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15, sett, 2020 : Marco Bais e la chiesa Armena di Roma e Temerlano !
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L'Armenia nel Medioevo, vettore di mobilità tra Oriente e Occidente (sec. XII-XV)
La Chiesa armena e Roma nella Storia di Tamerlano di T‘ovma Mecop‘ec‘i
Marco Bais
p. 9-19
https://doi.org/10.4000/mefrm.3927
résumé | index | texte | bibliographie | notes | citation | auteur
Résumés
ItalianoEnglish
Secondo T‘ovma Mecop‘ec‘i (1378-1446), autore della Storia di Tamerlano e dei suoi successori, la sventurata condizione dell’Armenia dei suoi tempi è il risultato degli odi e dei peccati presenti tra gli Armeni e, in particolare, delle dispute e delle divisioni in seno alla Chiesa armena. Una delle divisioni più dolorose nella Chiesa si era prodotta in seguito ai contrasti tra Armeni apostolici e Armeni cattolici. Questo studio si propone di fare luce su alcune dinamiche dell’interazione tra Armeni apostolici e cattolici prendendo in esame l’episodio relativo al Libro delle virtù, narrato nel capitolo XX della Storia. Tale episodio, inoltre, aiuta a comprendere la concezione di T‘ovma circa l’importanza della funzione pedagogica del vardapet nella trasmissione della dottrina tradizionale armena da una generazione all’altra.
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Keywords :Latin-Armenian relations, Sargis Aprakunec‘i, Małak‘ia Łrimec‘i, Armenian monastic schools, conversion, vardapet
Parole chiave :relazioni armeno-latine, Sargis Aprakunec‘i, Małak‘ia Łrimec‘i, scuole monastiche armene, conversione, vardapet
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1 Nella tradizione armena il titolo di vardapet è conferito, dopo una lunga formazione, a religiosi (...)
2 Cf. T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. XLI-XLII. La data è stabilita sulla base di un colofone redatto dal (...)
1T‘ovma Mecop‘ec‘i è un monaco e vardapet1 armeno originario del K‘aǰberunik‘, regione a nord del lago di Van, vissuto tra il 13782 e il 1446, uno tra i periodi più tormentati per gli Armeni, messi a dura prova tanto sul piano politico che religioso. Nel 1375, infatti, era caduto, sotto i ripetuti attacchi dei Mamelucchi, ciò che restava del Regno armeno di Cilicia, destinato a rimanere, per più di mezzo millennio, l’ultima entità statuale armena. Inoltre, a partire dagli anni Ottanta di quel secolo, le terre armene furono percorse dagli eserciti timuridi, divenendo successivamente zona di espansione per la confederazione tribale turcomanna dei Qara Qoyunlu.
3 Sui rapporti tra la Chiesa armena e Roma tra XIII e XV sec. si veda Richard 1977, p. 195-225 e, pi (...)
2Dal punto di vista religioso, dopo una vicinanza alla Chiesa di Roma sancita da una serie di concili celebrati negli anni in cui il catholicosato gravitava attorno alla corte ciliciana, il proselitismo latino – intensificatosi a partire dai primi anni del XIV sec. per opera dei francescani ma, soprattutto, dei fratres peregrinantes domenicani – aveva portato alla nascita dell’Ordo fratrum unitorum, fondato nel 1330 da Yohan Kṙnec‘i, dopo una permanenza presso il domenicano Bartolomeo da Poggio, vescovo a Maragha, e diffusosi rapidamente in diversi monasteri, soprattutto nel Naxiǰewan, attirando un grande numero di fedeli della Chiesa armena apostolica3. Tali spinte verso la Chiesa di Roma venivano contrastate vigorosamente da una parte del clero della Grande Armenia, al quale T‘ovma apparteneva.
4 Thomson 1976, p. 272-297 (testo armeno e traduzione inglese).
3Il nome di T‘ovma Mecop‘ec‘i è noto, in particolare, per il ruolo che svolse nel trasferimento della sede catholicosale da Sis, già capitale del Regno armeno di Cilicia, a Ēǰmiacin, luogo, secondo la tradizione, scelto come residenza della guida della Chiesa armena in seguito a una visione avuta da Gregorio l’Illuminatore4. T‘ovma fu, infatti, tra gli organizzatori del concilio di Ēǰmiacin che, nel 1441, deliberò il trasferimento del catholicosato eleggendo come nuovo catholicos Kirakos I Virapec‘i, con il quale T‘ovma collaborò nei due anni in cui rimase in carica, tornando nel suo monastero di Mecop‘ dopo la deposizione di Kirakos.
