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24 _ Giug_ 2013 Cenni sull’Architettura Armena dell’Arch. Vahè Massihi Vartanian
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Seminario sull'Architettura Armena, 16. 05. 2013, Roma
http://www.youtube.com/watch?v=Ja2SPnfQMtI
Roma -il 23 Giugno 2013
A distanza di 47 anni , è rara , se non unica occasione, partecipare ad uno stimolante convegno promosso dalla Comunità Armena di Roma e del Lazio nella prestigiosa sede della Biblioteca Alessandrina presso l’Università degli studi di Roma “ La Sapienza “.
L’incontro del 16 maggio introdotto da Maria Cristina Martino, direttrice della biblioteca, ha visto protagoniste Maria Adelaide Lala Comneno e Simonetta Ciranna. In questo ambito è stata presentata la mostra “ Edizioni Armene, libri a stampa nei secoli XVII e XVIII” .
Il convegno ha ricordato tutte le fasi ed i significati dell’architettura armena nella sua originalità ed unicità di forme, simboli e significati religiosi.
Con valide e documentate argomentazioni storiche e teologiche è stato affermato che l’architettura armena è unica come uniche sono le ragioni della sua cristianità ed originali le liturgie della sua chiesa.
Pertanto nulla è più erroneo della convinzione diffusa che l’architettura bizantina abbia qualcosa in comune con quella armena.
Essere armeno ed essere cristiano gregoriano è un tutt’uno imprescindibile storicamente ed antropologicamente da riferire al passaggio dalla religione zoroastriana a quella cristiana.
Ciò premesso, e, su questa base, vi è poi il profondo significato teologico della fede cristiana accettata dal popolo armeno attraverso la primitiva testimonianza e predicazione apostolica di S. Giuda Taddeo, cugino e discepolo di Gesù Cristo.
I Luoghi della predicazione vennero presto meta di pellegrinaggi.
La costruzione del monastero di S. Taddeo è sul luogo del martirio e sopra la tomba dell’apostolo . Accanto, e non molto distanti, vi sono altri santuari.
Il più importante è quella di Sandukht , figlia del Re Abkar d’Armenia prima suora martire, condividente per la fede il destino di S. Taddeo.
Questi complessi monastici in Azerbaijan Iraniano, nel 2008 dall’Unesco sono stati riconosciuti, insieme a quelli di S. Stefano e di Zor-Zor , patrimonio dell’Umanità.
Va osservato, nel rispetto della verità storica che ufficialmente , sin dal 301 D.C., per la predicazione di S. Gregorio Illuminatore, il popolo armeno, per volontà propria e del re Tirdate III, accetta con il battesimo della nazione la fede cristiana.
Per inciso il re Tirdate III, divenuto cristiano, con la sua testimonianza , arrivato a Roma, contribuisce nel 313 alla conversione dello stesso Costantino il Grande.
In realtà ben prima, fin dal tempo di S. Giudda Taddeo, il popolo armeno ed altre etnie vicine e limitrofe erano per lo più cristiane.
Infatti l’Armenia storica, la cosiddetta grande Armenia, compresa tra i tre Laghi – quello di Van, Il Caspio e quello salatissimo di Urumiè – è meglio conosciuta come Armenia terra delle croci, anche perché, dall’alto la planimetria delle chiese appare cruciforme.
La profonda fede è testimoniata dal gran numero di chiese con originali architetture ( ben oltre 630 nel solo Iran, oggi non tutte integre ed agibili), con elevate caratteristiche costruttive antisismiche, poste per svariati ragioni sulle sommità di alture. Di tante vanno ricordate almeno due.
La prima è perché i luoghi di culto della precedente fede zoroastriana ( essenzialmente volumi architettonici con aperture centrali verso il cielo per lo sfogo dei fumi e delle fiamme dei fuochi rituali) erano per la maggiore visibilità costruiti sulla cima delle colline e delle montagne.
