|
|
Zatik
consiglia: |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Iniziativa
Culturale: |
|
|
|
|
|
L'Armenia, culla del Cristianesimo
|
Diego Cimara ha pubblicato qualcosa in L'Armenia, culla del Cristianesimo
camerlengo-in 20 righe.Libre,la goccia,informare per resiste re,l’Inkiesta-l’opinione-l’indipendenza-il fatto- l’intraprendente,Santalmaschienadritta.Diritti d'autore appartengono a firme per questa rasstampa.it e disciplinati in termini licenza Creative Commons. Spazio aperto a disposizione dei collaboratori che rispettano legge vigente unici responsabili contenuto.
Da l’indipendenza-di GIORGIO CALABRESI
A poco più di due settimane dal voto, ridotto in una situazione quasi disperata, Francois Hollande tenta la rimonta ma la sorte della sinistra alle Europee sembra segnata.
Nonostante il presidente tuoni «uscire dall’Europa è uscire dalla Storia», il Fronte nazionale di Marine Le Pen, euroscettico e per l’uscita dall’euro, è in testa ai sondaggi. Hollande ha firmato un intervento su Le Monde nella giornata dell’8 maggio, il 25 aprile dei francesi, ricordando «la vittoria della libertà» e la «rinascita» dell’Europa dalle sue rovine, grazie «all’unione delle economie, all’unione delle nazioni». L’opera di costruzione dell’Europa, «voluta dalla grande maggioranza dei francesi e dalle nostre forze politiche» fu mirabilmente riassunto dall’ultimo discorso di Francois Mitterrand:
«Il nazionalismo è la guerra», mentre «l’Europa è la pace». Oggi tutto questo è «minacciato», tuona Hollande: «Approfittando della crisi economica, in diversi paesi e nella stessa Francia, alcune forze cercano di disfare» l’Europa, «speculando sulla sua delusione, scommettendo sullo scoraggiamento, riesumando le paure. Individuando lo straniero come capro espiatorio». È vero, ammette, che «l’Unione delude», denuncia «impotenza di fronte alla disoccupazione», «annaspa fra le sue istituzioni e le sue regole complicate».
Abdicare? Rinunciare? Distruggere l’opera di tre generazioni? Hollande chiarisce che è lecito dire no all’Europa, ma bisogna avere cognizione di causa sulle conseguenze. Sarebbe la «svalutazione», «l’aumento dei prezzi delle importazioni», il ritorno dell’inflazione, il calo del potere d’acquisto dei più poveri, insomma la grande «trappola» e, alla fine, il «declino nazionale».
Insomma, «uscire dall’Europa è come uscire dalla Storia», l’unica strada è aumentare gli sforzi per un’«Europa volitiva» contro l’Europa «timorosa» di oggi. La Francia teme una vittoria simbolicamente disastrosa della Le Pen e del Fronte nazionale, che potrebbero per la prima volta affermarsi come primo partito sfruttando il criterio proporzionale che funziona soltanto per le europee. Ancora ieri un sondaggio dava il Fn al 22%, tallonato dalla destra Ump al 21%.
Staccato, a 17%, il Partito socialista. Un quadro disastroso che minaccia il Paese da mesi e contro il quale non c’è stato nemmeno l’auspicato «effetto Valls» dopo la nomina del nuovo premier. Il grido di Hollande sembra disperato se si pensa che soltanto 6 francesi su 10 si dicono interessati dallo scrutinio europeo e che l’Ue evoca qualcosa di negativo per un francese su 2.
La preoccupazione di Hollande è pienamente giustificata. Questo mostro che porta il nome di Unione Europea, lontano mille miglia da ciò che i padri fondatori sognavano, è frutto del patto scellerato fra socialisti e popolari ed ha il suo fulcro nell’egemonia tedesca e nella moneta unica (che di per sé sarebbe stata una mossa vincente se le parità con le vecchie monete nazionali fossero state più eque, si fossero dati alla Banca Centrale i poteri tipici di queste istituzioni e se fosse stata accompagnata da provvedimenti volti ad una contestuale unione politica) creata a beneficio della Germania. Non è l’idea di Europa che viene riìfiutata da una parte sempre crescente di cittadini europei, ma questa Unione voluta dai poteri forti e non dai cittadini. Basta ricordare che l’UE non ha una costituzione, perché quella imposta dai suoi oligarchi è stata rifiutata dai cittadini che hanno potuto votarla con un referendum ed approvata solo da alcuni governi. Occorre ritornare al progetto originario se non si vuole il crollo di un elefantiaco apparato burocratico senza prestigio internazionale e vessatorio nei confronti dei cittadini che in questa Unione non si riconoscono.
UCRAINA
Si terrà come previsto domenica 11 maggio il referendum separatista indetto dai filorussi nell’Ucraina orientale. Lo hanno reso noto gli stessi separatisti. Ieri Putin aveva chiesto un rinvio del voto per favorire il dialogo con Kiev. L’operazione militare nel sud-est dell’Ucraina proseguirà indipendentemente dalla decisione dei secessionisti filorussi sul possibile rinvio del referendum autonomista dell’11 maggio: lo ha detto il segretario del consiglio per la sicurezza nazionale per la difesa dell’Ucraina, Andrii Parubi.
I referendum proposti dai separatisti in Ucraina “non hanno alcuna legittimità democratica”,“possono solo peggiorare la situazione” e “non si devono tenere né l’11 maggio né mai”. Lo ha detto la portavoce di Catherine Ashton, Maja Kocijancic.
Il leader del Cremlino Vladimir Putin ha presieduto nella tarda serata di mercoledì una riunione urgente del consiglio di sicurezza nazionale russo sulla crisi ucraina, dopo il suo incontro al Cremlino con il presidente di turno dell’Osce, Didier Burkhalter, e la propria proposta ai secessionisti filorussi del sud-est ucraino di rinviare il loro referendum indipendentista dell’11 maggio per avviare un dialogo con Kiev. Lo rende noto giovedì il suo portavoce Dmitri Peskov.