4Il ritorno del catholicos armeno nella sede originaria fu voluto da quanti, in seno alla Chiesa armena, si adoperavano per restare fedeli alla tradizione, osteggiando le aperture filo-latine volute dai catholicoi ciliciani, da una parte, e dai fratres unitores, dall’altra.
5 Cf. T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. XXXV-LXIV.
6 In questo studio manteniamo il titolo riportato dall’editio princeps, T‘ovma Mecobec‘i 1860, e usa (...)
5Autore di numerosi scritti, per lo più inediti, di contenuto linguistico, filosofico, agiografico, esegetico e liturgico, oltre che di lettere e colofoni5, T‘ovma Mecop‘ec‘i è conosciuto in particolare per aver scritto una Storia di Tamerlano e dei suoi successori (Patmut‘iwn Lank-T‘amuray ew yaǰordac‘ iwroc‘)6, composta negli anni Quaranta del XV sec., nella quale vengono descritti eventi verificatisi tra il 1386 e gli anni Quaranta del secolo successivo.
7 Nève 1855.
8 Nève 1860.
9 T‘ovma Mecobec‘i 1860.
10 Cf. T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. XXXIX.
6Fin dalla sua scoperta in Occidente grazie a uno studio di Félix Nève7, seguito da una parziale traduzione8 e dall’edizione del testo armeno curata da Karapet Šahnazarean9, quest’opera ha suscitato l’attenzione degli studiosi proprio in quanto testimonianza relativa alle campagne di Tamerlano e dei suoi successori in Armenia, in sintonia con i titoli sotto i quali è trasmessa nei manoscritti, che, malgrado le differenze, fanno costantemente riferimento a Tamerlano10.
11 Così Nève 1860, Ter-Grigor’jan – Bakichan 1957 e Bedrosian 1987.
12 Madoyan 2003.
13 Ter-Davtjan 2005.
14 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 1-217.
7Anche per questo molte traduzioni della Storia hanno omesso delle porzioni di testo ritenute poco informative rispetto ai fatti legati alle invasioni timuridi11. Le prime traduzioni integrali sono quella armena di A. Madoyan12 e russa di K‘narik Ter-Davt‘yan13, condotte sull’edizione critica del testo, opera postuma di Levon Xač‘ikyan14.
8In realtà, la Storia di T‘ovma Mecop‘ec‘i, così come ci è giunta, è il risultato dell’intreccio di due filoni distinti ma, nella visione dell’autore, legati tra loro. Da una parte, infatti, T‘ovma narra episodi riferiti alle devastanti campagne condotte sull’altopiano armeno da Tamerlano, fondatore della dinastia timuride, dai suoi figli e dai loro rivali, il khan dell’Orda d’Oro Toqtamish e i capi della confederazione turcomanna dei Qara Qoyunlu. Dall’altra, in maniera più frammentaria, egli racconta le vicende di diversi monaci che si spostano da un monastero all’altro sia per seguire gli insegnamenti di questo o quel vardapet, sia per mettersi in salvo, sfuggendo alle devastazioni degli eserciti invasori.
15 Su questi aspetti rimandiamo a Bais 2017 e Bais 2018 (in corso di stampa).
9Le parti omesse dalle traduzioni riguardano quest’ultimo filone. Si tratta di passaggi dal tono talora agiografico, talora omiletico, che trattano di vicende di monaci, di monasteri e, in generale, di questioni attinenti più alla storia della Chiesa armena che agli accadimenti politico-militari. Tuttavia, le numerose digressioni sui vardapet e le parole rivolte da T‘ovma Mecop‘ec‘i ai suoi confratelli, fitte di rimandi biblici, sono passaggi chiave per comprendere le ragioni che spinsero T‘ovma a comporre la Storia in un momento in cui la produzione storiografica armena era venuta meno e la narrativa storica aveva lasciato spazio ad altre forme narrative, come le cronache brevi e i colofoni15.