La seconda è per questioni di sicurezza geologica ed altre ben più importanti di difesa militare. Almeno nell’ Armenia attuale, al di la delle Chiese così collocate, in ragione dell’orografia e della topografia frastagliatissime, oggi nei fondovalle e nelle situazioni di mezzacosta, dove un tempo erano costruiti villaggi ed insediamenti urbani, di questi ora non esistono più tracce. Con urbanistica armena, invece, possiamo vedere centri abitati in Turchia, in Iran e nei paesi limitrofi , spesso accanto a chiese ancora funzionanti.
In particolare in Iran i quartieri armeni, per la loro funzionalità potevano essere considerati modelli urbanistici attualissimi, in ragione della loro perfetta organizzazione. Erano strutture autonome, attrezzate per offrire servizi di ogni genere a se stessi ed altri quartieri delle città Iraniane .
Cosi accadeva a Tabriz come a Urumie ( Rezaiye ) , a Salmast come a Maraghe.
Anche nelle campagne, e più in generale nelle zone rurali, i villaggi armeni, come nelle città erano modelli funzionali alla produzione agricola, alla distribuzione dei prodotti e alla prestazione di alcuni servizi per la loro comunità e talvolta, se necessario, a vantaggio dell’intera nazione iraniana .
Per ritornare all’architettura delle chiese armene va osservato che alcuni criteri progettuali e costruttivi sono ancora oggi da ritenersi esemplari.
A livello tipologico abbiamo già detto le chiese armene sono l’evoluzione dei templi zoroastriani.
Le planimetrie erano sviluppate su due assi incrociati (unica navata centrale e transetto), al cui incrocio, con l’invenzione dei cosiddetti ”fazzoletti sferici” si realizzava il passaggio dal quadrato di base alla circonferenza su cui era elevata la cupola conica, talvolta, svettante sopra un tamburo cilindrico. In alcuni casi il cono era impreziosito da una geometria più elaborata a forma di ombrello semiaperto.
Le tecnologie costruttive erano le più sofisticate per contrastare gli effetti nefasti del tempo e degli eventi sismici, molto frequenti nelle zone . Le pietre, messe insieme a formare murature massicce, erano spesso perfettamente levigate, numerate per conseguire un ordinato montaggio . Detto lavoro era cosi preciso da non richiedere l’uso di malte leganti e tale che gli agenti atmosferici nel corso del tempo, non danneggiavano significativamente le strutture con pericolosi infiltrazioni d’acqua , che durante gli inverni potevano con l’azione del gelo provocare danni irreparabili , anche a causa del vento e pioggia turbinanti.
Per descrivere ancora le elaborate planimetrie delle chiese va aggiunto che all’incrocio della navata e del transetto si formavano elaborati spazi funzionali per le cerimonie liturgiche ( battesimi, spazi di meditazione, cappelle votive o tombali)
Queste strutture, così concatenate e correlate, contribuivano efficacemente alla solidità dell’insieme e soprattutto per meglio sostenere le spinte della cupola.
Va ancora ricordato , e con maggiore dettaglio, che il modello di riferimento della cupola coneiforme era la trasformazione del focolare acceso nei vecchi templi pagani. In ogni caso queste forme significavano l’elevazione delle preghiere umane verso l’alto, verso la divinità. Si presume ancora che la cupola coneiforme sia stata ispirata dalle cime del monte Ararat. Anche il copricapo dei sacerdoti ha lo stesso significato. Successivamente sempre a riferimento delle due cime dell’Ararat( Masis per la Grande cima – è anche il nome dei bambini armeni e Sis è il nome di quella piccola del monte Ararat , questo non molto usato per nominare i bambini ) , alla cupola conica fu aggiunto, sopra il porticato d’ingresso , il campanile a copertura conica. Dal XII – XIII nelle grandi chiese basilicali o monasteri fu aggiunta la terza cupola conica, sulla navata centrale.
Inoltre l’unica luce calante dall’apice della cupola è un punto focale per attrarre e concentrare il pensiero dei fedeli oranti. laddove la presenza di opere d’arte- pitture e sculture- illuminate, da più luce sarebbe stata causa di minor concentrazione di preghiera. Per lo stesso motivo, - per l’unicità della cristianità armena - nella croce, oltre la sua forma geometrica, non c’è il corpo di Gesù crocefisso .