Anche il presidente ad interim ucraino Oleksandr Turcinov, come pure mercoledì il premier Arseni Iatseniuk, respinge l’ipotesi di negoziati con i secessionisti filorussi del sud-est del paese. “Siamo pronti a discutere con i rappresentanti delle amministrazioni locali, con gli attivisti pubblici e gli imprenditori delle regioni di Donetsk e Lugansk, ma gli Stati civilizzati normalmente non parlano con criminali armati con mani sporche di sangue”.
Le presidenziali ucraine del 25 maggio possono essere legittime solo se Kiev ferma l’operazione militare nel sud-est e lancia un dialogo nazionale: lo ha detto giovedì Dmitri Peskov, portavoce di Putin. ”Come ha detto ieri (mercoledì 7) il presidente Putin, l’elezione e’ un passo nella direzione giusta, ma puo’ essere legittima solo se questa ‘operazione punitiva’ e’ fermata e solo se sara’ lanciato un dialogo inter-ucraino”, ha dichiarato, citato da Interfax.
“Ue si prepara a colpire società russe” - L’Ue si sta preparando a cambiare “la base legale” delle sanzioni finora comminate per la crisi in Crimea e colpire quindi non solo gli individui e le società ad esse collegate, ma anche le compagnie russe che hanno rilevato società e aziende confiscate ed espropriate in Crimea. Lo riferiscono fonti diplomatiche Ue.
AMARARMENIA di diego cimara- Metz Yeghérn- STERMINIO -organizzato per motivi religiosi dall'impero Ottomano alla fine dell’800 e durante la Prima Guerra Mondiale(1913-23) Deportati e uccisi un milione e 5oo mila ARMENI CRISTIANI :57,562 bambini tra uno e 12 anni dispersi-OLOCAUSTO -dimenticato che, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, stermina un popolo colpevole di appartenere ad un 'etnia e a una cultura diverse e di professare un culto di minoranza
STRAGE DI STATO - pianificata ed eseguita come “Soluzione finale” che si conclude con lo sterminio di un milione e mezzo di martiri cristiani
La comunità degli storici,accademici,analisti deve dare ormai un contributo concreto alla ricostruzione della storia del genocidio armeno in opposizione al provocatorio negazionismo dei turky, e ad ogni loro pratica che tenda a occultare responsabilità e dimensioni della orribile strage compiuta dai loro progenitori 100 anni fa! Quando nei libri di storia nelle scuole elementari turke verrà insegnato il capitolo orrendo delle colpe del loro Paese nei riguardi di minoranze come gli Armeni,curdi,siri,persiani,greci ecc.allora la Turkya sarà un Paese degno di poter entrare in Europa!
Il 19 settembre 2010, per la prima volta dal 1915 è stata celebrata la messa nella piccola chiesa della Santa croce sull’isola di Akhtamar, nel lago di Van all’estremità orientale della Turkya: risale al X° secolo ed è considerata uno dei maggiori tesori architettonici e artistici dell’Anatolya Armena, riaperta solo nel 2007 come museo dopo restauri alle strutture, agli affreschi, ai celebri altorilievi di ispirazione biblica; mentre per Istanbul viene celebrato Komi das, il fondatore della musica classica Armena e uno dei deportati del 24 aprile 1915 (non muore,ma impazzisce); avviato il restauro del complesso monastico di Vortvots Vorodman a Istanbul;e la creazione di una partnership col World Monuments Fund per il recupero e la salvaguardia della cattedrale e della chiesa del Santo Salvatore di Ari, città Armena fiorente in epoca medievale,completamente abbandonata.Un altro segno tangibile di ricostruzione e di rinascita: per la comunità Armena e per la Turkya.Il guardiano del faro di Jaffa, che resiste tra le 4 mura di quell'e dificio ormai in disuso,anche se il porto è chiuso fin dal 1964, anche se la luce del fa ro è stata spenta per sempre,è l' immagine che l'ebreo Gabriele Nissim, adotta come simbolo del ruolo che la memo ria può svolgere di fronte a questi eventi, dove “la tragedia è già accaduta” e non ieri, ma da un secolo almeno.Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/05/2014, a pag. 41, la risposta di Sergio Romano a una lettrice, dal titolo "Erdogan parla agli armeni. Motivi del gesto e prospettive".
Romano spiega le dichiarazioni del premier turco sul genocidio degli armeni come parte di una strategia diplomatica, evitando di esprimere un giudizio sul perdurante rifiuto di utilizzare la parola "genocidio". Il presidente armeno Sarkisian, scrive Romano, non ha avuto una reazione "promettente" alla mossa di Erdogan, avendo "chiesto ancora una volta che la Turchia riconosca il genocidio". Si tratta però di "una richiesta che la Turchia non è disposta a esaudire".Il riconoscimento della realtà storica del genocidio degli armeni non può però essere considerato alla stregua di una fastidiosa richiesta armena: si tratta di un preciso dovere di verità storica. Romano, da sempre indulgente verso il governo islamista di Erdogan, evita accuratamente di ricordare questo dovere.
ll Primo ministro turco Erdogan da deciso di «infrangere un tabù quasi secolare» (Corriere di giovedì): con un comunicato ha offerto le condoglianze ai discendenti del popolo armeno, in occasione del 99° anniversario del genocidio a cui fu sottoposto dai soldati ottomani. Che cosa pensa si prefigga con questa sorprendente iniziativa?-Mariangela Bonvicini-Milano
Cara Signora,
Le dichiarazioni di Erdogan sono importanti, ma fanno parte di un laborioso processo, pieno di alti e bassi, che è cominciato quando Ahmet Davutoglu, già consigliere di Erdogan, divenne il suo ministro degli Esteri. Il partito islamico del presidente del Consiglio ha posizioni alquanto diverse da quelle dei militari turchi e dei nazionalisti laici, eredi di Atatürk. Il governo non ha mai ammesso la tesi del genocidio, ma l’intransigenza appartiene al fronte dei laici piuttosto che a quello dei religiosi. Quando enunciò le grandi linee della politica estera della Turchia, agli inizi del suo mandato, Davutoglu disse che il suo Paese voleva avere rapporti amichevoli con tutti i suoi vicini. Dietro quelle parole vi era la convinzione che soltanto così la Turchia avrebbe recuperato almeno in parte il suo passato imperiale e sarebbe divenuta il Paese leader di una grande area medio-orientale, dal Levante arabo alle repubbliche post sovietiche dell’Asia centrale.