16 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 2 (I); 104-105 (XXIX); 155 (XLIX); 162-169 (LII); 202-203 (LXIV). Qui e (...)
17 Si vedano a questo riguardo le considerazioni di Thomson 2005, p. 40-41 e di Martin-Hisard in Mart (...)
18 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 46 (XVIII) e 81 (XXVI).
10Il prologo della Storia e alcuni passi in cui T‘ovma si rivolge direttamente ai destinatari della sua opera16, tra i quali egli indica sia i religiosi della sua epoca sia le future generazioni di ecclesiastici armeni, mostrano come egli ritenga la narrazione storica una parte importante dell’attività di insegnamento propria del magistero dei vardapet. Ma la lezione che i vardapet devono saper trarre dalla storia e trasmettere ai loro discepoli consiste nel comprendere le cause dei mali presenti dell’Armenia e nell’adoperarsi per rimuoverle, affinché una simile rovina non abbia a ripetersi. Poiché T‘ovma legge le vicende umane alla luce della dinamica scritturistica peccato/punizione, una chiave interpretativa già utilizzata da altri storiografi armeni17, egli imputa le devastazioni provocate da Timuridi e Turcomanni, e aggravate da tremende carestie, alla diffusa presenza del peccato nella società armena, sia nella sua componente secolare sia in quella religiosa. Agli occhi di T‘ovma, tuttavia, la colpa più grave è la lacerazione prodotta tra gli Armeni dalle diverse forme di dissidenza religiosa: è ciò che egli chiama il peccato mortale di Caino, ovvero l’odio del fratello verso il fratello. I contrasti che accompagnarono l’elezione di Kirakos Virapec‘i nella nuova sede catholicosale di Ēǰmiacin, portando, infine, alla sua deposizione, seguita dal ritorno di T‘ovma nel monastero di Mecop‘, lasciarono verosimilmente un segno profondo nella visione della storia del vecchio vardapet, proprio negli anni in cui si dedicava alla composizione della Storia. Se questa circostanza può spiegare la veemenza con cui T‘ovma denuncia la condotta peccaminosa dei religiosi suoi contemporanei, essa non viene però mai apertamente menzionata nella Storia. Il Mecop‘ec‘i, infatti, si limita a lamentare l’incapacità del clero armeno di risanare la rottura prodotta dalla creazione, nel 1113, del catholicosato di Ałt‘amar, che esercitava la sua giurisdizione sui territori prospicienti il lago di Van, interessando direttamente la regione dalla quale T‘ovma era originario. A questo riguardo egli ricorda più volte il tentativo di Grigor Tat‘ewac‘i di ricomporre tale frattura18. Ma soprattutto T‘ovma si mostra preoccupato per la crisi degli Armeni convertiti al cattolicesimo, frutto del proselitismo dei fratres unitores.
19 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 17 (VII).
20 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 27 (XI), cf. Pogossian 2010, p. 55 n. 23.
21 Su questa tradizione e, più in generale, sulla figura di Costantino nella tradizione storiografica (...)
11Come il peccato di Caino è la colpa che si commette contro i propri fratelli, allo stesso modo, nella prospettiva di T‘ovma Mecop‘ec‘i, le tensioni prodottesi in Armenia per il diffondersi del cattolicesimo sono un peccato commesso da Armeni contro altri Armeni. Roma rimane completamente al di fuori dell’orizzonte di T‘ovma. Egli non accenna all’attività dei missionari latini, né all’autorità del papa. Anzi, la guida della Chiesa di Roma è evocata, in modo del tutto occasionale, in due soli passaggi che riguardano entrambi san Silvestro. Una prima volta nel capitolo VII, dove si parla dei fatti che portarono alla perdita della croce di Getargel, fatta « del legno di vita, dato in dono a san Gregorio l’Illuminatore da san Silvestro » (i p‘aytēn kenac‘, tueal pargew surb Lusaworč‘in Grigori jeṙamb srboyn Sełbestrosi)19 e, poco oltre, nel capitolo XI in cui si ricordano « le reliquie del santo evangelista Luca e dell’apostolo Andrea e le due destre degli apostoli Pietro e Paolo, che il patriarca Silvestro e il re Costantino diedero all’Illuminatore » (i masanc‘ surb awetaranč‘in Łukasu ew Andrēi aṙak‘eloyn ew B. aǰ aṙak‘eloc‘n Petrosi ew Pōłosi, zor Sełbestros hayrapetn ew t‘agaworn Kostandianos etun Lusaworč‘in) custodite nel monastero degli Apostoli, nel Tarōn, noto anche come monastero di Łazar20. Entrambi i passi fanno riferimento alla visita che Tiridate, primo re cristiano d’Armenia, e Gregorio l’Illuminatore, artefice della sua conversione, avrebbero fatto all’imperatore Costantino e a papa Silvestro nella capitale imperiale. Tale tradizione, già attestata alla fine V sec., fu ripresa, rielaborata e ampliata – come accade appunto per la lista dei doni ricevuti dalla delegazione armena, che si arricchisce di una lunga serie di reliquie – proprio quando i rapporti tra le due Chiese si andarono intensificando in concomitanza con la nascita del Regno armeno di Cilicia (1198)21. Pertanto, l’unico richiamo di T‘ovma al pontefice romano è memore dell’antica fratellanza tra le due Chiese.
