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12 maggio 2014 - intervista ad Agopik Manoukian
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Genocidio armeni
"Il negazionismo tocca l'identità stessa della Turchia"
intervista ad Agopik Manoukian
Recep Erdogan
Recep Erdogan (Reuters / Umit Bektas)
Il 23 aprile scorso il premier turco Recep Erdogan ha espresso le sue condoglianze ai discendenti delle vittime armene uccise nel 1915, senza tuttavia parlare di genocidio. Abbiamo chiesto adl Agopik Manoukian, presidente onorario dell'Unione degli Armeni d'Italia, di parlarci della specificità del negazionismo turco, delle dichiarazioni di Erdogan e delle speranze di un futuro riconoscimento da parte turca, alla vigilia del 2015, centesimo anniversario del genocidio.
Negli stessi giorni Abu Mazen ha definito l’Olocausto “il crimine più odioso contro l’umanità avvenuto nell’era moderna”, mentre Recep Erdogan ha espresso le condoglianze ai discendenti degli armeni uccisi nel 1915. Cosa pensa di queste dichiarazioni del premier turco?
Se Erdogan ha ammesso che qualcosa di grave è successo nel 1915, questo non significa che il premier turco ne accetti tutta la gravità né sia disposto ad ammettere che quello fu un genocidio. Sicuramente le parole di Erdogan costituiscono un’ammissione che qualcosa sia avvenuto. Resta lo scetticismo sulla sua sincerità, vista tutta una serie di altri suoi comportamenti e affermazioni. Direi quindi che si può dare una duplice lettura di queste dichiarazioni, e un significato non annulla completamente l’altro.
Questa presa di posizione può essere considerata come fatto positivo, un punto di non ritorno da cui comunque Erdogan non può più tornare indietro?
A mio parere le condoglianze ai discendenti delle vittime possono sicuramente essere viste in questo modo. Di certo non possiamo ancora sapere se poi Erdogan sarà o meno coerente con le sue dichiarazioni. Un altro elemento utile per la lettura delle sue parole è l’avvicinarsi del 2015. In vista del centesimo anniversario del genocidio c’è una grande mobilitazione difensiva da parte dei turchi, che cercano di minimizzare il più possibile quello che il fermento di iniziative che si sta delineando sul fronte armeno, ma non solo. Le condoglianze espresse da Erdogan non sono solo qualcosa che riguarda il passato, quanto piuttosto un’iniziativa da leggere in funzione di un imminente avvenimento: il centenario del genocidio.
Teme che queste dichiarazioni siano un tentativo di revisionismo di quanto accaduto nel 1915?
Queste dichiarazioni si inseriscono in quello che da sempre è il discorso pubblico turco. In Turchia non è mai stata negata l’esistenza dei morti armeni, ma le violenze sono sempre state giustificate come evento legato alla prima guerra mondiale, quando anche i turchi hanno subito numerose perdite - fatto assolutamente vero, perché la partecipazione alla guerra da parte dei turchi è stata disastrosa. A mio parere, quello che si sta cercando di fare è una sorta di parallelo tra vittime armene e turche, e questo è un modo per negare la profonda diversità nelle cause di quelle morti.
Erdogan comunque, come ha già ricordato, non si è discostato dal suo tradizionale negazionismo, ancora una volta rifiutandosi di parlare di genocidio. Può spiegarci qual è la specificità del negazionismo sul genocidio armeno, rispetto ad esempio a quello sulla Shoah?
La Turchia in quanto istituzione non può (o non vuole) accettare di essersi costituita su una deliberata operazione di pulizia etnica. Per questa Turchia sembra insopportabile pensare di essere nata su tale tragedia. La specificità di questo negazionismo è che non riguarda degli altri popoli, delle situazioni altre da se stessi, come potrebbe essere il caso di un palestinese o di un iraniano che negano la Shoah - un episodio che non li riguarda direttamente, in quanto messo in atto dalla Germania nazista. In questi casi negare ha a che fare più con un atto politico. Per i turchi negare il genocidio armeno significa difendersi da qualcosa che tocca la loro identità, la loro storia, il loro passato. Tutto ciò ha a che fare con un processo che si muove a livelli molto più profondi .
In una prospettiva di lungo periodo, lei ha speranze che qualcosa cambi sul fronte turco? E in quest’ottica, cosa serve per arrivare al riconoscimento del genocidio da parte della Turchia?
Sono già diversi anni che il fronte turco si sta diversificando. Nel Paese si sta creando una nuova consapevolezza sulle tematiche armene, sono stati pubblicati diversi libri in merito, ci sono autori che, nonostante siano messi all’indice, sono impegnati su questo fronte.
Tutto ciò va in direzione di una lenta presa di distanza dal negazionismo.
Certo, ci sono delle parti più restie, esistono movimenti regressivi, ma sicuramente negli ultimi anni si sono create spinte e aperture che cercano di rompere questo fronte negazionista.
Il solo fatto che oggi si possano pubblicare in turco testi come I quaranta giorni del Mussa Dag è un segnale che questa tendenza si va rafforzando
Ritengo che, nel lungo periodo, la verità storica non possa continuare ad essere negata a un livello così compatto, come accadeva quando vi era una forte censura e le informazioni sul genocidio non circolavano.
Può succedere che si sviluppi un movimento nuovamente repressivo - questo non possiamo saperlo - ma in ogni caso se ci sarà una reazione di questo tipo vorrà dire anche che ci sono state spinte per far emergere la verità storica, per rompere finalmente il fronte negazionista.
a cura di Martina Landi, Redazione Gariwo
Tag:
genocidio armeno,
Turchia,
negazionismo
12 maggio 2014
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