Vi furono contatti, sondaggi e gesti simbolici come il viaggio che il presidente della Repubblica turca Abdullah Güll fece in Armenia nel 2007 per assistere a un evento sportivo. Un anno dopo, nell’ottobre del 2008, Turchia e Armenia firmarono un accordo a Zurigo che prevedeva la ripresa dei rapporti diplomatici e la riapertura delle frontiere. L’accordo, duramente negoziato sino all’ultima virgola e all’ultimo minuto, fu un evento solenne, salutato da un gruppo di illustri padrini presenti alla cerimonia: il ministro degli Esteri della Confederazione Elvetica, il segretario di Stato americano (era Hillary Clinton), il ministro degli Esteri russo e quello francese. Qualche giorno dopo il presidente armeno Serge Sarkisian andò a Istanbul per assistere a una partita di calcio fra Armenia e Turchia.
Sembrò che i due Paesi avessero imboccato la strada giusta, ma l’accordo di Zurigo condizionava la ripresa dei rapporti alla soluzione di un conflitto scoppiato prima della dissoluzione dell’Unione Sovietica, quando gli armeni avevano cercato di riconquistare il Nagorno-Karabach, una enclave armena nel territorio dell’Azerbaigian. Stalin lo aveva regalato alla Repubblica di Baku negli anni Venti, in un momento in cui voleva migliorare i rapporti dello Stato sovietico con i turchi, di cui gli azeri sono, per così dire, cugini.
Gli armeni speravano che l’accordo di Zurigo avrebbe giovato alla loro causa, ma le attese sono andate deluse e le relazioni fra i due Paesi sono state da allora quasi glaciali. Con le condoglianze per i massacri del 1915 Erdogan e Davutoglu vogliono probabilmente riaprire il dialogo. Ne hanno bisogno perché il sogno di Davutoglu (buone relazioni con tutti i Paesi vicini) non si è avverato e la Turchia ha oggi pessimi rapporti con alcuni fra i maggiori Stati della regione, dall’Egitto all’Arabia Saudita. Il miglioramento dei rapporti con l’Armenia sarebbe per la politica estera della Turchia una boccata d’ossigeno. Ma la reazione di Sarkisian non è stata promettente. Il presidente armeno ha chiesto ancora una volta che la Turchia riconosca il genocidio: una richiesta che la Turchia non è disposta a esaudire. Vi sono tuttavia due fattori che autorizzano qualche speranza: Erdogan ha bisogno di un successo internazionale e l’Armenia ha un forte interesse a uscire dall’isolamento economico in cui vive da quando la Turchia ha chiuso le frontiere.
“L’unico armeno buono è l’armeno morto” Mustafa Kemal Atatürk
La strage degli Armeni è uno dei motivi che induce la comunità europea a frenare l’ingresso della Turkya dove oggi si perseguitano i curdi . Una sentenza della Corte europea per i diritti umani ha accolto il ricorso di Doğu Perinçek, leader del partito turko dei lavoratori che nel 2005, a Losanna, affermò pubblicamente che la questione del geno cidio era una menzogna internazionale. Citato da una associazione svizzero armena, Perinçek fu condannato per discriminazione razziale. Oggi la Corte europea accoglie il suo ricorso, affermando che negare il genocidio armeno non può essere considerato un crimine e che non si possono stabilire in questo senso equiparazioni con la Shoah. La ragione, sostiene la Corte, è che la ricerca storica non è ancora pervenuta a prove certe, chiare, irrevocabili, circa i fatti, la loro dinamica, la loro entità, e che dunque una legge bloccherebbe la ricerca storica oltre a censurare la libertà di espressione, cosa ammissibile solo in caso di verità incontestabili. Si tratta, come è evidente, di una senten za che rende priva di senso la – già strategicamente opinabile – attività di pressione sui parlamenti nazionali perché riconoscano il Genocidio Armeno, aprendo così la strada a leggi e sanzioni sulla sua negazione. La Corte europea vanifica in partenza una simile strategia. la questione è resa ancora più complessa a diversi livelli dalla molteplicità degli attori. Sul piano storico, la ricerca è resa difficile dalla indisponibilità, fino a pochissimo tempo fa, degli archivi russi e turchi, e dall’interferenza nella ricerca propriamente detta di interessi dell’uno e dell’altro governo che usano la storia a fini politici. Sul piano politico, oltre a due governi la cui storia di relazioni diplomatiche è recente, accidentata, piena di stop and go e inquinata ulteriormente dai rapporti turky con l’Arzebaijan e dalla irri solta questione del Nagorno-Karabakh, attori fondamentali sono le comunità Armene della diaspora, impegnate sul piano politico e giuridico a far riconoscere ai diversi parlamenti nazionali i fatti del 1915 come genocidio. L’intento, ovviamente, è anche quello di creare un fronte internazionale che faccia pressione sulla Turkya, legit timando leggi nazionali contro la negazione del genocidio armeno, sulla falsariga di quelle (già controverse) sul negazionismo della Shoah. Il risultato, tuttavia, è anche il riflesso nazionalista che una simile strategia causa in Turkya, l’irrigidimento dei governi e della stessa opinione pubblica (attraversata da pesanti correnti nazionalistiche) e il rafforzamento dell’immagine dell’Armeno come ‘altro’ per il turko e viceversa. Una spirale che avvelena i pozzi e allontana le possibilità di dialogo e, giustappunto, di empatia.