22 Secondo Łazaryan – Avetisyan 1987, p. 29 (s.v. ałt‘armay) questo termine, di cui si registrano anc (...)
23 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 12 (VI).
24 Ivi, p. 13 (VI).
25 Ivi, p. 109 (XXIX).
26 Ivi, p. 109 (XXIX).
27 Ivi, p. 13 (VI); 52-54 (XX); 86 (XXVII).
12Il bersaglio più diretto delle critiche di T‘ovma sono dunque gli Armeni convertiti al cattolicesimo, che egli designa con il termine ałt‘armay22 e qualifica in modo fortemente negativo come k‘ristosateac‘ (odiatori di Cristo)23, sut k‘ristoneay (falsi cristiani)24 o, ancora, sut ew erkabnak azg (nazione falsa e diofisita)25. La loro presenza in Armenia, accennata incidentalmente nei capitoli che descrivono le devastazioni causate dagli invasori26, viene delineandosi più chiaramente nelle sezioni dell’opera dedicate alle vicende dei monaci27.
13Queste ultime tracciano una sorta di genealogia intellettuale, ovvero la figliolanza spirituale di diverse generazioni di vardapet da altri vardapet che sono stati loro maestri, ponendo così in evidenza la funzione pedagogica del magistero di vardapet. Si tratta di una genealogia di cui lo stesso T‘ovma Mecop‘ec‘i si sente parte e che ha come poli culturali il Siwnik‘, nell’Armenia orientale – con la celebre scuola monastica di Glajor, che poi passa il testimone a quella di Tat‘ew, sempre nel Siwnik‘ –, e il Kaǰberunik‘, ovvero l’area a nord del lago di Van, dove sorgeva il monastero di Mecop‘.
28 Sul questo importante centro culturale abbiamo due monografie in armeno Xač‘eryan 1973 e Arevšatya (...)
29 Su questa importante figura della cultura armena si veda van den Oudenrijn 1956, p. 98-100 e la n. (...)
14La discendenza intellettuale a cui T‘ovma appartiene, e che viene illustrando nella Storia, è quindi legata alla tradizione delle più importanti accademie ecclesiastiche dell’Armenia medievale ed è in prima linea nella difesa della Chiesa apostolica contro le tendenze filo-latine. Tutti i monaci di cui egli fa menzione si sono formati all’insegnamento di maestri che discendono da Nersēs Mšec‘i (†1284), direttore della scuola di Glajor28. Benché questi non sia citato nella Storia, viene tuttavia ricordato uno dei suoi più illustri discepoli, Esayi Nč‘ec‘i (1252/7-1338)29, suo successore a Glajor, alla cui scuola si formarono due vardapet che ebbero un ruolo rilevante nel confronto tra Armeni apostolici e fratres unitores e a cui T‘ovma Mecop‘ec‘i fa più volte riferimento: Yovhannēs Orotnec‘i (1315-1386) e Sargis Aprakunec‘i (†1401).
30 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 54 (XX).
