristiane e che solitamente fa notizia per la memoria del genocidio subito all'inizio del Novecento proprio in nome di questa identità.
A lanciare l’allarme è stato, alcune settimane, fa il Consiglio d'Europa, che ha approvato una risoluzione nella quale - condannando la pratica dell'aborto selettivo - si cita il fatto che questo dramma è molto diffuso anche nei Balcani. Pochi giorni dopo il tema è stato ripreso da un articolo di denuncia pubblicato dalla giornalista armena Nanore Barsoumian sul settimanale Armenian Weekly. E il quadro che emerge è molto inquietante: l'abbinamento tra l'abitudine all'aborto facile lasciato in eredità in Armenia dagli anni dell'Unione Sovietica e una mentalità non proprio amica delle donne tuttora radicatissima, fa sì che nel Paese i tassi di squilibrio tra i due sessi alla nascita viaggino a livelli cinesi. Con alle spalle anche pratiche del tutto illegali ma evidentemente tollerate: in Armenia, infatti, l'aborto sarebbe ammesso solo entro la dodicesima settimana, prima dunque di conoscere il sesso del nascituro. La sezione armena dell'Unpfa (il dipartimento dell’Onu sulla popolazione) è arrivata addirittura a proporre una stima: sarebbero almeno 1.400 ogni anno le bambine che nel Paese non arrivano alla nascita solo perché all'ecografia vengono riconosciute come femmine.
L'articolo di Nanore Barsoumian ha sollevato un vivace dibattito tra i lettori del sito del settimanale armeno. E più di uno ha chiamato in causa il silenzio del locale patriarcato su questo tema così scottante. Del resto gli armeni amano ricordare di essere stati i primi ad adottare il cristianesimo come religione di Stato: già nell'anno 301 dopo Cristo, infatti - dodici anni prima dell'Editto di Costantino - re Tiridate si convertì a quel Vangelo che in Armenia, secondo la tradizione, avrebbero annunciato per primi gli apostoli Bartolomeo e Giuda Taddeo. E la Chiesa apostolica armena - antica Chiesa orientale che prese una strada differente rispetto a Roma già ai tempi del Concilio di Calcedonia - è stata nei secoli il baluardo dell'identità di questo popolo dalla storia tanto travagliata.
Le statistiche ufficiali classificano oltre il 98 per cento degli armeni come cristiani (anche se non bisogna dimenticare l’eredità dell’ateismo di massa predicato anche qui a lungo dal comunismo sovietico). Come molte Chiese d’Oriente, però, anche quella armena è sempre stata molto restia a condannare pubblicamente l’aborto. Nel 1995, interpellato sulla questione dal Washington Post durante un viaggio negli Stati Uniti, l’allora guida della Chiesa apostolica armena Karekin I spiegò: «Noi non emettiamo pronunciamenti dogmatici o imposizioni di principi. Quando una persona è nutrita dal cristianesimo e la sua coscienza è formata da principi cristiani, quella persona deve essere libera nell’affrontare questioni specifiche come quella dell’aborto. La Chiesa non deve essere coinvolta in questo tipo di dettagli. Gesù non ha mai imposto nulla ai suoi discepoli».
L’atteggiamento non sembra essere mutato con il suo successore Karekin II, catholicos degli armeni dal 1999. Che nel suo recente messaggio di Natale - diffuso il 6 gennaio scorso - ha criticato il mondo moderno «appesantito da difficoltà, privazioni, contraddizioni e conflitti costruiti dall’uomo». E ha anche aggiunto che «il rifiuto di Cristo e dei suoi comandamenti fa nascere guerre e tragedie, minaccia il nostro pianeta, diviene causa di un indebolimento dell’anima e dello spirito, come per l’interruzione violenta della vita donata da Dio». Riguardo a queste ultime parole, però, ha offerto solo due esemplificazioni: l’omicidio e il suicidio. La questione delle bambine non nate, evidentemente, per la Chiesa apostolica armena resta ancora un tabù.
S.M
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