L’Associazione degli storici turka richiede al Consiglio superiore dell’educazione (YÖK) di far sì che le singole università e i singoli docenti segnalino nomi degli studenti che scrivono tesi sulla questione Armena, titolo del lavoro e informazioni relative ad esso. La motivazione ufficiale è quella di rendere noto all’associazione stessa lo stato della ricerca sul tema. Scontato, però, pensare che si possa trattare di un modo per schedare studiosi e docenti potenzialmente contrari alle tesi ufficiali, come denunciato da Agos, il giornale turko-armeno di cui era direttore Hrant Dink. Una recente conferenza tenutasi alla Boğziçi University in partnership con la Fondazione Internazio nale Hrant Dink ha messo a tema, per la prima, la questione degli armeni forzosamente convertiti all’Islam dopo il 1915. Un altro tabù infranto, una questione mai prima discussa e oggi al centro di una conferenza pubblica. Senza un segno di empatia, nessuna elaborazione comune del trauma è possibile, nessuna memoria divisa può essere elaborata e suturata. Si guardino i commenti agli articoli di quegli editorialisti che, in Turkya, appoggiano o sollecitano una revisione della politica ufficiale di Ankara in merito alla questione armena: sovente esprimono odio verso l’altro’, rozza riaffermazione di verità di parte, chiusura intransigente al dialogo e, soprattutto, alla sofferenza altrui. Definire ‘inumano’ quel fatto può aprire la strada all’empatia. Definirlo ‘Genocidio’ a colpi di leggi può fare da blocco a qualsiasi discussione.Al Museo Archeologico di Milano, nel 1995, all’indomani dell’inaugurazione della mostra che esponeva le fotografia dell’ufficiale tedesco Armin T. Wegner, testimone oculare del genocidio degli armeni nei deserti della Mesopotamia, il console turco di Milano, in assenza del direttore, è riuscito a farla chiudere. Dopo un giorno la mostra è stata riaperta per intervento del sindaco;nel 1996 le spoglie di Enver Pascia, uno dei triumviri del governo dei Giovani turchi responsabile del genocidio furono traslate dall’Asia centrale e portate in Turkya per essere onorate e anche recentemente sono stati eretti monumenti a ricordo dei carnefici che hanno suscitato reazioni assai vivaci nella comunità armena in patria e in diaspora;a Lione, nel 2008 è arrivato un nutrito gruppo di rappresentanti dei Lupi grigi turky, (partito estremista dell’MHP) per impedire la comme morazione del Genocidio Armeno del 24 aprile; sono scoppiati scontri e tafferugli;
Amadinhedjad, in Iran, insiste a negare la Shoah. Ha organizzato una conferenza internazionale sul tema della Shoah per avere il sostegno dell’Accademia alla sua posizione negazionista. Visti i delicati rapporti internazio nali tra gli stati, queste scelte appaiono nella loro sostanza provocatorie e assai rischiose, soprattutto se ci sta a cuore l’obiettivo della pace nelle aree di conflitti in atto o “sospesi”.Perseguire penalmente una persona e con dannarla perchè ha negato il genocidio armeno del 1915 è un’offesa alla libertà d’espressione. Lo ha decretato martedì la Corte europea per i diritti dell’uomo, dando ragione a un cittadino turco che era stato condannato in Svizzera.“Il libero esercizio del diritto di dibattere apertamente di questioni sensibili e suscettibili di non pia cere è uno degli aspetti fondamentali della libertà d’espressione – hanno ricordato i giudici di Strasburgo, che di conseguenza hanno condannato le istanze giuridiche svizzere per aver violato la libertà d’espressione dell’uo mo. Le autorità elvetiche hanno tre mesi di tempo per ricorrere e chiedere un riesame del caso, richiesta che la Corte europea non è però obbligata a soddisfare.Nel 2007, il presidente del partito dei lavoratori turky Dogu Perinçek era stato condannato dalla giustizia svizzera a pagare una multa per “propositi razzisti e negazione del Genocidio Armeno” durante alcune conferenze tenute in Svizzera nel 2005.Dogu Perinçek aveva qualificato il Genocidio degli Armeni “una menzogna internazionale” e aveva negato, circa i massacri e le deportazioni che nel 1915 avevano causato la morte di centinaia di migliaia di armeni, la responsabilità dell’impero ottomano.La Corte europea per i diritti dell’uomo ha precisato che si deve distinguere chiaramente questo caso da quelli che vertono sulla negazione dei crimini commessi dai nazisti ai danni degli ebrei d’Europa, fatti storici molto concreti, come l’esistenza delle camere a gas e che sono stati chiaramente definiti da una giurisdizione internazionale.
Dagli esempi emerge chiaramente che ci troviamo di fronte al negazionismo come menzogna deliberata portata avanti da uno stato sulla base di esigenze del presente, all’esercizio di un abuso nei confronti di coloro ai quali non è dato di conoscere la verità storica, un negazionismo che ha avuto e continua ad avere conseguenze pesan ti sulle comunità che hanno subito il crimine di genocidio e sugli eredi dei sopravvissuti che non possono dare sepoltura ai loro morti.
Alcuni stati, sfruttando in modo cinico e strumentale la debolezza dei propri cittadini, la loro ignoranza e la loro buona fede, riscrivono la storia alterando i fatti e negano la realtà criminosa delle persecuzioni e dello sterminio di intere generazioni; seminano la cultura dell’odio e della paura dell’altro, costringendo i popoli a crescere nei fondamentalismi, nelle radicalizzazioni del pensiero, negli estremismi: a questo punto, non dobbiamo forse ricordarci che siamo ancora una volta di fronte a regimi totalitari e oppressivi , a vari gradi e livelli, e che questo costituisce un attacco violento alla democrazia?
La verità storica è negata, e se è vero che è sbagliato portare in tribunale le argomentazioni storiografiche, perché si entra su un terreno difficile e delicato, (come ha osservato Simonetta Fiori in merito alla Decisione Quadro sul tema dei negazionismi del 28 novembre 2008 adottata dall’Unione Europea), è anche vero che una puntuale , immediata e unitaria protesta che partisse dai vertici dell’Unione Europea ,dell’ONU, delle Asso ciazioni che lottano per i diritti umani nel mondo, una protesta che avesse la massima diffusione, una protesta reiterata di fronte alla negazione reiterata , una protesta che fosse anche un appello a tutti gli uomini di buona volontà, potrebbe costituire un contributo decisivo per una possibile inversione di rotta e una base per l’elabo razione di una legge condivisa ed efficace, capace di superare i nazionalismi e le questioni nominalistiche.
