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15 Ap 2015 - La rabbia di Erdogan contro il Papa A cura di Alberto Negri
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«Sono quelli che sono riusciti a resistere, quelli che hanno capito che per resistere occorreva mescolarsi agli altri, che hanno fatto della flessibilità e della mediazione un’arte di sopravvivenza, quelli che trovano sostegno nella memoria», scrive l’ambasciatrice italiana Laura Mirakian in “Siria perché -Lettere da Damasco”, un libro sintetico e incisivo sul Medio Oriente tra presente e passato.
Figlia di un sopravvissuto che soltanto sul letto di morte le racconta la sua terribile fuga dal massacro dei turchi, la Mirakian ha partecipato agli eventi del centenario armeno (da un milione a 1,5 milioni di morti tra 1915 e 1923) con lo stile impareggiabile di coloro che dalla sofferenza hanno imparato l’arte della sopravvivenza, come gli ebrei di fronte al genocidio attuato dai nazisti, come gli sciiti che si fingevano sunniti in territorio ostile.
Su questa terra, siamo tutti, a turno, delle minoranze. Così gli armeni italiani, per non imbarazzare il loro Paese d’adozione, hanno accettato la richiesta del ministero dei Beni culturali di cancellare dal titolo dei convegni dedicati al centenario la parola genocidio e, stranamente quando c’è da mettersi in mostra, alla settimana di studi non si è avuta neppure la presenza di un politico di rilievo. Come se gli armeni fossero appestati.
Non a caso è passata quasi sotto silenzio anche la visita del presidente armeno Serzh Sargsyan al nostro capo dello Stato Sergio Mattarella (il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha evitato di incontrarlo).
Il genocidio degli armeni non è solo una pagina di storia dimenticata e da dimenticare. Attorno alla commemorazione dell’eccidio, il prossimo 24 aprile si intrecciano questioni diplomatiche, geopolitiche, culturali e religiose. Questioni in cui anche l’Italia è coinvolta: il 24 aprile avrà luogo a Erevan, capitale dell’Armenia, una cerimonia solenne per ricordare il massacro del popolo armeno alla presenza di numerosi capi di Stato. Alla commemorazione l’Italia non sembra dare particolare importanza: Matteo Renzi non sarà presente, né lo saranno a quanto pare i capi delle commissioni esteri del Parlamento. Il motivo è presto spiegato: si tratta di non turbare gli equilibri diplomatici con l’Azerbaijan i cui rapporti con l’Armenia a causa della disputa sul Nagorno Karabakh continuano a essere tesi.
Perché l’Italia non si pronuncia ora sul genocidio armeno? È una questione di interesse: abbiamo affari con la Turchia per 20 miliardi di dollari l’anno e il presidente Tayyep Erdogan, che ieri, per la prima volta, ha replicato con estrema durezza alle parole del Papa, intimandogli «di non ripetere un simile errore», ci ha promesso di raddoppiarli. Inoltre la presenza delle imprese italiane è molto estesa ed è rilevante anche quella di Finmeccanica, industria strategica della difesa. Turchia e Italia sono anche legate dalla geopolitica dei gasdotti provenienti dalla Russia (Turkish Stream) e dall’Azerbaijan (Tanap). Ma nessuno chiede alle imprese italiane di non concludere affari, anzi. Sono le istituzioni che devono fare il loro dovere, non affidarsi alle parole del Papa giocando di rimessa.
Mentre il 24 aprile a Erevan si commemora il centenario del genocidio, in contemporanea in Turchia il presidente turco Erdogan ha convocato celebrazioni internazionali per il centenario della battaglia di Gallipoli (1915).
Putin e Hollande vanno in Armenia. Eppure Putin ha grandi business con la Turchia di Erdogan, sempre più inclinata sul piano islamista e nazionalista in vista delle elezioni di giugno. La Francia si ricorda ancora del boicottaggio turco quando l’Assemblea nazionale approvò fa una risoluzione sul genocidio armeno. E l’Italia, che pure anni fa lo ha riconosciuto in Parlamento, come si comporterà? Temiamo anche, e questo in parte è giustificato, che la questione venga strumentalizzata politicamente per alzare l’asticella di un ingresso eventuale della Turchia, già riluttante membro della Nato, in Europa.
V,V
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