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per il 28 prile 2015 _ Libro per Pietro di Herman Vahramian
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C’è una storia di sospeso gusto orientale che suona così: viveva nella nobile città persiana di Teheran un ragazzo di tredici anni. Abitava con la sua famiglia un’antica casa simile a tutte le case della città, costruita attorno a un giardino, e al centro del giardino una fontana. Un bel giorno il ragazzo lasciò cadere da una finestra del terzo piano giù nello specchio d’acqua il modellino di un galeone spagnolo. L’aveva terminato da poco: era costato a lui tre mesi di lavoro e a suo padre parecchi soldi. Ma i soldi e il lavoro, in Oriente, hanno un valore tutto diverso dal nostro. Lo raccolse in pezzi, lo sistemò su un piedistallo e trovò anche un titolo a quella singolare performance. Un titolo incline all’animo orientale: “Nave caduta dal terzo piano”.
Chi, oggi, ha l’arrogante speranza di lasciare a suo figlio, abbigliata di leggerezza, l’eredità di quel che “fummo, siamo, saremo”? Herman Vahramian fa anche di più, col suo trascorrere in queste pagine dal cono d’ombra di una condizione sociologica “cancellata” – quella di un figlio del popolo armeno nato in Iran e passato poi a vivere in Italia negli anni Sessanta – alla ricomposizione dei frammenti di uno statuto ontologico che viene prima di ogni confronto tra le parti: due piani, quello dell’appartenenza a una “minoranza marginale” e quello dell’intellettuale alla ricerca delle sue risorse profonde, che si specchiano l’uno nell’altro per ricondurre a una prospettiva centrale. Sono pagine che consegnano non una memoria, per quanto ricca e feconda, ma la chiave di un sogno: se la nostra è la storia in cui l’universalità è carattere negato alle culture non egemoni, è pur vero che sono queste che provano, come scriveva Jünger nel Trattato del ribelle, «a quale profondità uomini e popoli sono radicati nel terreno originario». È il sentiero per cui passa, tra interiore ed esteriore continuamente scambiati, questo racconto di una “diaspora” che da eredità storica, da fattore per così dire biologico, diventa condizione esistenziale dell’intellettuale nel mondo globalizzato.
Herman Vahramian nasce a Teheran nel 1939 da genitori armeni. Dopo i primi studi di pittura e i corsi di design industriale e di giornalismo, frequentati parallelamente al liceo, nel 1960 si trasferisce in Italia e si iscrive alla facoltà di Architettura dell’Università di Roma, lavorando nel frattempo come ricercatore d’arte mediorientale presso la facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dove si laurea nel 1972. Spostatosi definitivamente a Milano nei primi anni Settanta, si impegna nella gestione grafica ed editoriale delle pubblicazioni che man mano si vanno preparando a seguito delle diverse missioni in territorio armeno, cui peraltro egli stesso partecipa più volte. Nel 1977 fonda a Milano l’I/COM (Istituto per la ricerca e la diffusione delle culture non-dominanti); nel 1981, a Monaco di Baviera, l’Istituto Musicam, per la diffusione delle musiche non dominanti; ancora a Milano, nel 1985, con Agopik e Setrag Manoukian dà vita a Oemme Edizioni, che di fatto rappresenta l’ideale continuazione di I/COM e pubblicherà un gran numero di opere dedicate all’immenso e trascurato patrimonio architettonico armeno, oltre agli atti dei seminari I/COM e a raffinati volumi fotogra¬fici. Dai primi anni Novanta intensifica l’attività di scrittura giornalistica (principalmente su “Avvenire”) e quella di disegnatore satirico; nel 2002 pubblica con Medusa Superpartes. Il “pensiero nano” al tempo della globalizzazione. Italiano di adozione, è sempre rimasto tenacemente legato al suo paese di origine in modo affettivo anche se critico. Muore a Milano nel 2009.
Chira Negri vahramian
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