Non si tratta di punire le opinioni, o di stabilire per legge ciò che storicamente è vero, usurpando il terreno degli storici; si tratta di far emergere una questione morale per uno scopo morale: sanzionare pubblicamente e concordemente con energia il negazionismo di stati e governi che è menzogna nel grado più alto. Una voce comune, caratterizzata da una forte “universalità”, perché espressione della nuova coscienza dei diritti umani sorta dalle macerie delle guerre, darebbe nuovo vigore all’autorità dei testimoni, la cui voce è diventata sempre più debole in quanto progressivamente inascoltata. Il negazionismo di stati e governi non si combatte, come ha osservato Yves Ternon, con una legge nazionale, ma con una legge sovranazionale: una legge ”antinegazionista “ da sottoporre all’ONU, analoga alla Convenzione per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio approvata dall’Assemblea generale il 9 dicembre del 1948, pietra miliare per aprirsi alla speranza di una storia non più segnata dalla violenza politica di massa e da operazioni di pulizia etnica.
Nel caso armeno, la negazione del genocidio, costruita contestualmente alla sua stessa esecuzione, ha provocato il silenzio delle prime generazioni, un ritardo storiografico e, come ha osservato Catherine Coquio, “la difficol tà della letteratura armena a costituirsi in pensiero testimoniale e critico dell’evento”.
Va tuttavia osservato che in tempi recenti si assiste ad una realtà diversa: di fronte al negazionismo ostinato del governo turco, le seconde e terze generazioni in patria e nella diaspora si sono compattate, hanno manifestato un nuovo impegno per contrastare la negazione dei fatti; la memoria, rinforzata dal negazionismo, è diventata strumento di costruzione identitaria, si sono moltiplicate le testimonianze, raccolte e condivise dai non armeni; si è diffuso un rinnovato interesse tra gli storici di professione, e accanto al racconto del Metz Yeghérn, la grande catastrofe, assistiamo oggi ad una rivisitazione della storia e della cultura armena. Le memorie individua li delle sofferenze sono diventate memoria storica condivisa. Il recupero della verità storica compiuto dagli armeni per se stessi, condiviso da tanti non armeni nei paesi della diaspora e, sia pure ancora debolmente, anche in Turkya, aiuta a superare la frattura che il genocidio crea nella storia dei popoli.
Avanzo l’ipotesi che la Turkya, avendo eliminato con gli Armeni, i greci e altre minoranze, la parte più europea della sua realtà etnica, è andata incontro ad una sorta di “suicidio politico” (così come è accaduto alla Germania hitleriana che con la distruzione degli ebrei, ha distrutto la cultura, la scienza,la letteratura, la poesia, la musica, l’arte ai livelli più alti). Se tutto ciò non fosse accaduto, oggi la Turkya potrebbe essere da tempo nell’ Europa Unita. Allo stesso modo l’ostinato negazionismo dei governi turky, come ho già sottolineato, non ha fatto altro che rinvigorire la memoria degli armeni, compattare la diaspora in tutto il mondo (sette milioni) e congiungerla saldamente con la madrepatria (3 milioni).
Aprire un dibattito e un confronto trasversale sul tema del negazionismo, nel cui ambito si segnalano posizioni diverse, costituisce, nel lavoro di riflessione sui genocidi del novecento,un’occasione per operare un allargamento della memoria così come è avvenuto nel passaggio dall’approfondimento del male alla riflessione sul bene. La memoria del bene, le figure esemplari dei giusti, dei testimoni di verità,dei resistenti morali, entrati a pieno titolo nella ricerca storica, hanno affiancato i temi classici della riflessioni sulla Shoah e sui genocidi del XX secolo, gettando una nuova luce sull’età dei totalitarismi.Analisi di Pietro Kuciukian, console onorario d’Armenia in Italia
La pratica rivoltante del negazionismo nella storia del 20° secolo è iniziato con il Genocidio degli Armeni. Il popolo armeno, malgrado la profonda sofferenza patita negli ultimi decenni, non ha mai rinunciato ai valori del proprio passato, in modo particolare a quei valori calpestati per troppo tempo, negati dai responsabili dei massacri, ma ignorati anche dai freddi spettatori quali si sono finte troppe nazioni civili del nostro tempo. L'insistenza con cui il popolo armeno, come del resto altri popoli con uguali tragiche esperienze, ha vissuto questa fase di ricostruzione intima, rischia, a lungo andare, di consolidarsi in una cultura vittimistica. La lotta interiore della nazione è profonda.Questa lotta mette in risalto la necessità di chiarezza da parte di ogni Armeno, anche quando può essere un boc cone amaro sia per ognuno che per la totalità della nazione. L'ultimo quarto del secolo scorso è servito e,si pensa, continua a servire agli Armeni, a ripercorrere con serenità i tratti costitutivi dell’identità nazionale e le realtà che esprime una na zione con più di 6 millenni di storia, il coraggio che esprime di investigare la coscienza di questa identità e del suo rapporto con la storia passata non meno che con quella da costruire. La fortuna è il tiro al bersaglio dell’invidia.
L’obbedienza è la pazienza alla prova di maturità.Uomo avvisato... qualcosa, sa”.
Perciò,analisi della tragedia come studio di una terribile esperienza per una rinascita forte e utile all'av venire. Nel percorrere l’ itinerario va scrutato il comportamento del responsabile e dei suoi alleati: freddi spettatori. Nel 2011 le statue della fratellanza sono state abbattute a Kars.Il “Monumento all'umanità” è una statua di cemento alta 30 metri e dal peso di 19 tonnellate che raffigura un uomo diviso a metà. L'operazione di smantellamento è iniziata il 24 aprile, nell'anniversario del genocidio armeno .Una provo cazione lucida e crudele per quel milione e mezzo di armeni torturati e barbaramente uccisi,in parte,proprio nei campi di concentramento e negli orridi ritrovate vicino Teghut,Gyumri,Elazig,Harput,Van,Kars ed Erebuni e in tanti posti purtroppo.
Finché non ci sarà una condanna plateale del crimine, il persecutore continuerà a percorrere imper territo la strada degli orrori. E' da pochi anni che istituzioni internazionali e stati ,soprattutto europei, hanno riconos ciuto il Genocidio del popolo Armeno. Oggi una parte delle ceneri del Pastore Protestante Dott. Johannes Lepsius, riposano in terra Armena. Onorato e quasi venerato dai figli e dai nipoti dei sopravvissuti al geno cidio, nel Museo dedicato al la Catastrofe su un muro dedicato ai testimoni sulla collina di Dzidzernagapert di Yerevan accanto alla fiamma perenne del monumento al genocidio.
