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Rapito il Padre Michael , ex alunno del Collegio Armeno di Roma in Siria e dimenticato dal mondo
Rapito dai banditi e dimenticato dal mondo
La storia di padre Michael Kayal


http://www.aleteia.org/it/dal-mondo/news/rapito-dai-banditi-e-dimenticato-dal-mondo-986002
16 apr 2013- Carly Andrews
Rapito e dimenticato: il 9 febbraio 2013, il sacerdote 27enne Michael Kayal di Aleppo, in Siria, è stato sequestrato dai ribelli estremisti islamici. A due mesi dalla scomparsa non si hanno più sue notizie, ma il mondo resta in silenzio. Monsignor Georges Dankaye, rettore del Collegio Armeno di Roma e procuratore della Chiesa armena ‎cattolica presso la Santa Sede, parla del rapimento di padre Michael e del terribile incubo che tormenta i ‎cristiani siriani. È una realtà di spargimento di sangue, tortura e disumanità a livelli impensabili. ‎ ‎“Padre Michael è stato mio allievo in seminario per due anni ad Aleppo. Era molto gentile e intelligente”, ‎racconta Dankaye, sorridendo tristemente. “Amava praticare lo sport, gli piacevano la musica e cantare. ‎Era sempre pronto a dare una mano”.‎ I due sono stati anche più di un anno insieme al Collegio Armeno, quando Michael studiava Diritto ‎canonico presso il Pontificio Istituto Orientale. È stato poi ordinato sacerdote il 2 novembre 2011. ‎ Quando padre Michael è tornato in Siria, le sollevazioni erano già iniziate e la violenza si stava ‎diffondendo nel Paese. Eppure, il suo “spirito, il suo entusiasmo e il suo zelo” hanno tuttavia conquistato il ‎cuore sia del parroco che dei parrocchiani. Mentre la situazione peggiorava e i rifugiati affluivano dalle ‎periferie di Aleppo, padre Michael, insieme a tre altri giovani sacerdoti, ha avviato una missione con i ‎migranti. “Andavano ogni giorno nelle scuole in cui le famiglie musulmane stavano trovando rifugio e ‎portavano loro da mangiare, assicurando sia il pranzo che la cena, e portavano anche altri aiuti, nonché ‎medici”. Sembra che padre Michael stesse seguendo la scia dei santi lavorando con spirito di servizio e ‎compassione: “Mi ricordo di una telefonata in cui mi disse: 'Quello che posso fare sempre è servire, e nulla ‎è più grande di questo'”, ricorda Dankaye. 