I bassorilievi erano spesso realizzati sulle pareti esterne delle chiese per raffigurare le immagini dei regnanti, ricordati anche in lapidi dimostranti donazioni e privilegi concessi alla chiesa armena. Spesso le figure, specialmente quelle degli angioletti, erano con sembianze mongole in omaggio alla tutela imposta dagli occupanti.
Poi sulla chiave della volta dell’ingresso principale al patriarcato Armeno di Echmiazin – discesa in terra di dio unigenito – vi è il volto in bassorilievo di Shah Abbas il Grande di Persia, in omaggio al re Safavidi tutelante il luogo sacro.
Shah Abbas il Grande ha avuto anche il merito di promuovere la costruzione nel 1611 della Nuova Julfa di Esfahan, capitale del regno Safavidi - popolata dagli armeni cui tutelati da un speciale statuto dopo la deportazione da Julfa antica, a confine con l’Azerbaijan lungo il fiume Arax.
Questo episodio ricorda un altro analogo- quello della deportazione degli ebrei dall’Egitto in Iran fatta da Ciro il grande. Egli nell’occasione promulgò uno speciale statuto sui diritti umani riportato sul famoso cilindro a suo nome , oggi esposto nel British Museum.
Gli armeni della Nuova Julfa di Isfahan, dati i loro rapporti culturali e commerciali con l’occidente cristiano contribuirono a potenziare gli scambi diplomatici, culturali ed economici della dinastia Safavide con l’India e l’Europa, in particolar modo con Venezia , Roma e l’Italia.
Cenni storici sui Rapporti con Italia durante la dinastia Safavidie - 600-;
I rapporti tra i due paesi risalgono a tempi molto remoti, quando Venezia era considerata il centro del commercio internazionale ed i suoi mercanti si avventuravano lungo la “Via della Seta” in cerca di merci esotiche da vendere poi in Europa.
L’interessamento dello Stato del Vaticano all’Impero persiano, invece, risale al 1561 con la lettera di Pio V a Shah Tahmaseb e continua con maggiore consistenza nel periodo Safavide, per proseguire fino ai giorni nostri.
A partire dal 1590, la dinastia dei Safavidi iniziò il processo di ripensamento urbanistico della città di Isfahan che la porterà a ricoprire il ruolo di nuova capitale dell’impero, posizione che manterrà sin al 1722 quando sarà sostituita da Teheran.
La spartizione dell’Armenia tra Impero Ottomano e Impero Persiano e la sconfitta iraniana ad opera dei Turchi nella battaglia di Cialdaran, segnò la sorte delle popolazioni armene dei territori devastati dalla guerra. La ricerca di un rifugio alla repressione dei turchi innestò un imponente esodo delle popolazioni armene verso l’interno della Persia centrale. Per motivi strategici, Shah Abbas favorì e organizzò l’esodo di circa 300.000 armeni.
Uno dei motivi di questa operazione di Shah Abbas era quello di creare una cintura di “terra bruciata” che separasse i due imperi. In secondo luogo col trasferimento a Isfahan della popolazione dei territori devastati che fino ad allora costituivano il fulcro del fiorente transito di merci e arti verso l’Occidente, Shah Abbas si circondò delle capacità commerciali, doti artistiche e conoscenze artigianali e linguistiche degli armeni e delle altre minoranze non mussulmane. Egli, nella nuova capitale, mise al servizio della neonata dinastia l’insieme di queste nuove potenzialità. Questa strategia portò presto i suoi frutti in termini di crescente sviluppo dei rapporti politici e commerciali tra la Persia e l’Occidente attraverso il Golfo Persico, sottraendo all’impero Ottomano il primato della gestione degli scambi commerciali e relativi dazi tra Oriente e un Occidente, che vietava l’ingresso e la libera circolazione ai musulmani.
Nel 1606 venne concesso alla comunità armena lo status di “ Privilegiati Reali”. Le popolazioni e le città che godevano di questo status dipendevano giuridicamente dalla Corte Reale ed erano esentate dal pagamento di numerose gabelle e balzelli. I diritti civili degli esuli armeni erano equiparati a quelli dei persiani.