Analisi di Baykar Sivazliyan, Presidente dell'Unione Armeni d'Italia
Il 23 aprile 2014 il premier turko Recep Tayyip Erdoğan ha offerto le sue condoglianze per il massacro degli armeni da parte dell’impero Ottomano durante la prima guerra mondiale. Il comunicato, tradotto in nove lingue incluso l’armeno e diffuso alla vigilia del 99esimo anniversario dell’inizio dei massacri e delle deportazioni, tradizionalmente fissato al 24 aprile 1915, è considerato il passo più significativo compiuto da un leader turco sull’argomento.
Il presidente armeno Serž Sargsjan e molti esponenti della diaspora armena hanno però condannato il comunicato di Erdoğan perché continua a evitare di usare il termine genocidio, utilizzando invece l’espressione “gli eventi del 2015” che il governo turko ha adottato con una circolare del 2007. Sargsyan ha anche promesso che le celebrazioni del centenario del genocidio nel 2015 serviranno a dare un “mes saggio forte” alla Turkya.
Lo sterminio e la deportazione di massa della popolazione cristiana dell’Armenia occidentale erano stati decisi dall’impero Ottomano agli inizi della prima guerra mondiale in seguito alle sconfitte subite per opera dell’esercito russo, in cui militavano anche battaglioni di volontari armeni. A partire dall’inizio del 1915 gli armeni maschi in età da servizio militare erano stati concentrati in “battaglioni di lavoro” e poi giustiziati in massa, mentre il resto della popolazione era stato deportato verso la regione di Deir ez Zor in Siria con delle “marce della morte” attraverso le montagne e il deserto. Un milione e mezzo di epurati.
Molti storici ritengono che quello degli Armeni sia stato il primo genocidio moderno. Secondo Raphael Lemkin, che ha coniato il termine nel 1944, si è trattato del primo episodio in cui uno stato ha pianificato ed eseguito sistematicamente lo sterminio di un popolo. La Turkya però non ha mai accettato la define zione di Genocidio, sostenendo che le atrocità compiute dall’impero Ottomano erano una risposta all’insur rezione degli Armeni e alla necessità di difendere le frontiere, e sottolineando che anche migliaia di turchi erano morti nel conflitto.
La questione del riconoscimento del genocidio è esplosa nel 1965 in occasione del cinquantesimo anniver sario dei massacri, quando in Armenia e a Beirut si svolsero grandi manifestazioni. Il governo turko ha sempre risposto sottolineando le responsabilità degli armeni. Nel 1993 la crisi tra Ankara ed Erevan è stata aggravata dal conflitto del Nagorno-Karabakh tra l’Armenia e l’Azerbaijan, un paese di lingua ed etnia turca. Da allora le relazioni diplomatiche tra i due paesi sono interrotte e le frontiere sono chiuse.
L’avvento al potere in Turchia nel 2003 del partito islamico Akp, che aveva provocato una profonda rottura con i precedenti governi nazionalisti, aveva fatto sperare in un riavvicinamento tra i due paesi, nonostante l’omicidio del giornalista turco-armeno Hrant Dink, che si era battuto per il riconoscimento del genocidio, da parte di un nazionalista nel 1997.
Nel 2009 i due paesi avevano avviato una trattativa per la normalizzazione dei rapporti, ma il processo si era presto arenato a causa della questione del genocidio e del mancato accordo tra Armenia e Azerbaijan sul Nagorno-Karabakh. Nel 2013 il procuratore generale Armeno ha dichiarato che l’Armenia potrebbe avviare un’azione legale per ottenere dalla Turkya restituzione delle terre che erano appartenute alle vittime del genocidio.
Negli ultimi mesi la comunità armena ha accusato la Turkya di sostenere i ribelli islamisti che hanno attaccato alcuni villaggi a maggioranza armena nel nord della Siria, provocando la fuga di migliaia di persone per paura di persecuzioni religiose.
Secondo alcuni osservatori, le condoglianze di Erdoğan sono soprattutto un tentativo di recuperare una parte del consenso internazionale perso negli ultimi mesi a causa della repressione delle proteste di piazza Taksim a Istanbul e delle accuse di corruzione e autoritarismo. Per altri invece si tratta di una continuazione degli sforzi dell’Akp per rompere con il passato nazionalista che hanno portato anche a una ripresa dei negoziati di pace con i curdi.
I paesi che riconoscono ufficialmente il genocidio armeno sono 23, tra cui l’Italia, mentre in altri è rico nosciuto solo da singoli enti o amministrazioni. Molti altri paesi, tra cui gli Stati Uniti e Israele, continua no a non usare il termine genocidio per timore di una crisi nei rapporti con la Turkya. Barack Obama si era espresso in favore del riconoscimento prima di diventare presidente degli Stati Uniti, ma pur promuo vendo la pacificazione tra Turkya e Armenia ha evitato di usare il termine da quando è arrivato al potere.
Analisi di dylan cimara reporter
Meno commossa, certo più didattica, ci sarà sempre, nelle scuole e nei Lager turky, una voce che proviene dal profondo dell'orrore. E ci saranno sempre nipoti e pronipoti che cercheranno in quei luoghi il paesaggio in cui i loro cari furono trucidati, che cercheranno di vedere quello che videro i loro occhi prima del buio, o magari cercheranno una briciola di cenere del loro corpo profanato. Interessante sarebbe capire la spinta che porta tante scolaresche alle lezioni sul panturkysmo, o a visitare i luoghi dei massacri come Teghut,Gyumri,Aragatz,Elazig,Harput, Kars e Van. Ci può essere curiosità, o bisogno di dare consistenza al poco o al molto che si è già letto sull'argomento. Per qualcuno è soltanto una tappa oltre Costantinopoli.