Il 9 febbraio, padre Michael ha lasciato Aleppo. Era previsto ‎che si recasse a Roma, fermandosi in una piccola città lungo il cammino per Beirut prima di arrivare in Italia ‎il 12 febbraio. Viaggiava da poco quando a uno dei tanti blocchi posti lungo le strade siriane, una banda di ‎ribelli ha preso d'assalto l'autobus. “C'erano tre presbiteri a bordo, due in veste sacerdotale e un salesiano ‎senza abito. Hanno visto i due con la veste sacerdotale e li hanno fatti scendere; al terzo non hanno detto ‎nulla”. ‎“Mezz'ora dopo hanno parlato al telefono con suo fratello dicendo 'Vi contatteremo presto per giungere a ‎un accordo'”, ha continuato monsignor Dankaye. “Da quel momento l'unico contatto è stato con suo ‎fratello, mai con la Chiesa; e allora il fratello ha parlato con il vescovo... e sembra che il vescovo abbia ‎informato il Governo”. La famiglia di padre Michael ha rivelato di aver ricevuto la richiesta di un riscatto di ‎un milione di lire siriane e della liberazione di 15 prigionieri. Tuttavia, in seguito, i terroristi hanno ‎rinunciato alla richiesta di rilascio dei prigionieri, accontentandosi solo del denaro. “Questo ci fa pensare ‎che si tratti di un piccolo gruppo armato più che del Fronte di Liberazione Siriano, perché la liberazione di ‎‎15 prigionieri avrebbe fatto molto gola”. “Ci sono circa 2000 di questi piccoli gruppi. Non si organizzano o ‎coordinano tra loro; ogni gruppo ha i propri obiettivi, i propri ideali”. La disorganizzazione è diventata ‎evidente dopo il sì della famiglia al pagamento del riscatto, quando il gruppo non si è fatto più avanti per ‎reclamarlo. ‎
Qual è quindi la situazione ora? Padre Michael è ancora vivo? Dankaye afferma che “l'unica ‎informazione che abbiamo è una telefonata del 20 febbraio; gli hanno permesso di parlare con la madre ‎per meno di mezzo minuto, e ha detto 'Mamma, sto bene, ma prega per me'. Da allora non ci sono stati ‎altri contatti. Non sappiamo nulla. Tutto è avvolto dal mistero”.‎ Siamo di fronte a una persecuzione evidente e crudele della Chiesa cristiana in Siria? La risposta, ‎ovviamente, è affermativa, ma la situazione è complessa; Dankaye spiega che “all'inizio degli scontri ‎l'opposizione ha affermato che voleva preservare la comunità cristiana. Ha detto 'Non abbiate paura di ‎andare contro questo sistema; vi tratteremo bene', ma ovviamente non ha ottenuto la risposta positiva ‎che si aspettava”. Per Dankaye, l'opposizione pensava che la comunità cristiana avrebbe imbracciato le ‎armi e si sarebbe unita ai ribelli, “ma la comunità cristiana in Siria non sa come imbracciare le armi o entrare ‎in guerra. È composta da cittadini normali che amano il proprio Paese, e per i quali è difficile prendere le ‎armi contro chiunque... Non hanno quindi partecipato alle manifestazioni, né hanno preso le armi, e ‎questo li ha fatti infuriare”.‎ E adesso, ha continuato Dankaye, “dicono 'Ci vendicheremo. Voi cristiani non partecipate alla guerra, e ‎quindi dovrete pagare”. È un attacco dettato dalla vendetta più che una persecuzione specificatamente ‎religiosa. Dankaye si è però riferito anche ad altri gruppi come i “jihadisti e nasrat, nel qual caso si può ‎parlare chiaramente di persecuzione religiosa”. Menziona inoltre gli alawiti, aggiungendo che “una buona ‎parte dei sunniti è a favore del Governo e commette massacri”.‎ ‎ ‎“La comunità cristiana non ha alcuna via d'uscita, è circondata”, ha sottolineato Dankaye. “Si sta ‎preparando per il martirio... non lo vogliamo, non lo speriamo; lo temiamo, ma è così”. Dankaye ha quindi ‎ricordato le parole pronunciate da suo padre due settimane prima: “Mi ha detto 'Se senti che siamo morti, ‎non venire al nostro funerale; non vogliamo che tu venga con noi'”.‎ ‎
 Monsignor Dankaye ha poi condiviso un messaggio ricevuto da un amico qualche giorno fa, che incarna la ‎scioccante gravità della situazione dei cristiani siriani: “Il lupo uccide i cuccioli che non ce la fanno da soli ‎di modo che non vengano mangiati vivi da topi e formiche. È un atto di pietà. Non giudicare le mie parole ‎troppo severamente. Parla con i tuoi genitori”. Quando i genitori arrivano a pensare a porre fine alla vita ‎dei propri figli, si possono solo immaginare le atrocità che li attendono a pochi passi dalla loro porta. ‎ ‎
Alla domanda finale su ciò che possono fare i cristiani di tutto il mondo, la risposta è stata: pregare. ‎‎“Restate sempre in preghiera. È un momento che anche Nostro Signore ha vissuto nel Getsemani. C'è la ‎tentazione di fuggire, o di gridare al Signore 'Salvaci!', ma poi, se questa è la sua volontà, dobbiamo essere ‎pronti, come lo sono stati i martiri, ad affrontare la morte nella fedeltà... è nella preghiera che restiamo ‎saldi nella fede e forti nella speranza, e fino all'ultimo momento restiamo nell'amore, anche di fronte a chi ‎non sa quello che fa”.‎ Ci rivolgiamo quindi ai cristiani di tutto il mondo: pregate per padre Michael; pregate per la Siria, una terra ‎insanguinata devastata da un'inesorabile ondata di male; pregate per gli uomini torturati e mutilati, per le ‎donne e le ragazze violentate, per i cristiani perseguitati; pregate per quanti commettono queste indicibili ‎atrocità, e soprattutto pregate che il mondo esca da questa insopportabile spirale di silenzio e accorra in ‎aiuto dei suoi fratelli e delle sue sorelle.‎ ‎ Lanciamo infine un appello disperato all'umanità dei rapitori di padre Michael: fatelo tornare a casa. Per ‎favore, lasciate che padre Michael Kayal faccia ritorno a casa.‎

V.V

 
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