Shah Abbas donò agli armeni ospitati un vasto territorio della città dove ai non cristiani era vietata la residenza e l’acquisto di beni immobili. È sorto, quindi, all’inizio del XVII secolo un nuovo quartiere armeno chiamato “Nor Julfa”, oggi dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, il cui nome e caratteristiche architettoniche/cristiane riprendevano quelle della vecchia “Julfa” abbandonata.
Avvalendosi delle capacità linguistiche, delle conoscenze e dei rapporti commerciali con l’estero apportate dall’arrivo delle minoranze esuli dalla vecchia Julfa, Shah Abbas invia nelle varie capitali europee, tra cui Roma, messaggeri e rappresentanti, soprattutto armeni ed ebrei.
Il rapporto tra Isfahan e Roma è testimoniato anche dai racconti del noto viaggiatore pellegrino Pietro Della Valle che assistette, insieme ad alcuni rappresentanti portoghesi ed all’Ambasciatore di Spagna in Iran ai “giuochi dell’acqua” nel fiume di Zayandeh Rud, che attraversa Isfahan. Durante una di queste celebrazioni eseguite dagli armeni di Nor Julfa, Pietro della Valle s’innamorò di una giovanissima nobildonna persiana di nome “Shirin” che sposò in uno dei suoi frequenti viaggi in Iran.
La salma di Shirin riposa nella chiesa dell’Ara Coeli in Roma, mentre alcuni familiari di Pietro della Valle furono sepolti nella chiesa armena del Bazar Molavi di Teheran dove venivano sepolti i vari rappresentanti diplomatici dei paesi occidentali in Iran.
Gli armeni, al servizio di Shah Abbas, stipularono numerosi contratti commerciali internazionali e piani di collaborazione militare in chiave anti ottomana, circostanza, questa, che provocò loro il risentimento da parte turca.
Dal 1670 inizia una massiccia emigrazione degli armeni di Nor Julfa verso le città e le nazioni che avevano rappresentato gli avamposti della grande rete commerciale, in fase di declino a causa del cambiamento delle politiche della dinastia Safavide: Alessandria, Costantinopoli, Venezia, Livorno, Roma, Marsiglia, Varsavia, Russia, Olanda, in Occidente; Birmania, Indonesia, Cina e India, in Oriente. In India si sviluppò una comunità armena assai importante sia dal punto di vista sociale che economico tanto che creò un noto Collegio Armeno che tuttora esiste. Nel 1689 la Società dei commercianti armeni di Nor Julfa si vide riconoscere il diritto esclusivo di transito commerciale sui territori russi.
Mappa dell’Iran con indicazione di due Città di Julfa al Nord e il quartiere Nor Julfa in Persia Centrale (Isfahan)
Cenno di alcuni rapporti con il vaticano- Biblioteca del Ministero di Esteri dell’Iran
- 19 nov. 1561 – Papa Pio V Scrive a Re di Persia Shah Tahmaseb
- 30 sett. 1592- Papa Clemente VIII Scrive a Shah Abbas
- 1 febb. 1605 – Papa Paolo V Scrive a Re di Persia Shah Abbas
- 9 mar. 124 - Papa Urbano Scrive a Re di Persia Shah Abbas
- 1 Dic 1637 - Papa Urbano VIII Scrive Shah Abbas
- 16 Lug. 1662 – Papa Alessandro VII scrive a Shah Abbas II
- Mar. 1668 - Papa Clemente IX Scrive a Re di Persia Shah Soleiman
- 1600 -Rappresentante speciale del Re scrive 5 Lettere ai Principi
- Cristiani
- 13 Lug. 1652- Papa Innocenzo X scrive a Re di Persia Shah Abbas II
- 22 Lug. 1907- Papa Leone XIII scrive a Mohammad Ali Shah di Persia
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Don Garcia De Silva Fighiera , scrive nelle sue memorie dei viaggi la presenza in Isfahan insieme a Pietro Della Valle
V.M.V.
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