Visitare una prigione turka non è come scendere, nelle Conciergeries, fino alle celle che ospitarono le vittime della Rivoluzione francese destinate alla ghigliottina. In quel caso è come leggere le illustrazioni di un libro, è la presa d'atto della Storia Condivisa, da parte di una qualunque persona che conosce i fatti e li verifica.
L’Armeno che va in gita in quella parte dell’Anatolya popolata da un secolo da curdi e turky, sa che si tratta della sua storia, sa che lì oscuramente abitavano da millenni migliaia di armeni ed i suoi rispettabili nonni o bisnonni possono aver dato un contributo, non facendosi domande, non chiedendosi perché certe cose succedevano, perché certi loro amici sparivano nel nulla…improvvisamente..senza mai più far sapere nulla di loro. E quanti hanno offerto un bicchiere d'acqua o una pagnotta agli uomini stremati che dai carri bestiame hanno fatto disperatamente segno? La fenomenologia è varia, e va dai guardiani dei campi, o dai collaboratori stipendiati e nutriti, al lavoro fianco a fianco con qualche deportato denutrito, agli ottomani che mantengono l'ordine tra i prigionieri, e a quanti usano i prigionieri come giocattoli, togliendo la vita a casaccio, per motivi frivoli.
Attoniti a guardare la partecipazione di cittadini europei agli eccidi. In città dove cristiani ed ebrei hanno convissuto da secoli, pacificamente , amichevolmente, si assiste impassibili all'eccidio degli Armeni, e anzi, in qualche caso, danno una mano.
La storia non ammette soluzioni di continuità: si voglia o no, l'Europa dei visitatori dei campi di sterminio turky e degli ascoltatori delle memorie degli internati è la stessa in cui quegli orrori si producono. Per inserire anche il genocidio turko degli Armeni tra gli avvenimenti della Storia condivisa, bisogna che, venga fatto un serio esame di coscienza collettivo. La Russia in parte l'ha già fatto, talora con risultati traumatici (pensate a un giovane che scopre di essere pronipote di un assassino o di un torturatore stalinista), mentre in Turkya le reticenze continuano e l'Armenia tira fuori la solita maschera degli Armeni “brava gente”. Non è una forzatura collegare la mancanza di un serio esame di coscienza sulla pulizia etnica con l’ attuale disastro etico.Ecco il libro che tanti decenni e fatica è costato.Il testo è ridotto in forma di diario perchè così sono i fogli raccolti fortunosamente da Eghya e Takuhì per renderlo più appetibile anche perché molto di ciò che non è riportato qui , negli anni,rispetto a varie fughe di notizie ,molto è uscito su giornali Armeni o francesi per mano e firma,ad esempio,dell’ex marito di una cugina Nordamericana.Non sono quindi,l’esclusivo depositario della grande documentazione dei giusti,perché il 70% è archiviato tra Vaticano e Congresso Usa per intelligence, Lemkin e genocidio.In questo romanzo c’è l’estrema sintesi di una famiglia e di una vita. Storia di una grande famiglia Armena che, dopo il 1914 a causa della condanna a morte del grande scrittore Costia zarian, si sparpaglia nel mondo rimanendo sempre molto legata.Saranno tutti protagonisti,chi nelle arti figurative,chi nella musica,nell’architettura o in medicina.Grandi armeni che hanno lasciato un segno in tutto il secolo breve,dall’inizio alla fine. Questo libro contiene molte parole e poche immagini. E' questo uno dei punti critici dell'occultamento dei crimini prima degli ottomani,poi dei tedeschi,infine dei comunisti: in una società ipermediatica, dove per l'opinione pubblica fa testo soltanto l'immagine, fotografica o televisiva,gli archivi sull’olocausto armeno dispongono di pochissime fotografie sui lager,i campi di sterminio in Anatolya o i massacri di massa durante le marce forzate, come per la dekulakizzazione o la carestia dal Grande balzo in avanti non ce n’è neanche una. I vincitori di Norimberga hanno potuto fotografare e filmare a piacimento migliaia di cadaveri del campo di Bergen-Belsen e le fotografie scattate dai carnefici stessi, come quella del tedesco che spara a freddo su una donna con il figlio in braccio, hanno fatto il giro del mondo. Per il pianeta della mezzaluna bianca, in cui il terrore è organizzato nel più rigoroso segreto, non esiste niente.Il lettore non si accontenti dei pochi documenti iconografici. Leggendo prenderà coscienza, pagina dopo pagina, del calvario subito da milioni di cristiani. Bisogna capire cosa fu quest'immensa tragedia che continua a segnare la storia mondiale per i decenni a venire. Gli si porrà, allora, il quesito fondamentale: perché? Perché gli Ottomani in Cilicia e i Turky in Anatolya hanno sterminato tutti coloro che definivano nemici? Perché si sono sentiti autorizzati a infrangere il codice non scritto che regola la vita di tutte le civiltà avanzate: “Non uccidere”? La Storia, in alcuni casi, può essere oggetto di interpretazione: ma il massacro degli Armeni, riconosciuto dalla totalità della comunità internazionale, non può (e non deve) essere oggetto di una disputa politica. La Francia ha una legge che considera reato la “negazione” del Genocidio Armeno. Anche se doloroso, non sarebbe meglio, per i turky, fare i conti, definitivamente, con il proprio passato?Tenteremo di rispondere in ogni pagina del romanzo di una famiglia attraverso gli scritti di un testimone del tempo: Costia zarian ucciso nel 1969 a Yerevan dal controspionaggio russo-turko,già condannato a morte nel 1914. Una delle pagine più oscure, ed al tempo stesso meno divulgate, della storia del XIX ai danni delle popolazioni armene stanziate da sempre sul territorio che comprende la parte nord-orientale dell'attuale Turkya e sulle terre a nord dell'Impero Persiano su fino alle cime del Caucaso. Progetto è la soluzione finale della Armenità cristiana. La storia dice di una nazione eternamente contesa e frazionata tra i grandi imperi: Persiano, Ottomano, Russo e continuamente devastata e rasa al suolo da eserciti di invasori assetati di sangue come i Turky Selgucidi o i Mongoli.
