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Armenia culla della cristianità
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Sala stampa
Armenia culla della cristianità
Il Meeting riflette sull’emergenza uomo dedicando uno spazio speciale all’Armenia, terra di cultura antichissima e prima nazione ad abbracciare il cristianesimo. L’incontro “Armenia, culla della cristianità”, collegato all’omonima mostra a cura di Graziella Vigo, si è tenuto alle 17 in Sala D3. Cinque, oltre al moderatore Robi Ronza, i relatori.
La giornalista e fotografa Graziella Vigo ha letto, in apertura, una lettera di padre Elia, abate di San Lazzaro degli Armeni, nell’omonima isola della laguna di Venezia. L’abate si è fermato sull’ “amorosa testardaggine di Dio, che non abbandona mai l’uomo” e, dopo aver sottolineato “la volontà di incontrare il proprio simile” che caratterizza il Meeting, ha augurato alla manifestazione “che questo incontro di uomini di buona volontà possa lievitare di anno in anno”.
Nelle parole di Antonia Arslan, la scrittrice italo-armena che da anni si dedica ad una appassionata opera di diffusione della storia e della cultura armena (ricordiamo tra i suoi romanzi il best seller La masseria delle allodole e il più recente Il libro di Mush, presentato nella scorsa edizione del Meeting) è risuonato il tema dell’identità, della memoria e dello struggente attaccamento a una patria tragicamente perduta. Il tutto attraverso l’evocazione di un’immagine suggestiva e dolente: le numerose piccole croci incise nella roccia del monastero di Xor Virap, prigione di san Gregorio l’Illuminatore. Sono le croci del ricordo, tracciate dai sopravvissuti al genocidio del 1915 nella speranza che qualche persona cara potesse riconoscerle. La Arslan ha dato voce all’identità armena, forgiata da una fede cristiana che si rinnova mediante il legame ancestrale con la terra, anche leggendo alcune strofe di Daniel Varujan, giovane poeta anch’egli ucciso nel 1915 (‘Croce di spighe’, ‘Notte sull’aia’), da lei stessa tradotte (nella raccolta Il canto del pane).
Anche Caroline Cox di Queensbury, fondatrice di Humanitarian Aid Relief Trust e vicepresidente della Camera dei Lord inglese, che è stata 79 volte in Armenia per conto della sua organizzazione umanitaria, ha ricordato l’episodio all’origine della conversione di quell’antica terra del Caucaso. Protagonisti san Gregorio, il re dell’Armenia e la sorella del re. Dopo tredici lunghissimi anni di prigionia in una cavità sotterranea, Gregorio venne tirato fuori per soccorrere il sovrano e la sua intercessione miracolosa per la guarigione del re ne determinò la conversione: “Così, nel 301, l’Armenia fu la prima nazione cristiana della storia”.
Joseph Oughourlian, amministratore delegato di Amber Capital Investment Management, è intervenuto su un altro momento fondatore dell’identità armena, quello della diaspora. Dopo il genocidio del 1915 (un milione e mezzo di vittime su tre milioni di persone), i sopravvissuti si sono sparsi in vari paesi del mondo. Oggi, su dodici milioni di armeni, ben nove vivono nella diaspora (Russia, Stati Uniti, Francia, Italia). La diaspora rappresenta un vero e proprio martirio, poiché fu scelta come alternativa all’abbandono forzato della fede cristiana. L’appartenenza alla chiesa ne è il principale aspetto identitario. Dopo la nascita della Repubblica d’Armenia (1992), la diaspora sta affrontando la sfida di ricreare un legame con la patria.
Dopo aver ricordato che “la Repubblica di Armenia è stata un’utopia per almeno 800 anni”, Sarkis Ghazaryan, ambasciatore della Repubblica di Armenia in Italia, si è soffermato sul “risorgimento” armeno e “l’indipendenza cercata e conquistata dall’Unione Sovietica”. La nostra, ha detto il relatore, è “la storia di una ‘emergenza uomo’ continua” ed anche “di una resistenza perpetua”. “La democrazia, i diritti civili e la libertà di espressione, che rappresentano una scelta netta del nostro Stato – ha sottolineato l’ambasciatore – sono un’eccezione e non la regola nella regione in cui ci troviamo”.
Nel suo secondo intervento, Caroline Cox ha raccontato la vita di fede nel Karabakh, territorio per anni di un conflitto sanguinoso. Si è soffermata sulla testimonianza dell’arcivescovo del Karabakh, che “è stato salvato dalla sua preghiera”: proprio per pregare, infatti, aveva lasciato alle sette di un rigido mattino invernale la sua casa, poco prima che venisse distrutta dalle bombe. In un suo messaggio al mondo dopo i bombardamenti, l’arcivescovo ha richiamato le parole evangeliche ‘Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio’.
“Sono una giornalista che fa la fotografa da trent’anni. E che ha ancora la capacità di meravigliarsi”, ha poi affermato Graziella Vigo. La relatrice ha poi parlato della sua scoperta dell’Armenia, “dove la natura e ancora intatta, dove la natura e l’uomo si trovano in un contatto speciale”. La Vigo ha evidenziato, del popolo armeno, “la fede e la cultura: due valori che, nel nostro mondo, si incontrano sempre più di rado”. Quindi ha concluso: “È un popolo speciale che oggi vive il suo diritto alla spese
Marina Mavan
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