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050911 - L’Islam ignora la libertà di culto
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Silvio Calzolari
Generalmente il clero cattolico è favorevole alla costruzione delle moschee e all’apertura di sale per la preghiera musulmana. In nome dell’ecumenismo e della “buona convivenza” si mettono a disposizione le chiese per la preghiera del Venerdì,si organizzano “incontri di dialogo” per favorire “la conoscenza e far cadere i pregiudizi”; si invita ad accogliere i musulmani “con rispetto ed apertura di cuore” perché si afferma che “anche se con nomi diversi per invocarlo, adoriamo lo stesso unico Dio” (dichiarazione dei sacerdoti di Casale Monferrato del 24 aprile 2004, riportata dall’Agenzia Sir). Tutto questo in perfetta sintonia con quanto ha insegnato il Concilio Vaticano II (Dichiarazione Nostra Aetate, 3).
Ma lo stesso clero si dimentica, o vuol dimenticare, che pur “uniti nell’adorazione all’unico Dio”, l’Islam, a differenza della Chiesa cattolica, sembra non conoscere la libertà religiosa. Quella libertà religiosa che, secondo Giovanni Paolo II, costituisce il cuore stesso dei diritti umani: “essa è talmente inviolabile da esigere che alla persona sia riconosciuta la libertà persino di cambiare religione, se la sua coscienza lo domanda” (Giovanni Paolo II ai Capi di Stato, Giornata della Pace, 1º gennaio 1999).
Ebbene, la libertà religiosa non esiste nel mondo islamico: basti pensare alla situazione dolorosa dei cristiani in Sudan, all’Arabia Saudita dove l’Islam è l’unica religione ammessa o alle persecuzioni in Indonesia scatenate dai fondamentalisti. Basti pensare alle discriminazioni feroci e alle severe condanne (è prevista perfino la morte) per gli eventuali convertiti a Cristo. Basti pensare ai copti in Egitto, ai caldei in Iraq, agli armeni in Turchia, ai maroniti in Libano, ai melchiti in Siria, perseguitati e costretti all’esilio (nel più assoluto silenzio della stampa) dall’intransigenza dell’Islam. Si legga a proposito il bel libro di Antonio Socci, “I nuovi perseguitati. Indagine sull’intolleranza anticristiana nel nuovo secolo del martirio”, per capire cosa accade nel mondo islamico (e non solo) e per recuperare il significato vero della parola “martirio” che è quello della tradizione cristiana. Strano destino, quello della parola “martire”; è una parola che non ha nulla a che fare con la conoscenza. L’apostolo Giovanni la usa per descrivere lo sguardo meravigliato di chi contempla Dio, conserva memoria della visione e ne rende testimonianza. Il martire cristiano è colui che sacrifica la propria vita per affermare l’amore di Dio per l’uomo; amore che arriva perfino a perdonare gli stessi carnefici. È bene riscoprire l’autentico significato cristiano di “martirio”, radicalmente diverso da quello utilizzato da una certa stampa che ama chiamare “martiri di Allah” psicopatici che si suicidano portando con loro tante vittime innocenti.
Troppi cattolici sembrano perdere di vista le molte differenze che esistono tra il Vangelo e il Corano. Occorre prendere atto della realtà e cominciare ad affermare, senza paura, che nell’Islam ci sono aspetti contrari alla visione cristiana dell’uomo, della storia e della società. Islam e Cristianesimo sono agli antipodi anche su molti aspetti teologici; il Gesù e la Madonna ricordati dal Corano non sono motivo di unione perché con quelli del Vangelo hanno uguale soltanto il nome.
Sembra che i cristiani (e i cattolici in particolare) abbiano perso la consapevolezza della verità posseduta per adottare la via del puro e semplice dialogo ad ogni costo. Un dialogo, il più delle volte, a senso unico; un dialogo che assomiglia ad una apertura incondizionata alle altre confessioni. Mentre le risposte appaiono, quasi sempre, incentrate all’ottenimento di vantaggi e privilegi. Nessuno vuol demonizzare la religione del Corano e chi autenticamente prega, o negare una parità salvifica, ma è assurdo adottare un certo atteggiamento di buonismo acritico nei confronti di una realtà, regolata dalla legge immutabile della shari’a (ferma all’VIII secolo), il più delle volte oppressiva, che lede la libertà e la dignità di tanti uomini e donne.
In nome (forse) del dialogo sembrava animata una proposta dell’mam Feras Jabareen della moschea di Colle Val d’Elsa in provincia di Siena, del settembre 2004. Dico sembrava, perché, conoscendo qualcosa dell’Islam, alcune ombre si stagliano sull’apparente innocente invito a celebrare una messa in moschea.
La messa non si è celebrata, sono state lette soltanto alcune preghiere ma qualcuno ha parlato di un episodio in cui sarebbe rivissuto “l’esempio benevolo di Maometto” che nel 632, poco prima di morire, ricevette una delegazione di cristiani di Najran (nello Yemen), con a capo un vescovo e consentì loro di celebrare una funzione religiosa nella propria casa moschea. Si tratterebbe così di un gesto di tolleranza e di apertura religiosa, sulla linea del “sincero dialogo ecumenico”. Ma le cose stanno proprio così? L’episodio è senz’altro singolare e va meglio analizzato. Innanzitutto non sappiamo chi fossero i cristiani che giunsero in delegazione a Medina. Forse erano giacobiti o nestoriani. Ma poco importa la loro identità. Importa invece il motivo della visita: fare atto di sottomissione a Maometto dichiarando lealismo politico, in cambio di garanzia di sicurezza. Tra i cristiani e il Profeta ci fu un lungo e infruttuoso dibattito sulla divinità di Gesù, con reciproche maledizioni. Alla fine i rappresentanti della delegazione preferirono negoziare un accordo che permettesse loro di conservare la propria religione. L’intesa servì da modello per i concordati che successivamente i musulmani stabilirono con la “gente del Libro”, ossia: cristiani ed ebrei. La comunità di Najran in cambio di un cospicuo tributo annuo e di ospitalità agli inviati del Profeta fu “tollerata e protetta” (dhimmi) dalla comunità islamica. Poteva mantenere la propria religione (anche se non era ammesso il proselitismo) e avere delle proprietà. Nella casa-moschea di Maometto non fu celebrata una funzione liturgica in nome del dialogo, ma fu siglato un vero e proprio atto di sottomissione al vincitore. Possiamo trovare un’ampia eco dell’episodio e della polemica tra Maometto e la delegazione cristiana nel Corano medinese (Sura 3, 33-64; 4, 170-176; 5, 75-80 e 112-120). Anche nella Sura 9, quella detta “della conversione” troviamo lo stesso atteggiamento ostile nei confronti dei cristiani, ma l’inimicizia nei loro confronti è più rude e legalizzata.
Non possiamo continuare a dialogare alla cieca, dimenticando la nostra identità religiosa e culturale e non conoscendo quasi niente di quella islamica. Gesù ci vuole semplici come colombe, miti come agnelli, ma non stupidi come polli.
Silvio Calzolari
________________________________________[Data pubblicazione: 10/09/2005]
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V.V
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