Bernard Lewis, storico dell’Impero Ottomano, non crede all’esistenza di una strategia genocida dello Stato turko contro gli Armeni di Anatolya e preferisce parlare di massacri. Ma,si sa, l’annientamento della comunità Armena è un obiettivo sceintemente perseguito: pulizia etnica. Ittihad crea una organizzazione speciale come quella degli einsatzgruppen tedeschi, formati dopo l’invasione dell’Urss per la eliminazione degli ebrei in Ukraina, in Bielorussya e nelle repubbliche del Baltico. Anche dopo la fine del conflitto la presenza di una importante comunità Armena è considerata incompatibile con la concezione dello Stato turko di Kemal Atatürk. La nuova classe è pronta ad abbandonare le province arabe dell’Impero, ma non intende rinunciare all’Anatolya,utopica e pretestuosa patria dei turky.La popolazione greca e Armena di Smirne, alla fine del conflitto fra Grecia e Turkya, abbandona la città. I testimoni sono mossi dalla loro passione (comprendere e spiegare, o meglio far capire l'incomprensibile): passione che una pagina letta ad alta voce non comunica con altrettanta efficacia. Per l'ossessione degli aguzzini di non lasciare tracce, il materiale documentario è pochissimo, anche per la mania genocidaria russa basata sulla pura burocrazia degli sterminatori. Siamo nell'area dell'irrazionale più disumano, la stessa cui appartengono i negazionisti. Naturalmente, conoscere i fatti e le situazioni è appena un inizio, e sul senso di tutto ciò lavoreranno le future generazioni.
Meno commossa, forse più didattica, ci sarà sempre, nelle scuole e nei Lager turky, una voce che proviene dal profondo dell'orrore. E ci saranno sempre nipoti e pronipoti che cercheranno in quei luoghi il paesaggio in cui i loro cari sono stati cinicamente trucidati, che vogliono vedere quello che videro i loro occhi prima del buio, o magari cercano una briciola di cenere di quei corpi profanati. Interessante sarebbe capire la spinta che porta tante scolaresche alle lezioni sul panturchismo, o a visitare i luoghi dei massacri come Kars e Van.Per qualcuno sarà soltanto una tappa oltre Costantinopoli.
Visitare una prigione turka non è come scendere, nelle Conciergeries, fino alle celle che ospitarono le vittime della Rivoluzione francese destinate alla ghigliottina. E’ come leggere le illustrazioni di un libro, è la presa d'atto della Storia Condivisa, da parte di chi conosce i fatti e li verifica de visu.
L’Armeno che visita questa parte dell’Anatolya popolata da curdi e turky, sa della sua storia, sa che qui abitano da millenni migliaia di Armeni ed i suoi rispettabili genitori o nonni possono aver dato un contributo, non facendosi domande, non chiedendosi perché certe ignominie vengano perpretate, perché certi amici sono scomparsi nel nulla. E quanti hanno offerto un bicchiere d'acqua o una pagnotta agli uomini stremati che dai carri bestiame fanno disperatamente segno? La fenomenologia è molto varia, e va dai guardiani dei Lager, o dai collaboratori laici, normalmente stipendiati e nutriti, che lavorano fianco a fianco con qualche deportato denutrito, ai turky che tengono l'ordine tra i prigionieri, a quanti usano gli ostaggi come giocattoli, uccidendo a casaccio, per motivi cinicamente frivoli.
Più impressionanti, sono le figure della partecipazione volontaria di cittadini di vari Paesi europei agli eccidi. Dove cristiani e musulmani ,convissuti da secoli, pacificamente e perfino amichevolmente, hanno assistito impassibili all'eccidio degli Armeni, e anzi, in qualche caso, hanno collaborato .
La storia non ammette soluzioni di continuità: si voglia o no, l'Europa dei visitatori dei campi di sterminio turky e degli ascoltatori delle memorie degli internati è la stessa in cui quegli orrori sono stati perpretati. Il genocidio turko degli Armeni si esige che vada immediatamente inserito tra gli avvenimenti della Storia condivisa, bisogna che lo faccia prima in lista la Turkya, prima, un serio esame di coscienza collettivo,politico e culturale con l’inserimento di questa terribile pagina nei libri di storia Turka,poi tedesca e russa. La Russia in parte l'ha già fatto, con risultati traumatici (pensate a un giovane che scopre di essere pronipote di un assassino o di un torturatore stalinista), mentre in Turkya le reticenze continuano e l'Armenia tira fuori la solita maschera degli armeni “brava gente”. Non sembri una forzatura collegare la mancanza di un serio esame di coscienza sulla pulizia etnica con l’ attuale disastro etico.
GIUSTI FIGURE DI VERITÀ
contro il negazionismo nel genocidio degli armeni
Personaggi che non hanno ricevuto la targa nel Muro della Memoria di Yerevan, né il riconoscimento del Comitato "La Memoria è il Futuro", ma che si sono distinti per la loro opposizione alle teorie negazioniste tuttora prevalenti in Turchia. Tra di essi alcuni intellettuali turky che non hanno accettato di abdicare al dovere della verità e per questo sono stati perseguitati e minacciati in patria. Il giornalista Hrant Dink, di origine armena, ha pagato con la vita la sua battaglia per il riconoscimento del genocidio in Turchia.
• Taner Akcam 1953
• Orhan Pamuk 1952
• Ragip Zarakoglu 1948
• Hrant Dink giornalista che promosse il dialogo e la riconciliazione tra turchi e armeni
• Pietro Kuciukian si batte contro il negazionismo e per onorare i Giusti del genocidio armeno
• Elif Shafak 1971
• Ayse Nur (Sarisözen) Zarakoglu fu più volte incarcerata in Turchia per avere testimoniato la verità sul genocidio armeno
• ՀայոցՑեղասպանութիւն Hayoc’ C’eġaspanowt’yown o Մեծ Եղեռն Medz Yeghern
Sullo sfondo, domani, il 2015.
10 maggio 9.59.16
Rasstampa ragionata 5g. DYLAN CIMARA. No prodotto edit. legge n. 62 del 7.03.2001.Foto- notizie sono pubblico dominio- da Reset - Ansa-Agi-Asca- Blitz quotidiano- informazione corretta-giornalettismo-Ls Blog-Terra real time-direttaonline-ultimo
R. T.
|
|
|
|
|