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6 Marzo 2015 - IRAN E BONINO . VEBERDI 6 MARZO -
CORRIERE DELLA SERA
Emma Bonino è convinta che occorra cercare un accordo con l’Iran sul nucleare: «È un alleato importante per evitare la guerra di religione. Netannyahu è andato a far campagna elettorale all’estero, non un grande esempio»
Corriere della Sera, venerdì 6 marzo 2015
Onorevole Bonino, perché lei da ministro degli Esteri, ma anche dopo, ha insistito tanto sulla necessità di un accordo nucleare con Teheran?
«Ho sempre avuto una posizione di apertura “prudente” e verificabile, non di apertura “in bianco”. E non l’ho cambiata. L’Iran è importante, economicamente e strategicamente. È anche leader riconosciuto del mondo sciita, che è componente decisiva di tanti Paesi in conflitto: Afghanistan, Iraq, Siria, Libano, Yemen. Un mondo tuttavia meno problematico di quello sunnita, lacerato da tensioni intestine con forte tendenza alla radicalizzazione jihadista. L’Isis (come i Talebani, Boko Haram, Al-Shabaab) è un movimento estremista sunnita di ispirazione ideologica wahabita e salafita. E Teheran può esserci alleato nella lotta a questi fenomeni che generano terrorismo internazionale».
Emma Bonino segue con grande attenzione la trattativa sulla limitazione del programma nucleare persiano, entrata nella stretta finale con i colloqui preliminari a due tra Iran e Stati Uniti, di lunedì scorso a Montreux, in Svizzera.
«C’è l’impegno politico a raggiungere un accordo quadro entro la fine del mese – spiega l’ex ministro degli Esteri —. Poi c’è tempo fino a luglio per definire le questioni tecniche e le modalità di monitoraggio dell’Aiea. È quindi una fase cruciale, quella che riprende il 15 marzo a Ginevra, questa volta con la partecipazione di tutti i Paesi 5+1 (Usa, Russia, Cina, Regno Unito, Francia più Germania, ndr ) e di Lady Ashton per conto dell’Ue. Ma nulla è scontato».
L’impressione è che il vero ostacolo sia il calendario di smantellamento delle sanzioni, che l’Iran vorrebbe molto rapido. Pensa che gli Usa possano concedere qualcosa su questo?
«È un tema difficoltoso per Washington. Gran parte del discorso del premier israeliano Netanyahu al Congresso verteva sulla timeline di 10 anni per la riduzione delle attività nucleari di Teheran, giudicata troppo breve. Visto dall’Iran, l’idea che lo smantellamento delle sanzioni debba attendere anni appare a dir poco problematica. Difficile anticipare il punto di equilibrio».
L’Italia, come hanno riconosciuto gli iraniani, ha giocato un ruolo di apripista nella ripresa del dialogo occidentale con Teheran. Non fu un errore strategico scegliere di star fuori dal formato 5+1?
«Errore è riduttivo. Fu una scelta inspiegabile, che non solo ha elevato la Germania a partner strategico, ma ci ha del tutto marginalizzati».
Lei ha citato il discorso di Netanyahu al Congresso. Cosa pensa delle obiezioni di Israele?
«Non mi ha mai convinto l’idea di far campagna elettorale all’estero, specie quando il risultato è in bilico. Non è un grande esempio di leadership estorcere ai leader repubblicani del Congresso un invito sgradito alla Casa Bianca. Temo anche sia un errore per Israele affidare la relazione strategica con gli Usa a un rapporto partisan e conflittuale. Non mi convincono i toni apocalittici di Netanyahu. Abbiamo tutti bisogno di recuperare una relazione con l’Iran, da un lato per allontanare la minaccia nucleare, dall’altro perché Teheran ci aiuti a uscire dall’incubo delle guerre di religione. Per questo sono convinta sostenitrice del negoziato, e non solo per gli effetti dissuasivi che avrà sulla capacità di proliferazione iraniana. Per convinzione e lunga storia radicale, sono amica del popolo ebraico. Da sempre Marco Pannella ha sostenuto non la strategia “land for peace” o quella “due popoli, due Stati”, ma quella dei “due popoli, due democrazie” e la prospettiva dell’ingresso nella Ue, che i leader israeliani non hanno mai considerato, pur essendo sostenuta dalla maggioranza dell’opinione pubblica. Credo che Netanyahu non abbia fatto avanzare per nulla la questione fondamentale della sicurezza d’Israele».
Un’ultima domanda sulla Libia, dove l’Isis ci minaccia da vicino. È una crisi risolvibile?
«C’è qualche speranza legata all’incontro tra le fazioni in Marocco, con la mediazione dell’Onu. L’ipotesi di un governo inclusivo è l’unica percorribile. Alla fine, il governo di Tobruk, sostenuto da Egitto ed Emirati, e il gruppo di Tripoli-Misurata, sostenuto da Fratelli Musulmani e Qatar, si stanno convincendo che una vittoria militare sia impossibile. In più, so per certo che gli egiziani hanno fatto sapere che a loro interessa solo la Cirenaica, come zona cuscinetto. C’è da augurarsi che il processo vada a buon fine, altrimenti si va alla guerra civile totale. Ma rimango cauta».
Paolo Valentino

V,V

 
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