31 Ivi, p. 45-46 (XVIII).
32 Ivi, p. 48-51 (XIX).
33 Ivi, p. 58 (XXI) e 75 (XXV).
15Sargis Aprakunec‘i è menzionato in diversi passi della Storia, che registra rapidamente i suoi spostamenti dai monasteri dell’Armenia orientale fino ad Arčēš, nella terra natale di T‘ovma Mecop‘ec‘i, sua sede definitiva. Egli infatti è ricordato, anzitutto, nel monastero di Aprakunik‘30, nella valle del fiume Ernǰak, nel Naxiǰewan, dove sorgevano i principali centri degli unitores, tra cui il celebre convento di K‘ṙnay. Di là passò alla guida del monastero di Astapat, sempre nel Naxiǰewan, e in seguito alla carestia del 1388 dovette spostarsi a Her (oggi Khoy), a nord del lago di Urmia. Si trasferì infine nel monastero della Santa Madre di Dio di Suxar, detto poi Xaṙabast, di Arčēš nel 1389, dove ebbe tra i suoi discepoli anche T‘ovma Mecop‘ec‘i31 e dove morì e fu sepolto32, lasciando la direzione del monastero al vardapet Vardan di Hogwoc‘33.
34 Ivi, p. 51-58.
35 Cf. van den Oudenrijn 1958, p. 119, dove si ricorda come la versione armena di questo trattato sia (...)
36 Cf. van den Oudenrijn 1956, p. 102-103. Su questa intensa attività di traduzione si veda in partic (...)
16Il capitolo XX34 è interamente dedicato a un avvenimento della vita di Sargis che illustra alcuni aspetti del confronto tra Armeni apostolici e unitores: si tratta dell’episodio legato al Libro delle virtù, opera composta da fra Pietro di Aragona, uno dei domenicani al seguito di Bartolomeo da Poggio, sulla base della Summa de virtutibus et vitiis del domenicano lionese Guglielmo Peraldo e delle Summae di Tommaso d’Aquino, e tradotta in armeno da Yakobos K‘ṙnec‘i, detto il Traduttore, nel 133935. Era, dunque, uno dei tanti trattati esemplati su analoghi scritti in uso nei curricula degli studia e delle università occidentali e tradotti in armeno in primo luogo per modellare, sull’esempio europeo, percorsi di studi filosofici e teologici destinati ai monasteri degli unitores, a cominciare da quello di K‘ṙnay, ma sovente adottati anche nelle accademie monastiche armene apostoliche, contribuendo così in modo decisivo alla diffusione della teologia scolastica in Armenia36.
17Narra T‘ovma Mecop‘ec‘i che, quando Sargis si trovava ancora nel monastero di Aprakunik‘ – e quindi a diretto contatto con i fratres unitores –, fu informato da un monaco armeno cattolico, pentito della sua conversione, che gli unitores avevano in animo di interrogarlo sulla base di un testo che essi usavano durante le loro lezioni: il Libro delle virtù. Affinché Sargis potesse superare la prova, il monaco gli consegnò una copia di quel trattato. Due giorni più tardi giunsero presso il vardapet due monaci convertiti e gli posero la seguente domanda: «Che cos’è la virtù e qual è la sua definizione?» (zinč‘ ē aṙak‘inut‘iwn ew zinč‘ ē sahman norin?). Di fronte alla risposta ineccepibile di Sargis – non riportata da T‘ovma – i monaci fecero ritorno al loro convento. Qualche tempo dopo si recarono nuovamente da Sargis e gli posero una seconda domanda: «Qual è la definizione della fede?» (zinč‘ ē sahman hawatoy?). Anche in questo caso T‘ovma non riferisce la replica di Sargis, limitandosi a dire che egli «dà quella risposta che aveva imparato dai vardapet» (na asē zayn patasxani, zor useal ēr i vardapetac‘). Ancora una volta, comunque, la risposta deve essere parsa inappuntabile, visto che i due monaci «pieni di vergogna tornarono nel monastero di K‘ṙnay» (amōt‘alic‘ darjan i vank‘n K‘ṙnoy). Lo sviluppo della vicenda è però imprevedibile. I discepoli di Sargis supplicano il maestro di fare lezione sul Libro delle virtù, ed egli, «essendo di animo mite e ingenuo, confidando nello spirito divino» (hezahogi ew miamit golov, apawineal i hogin Astuac) si lascia convincere, ma le conseguenze saranno nefaste: i suoi discepoli vorranno convertirsi al cattolicesimo. Scrive, infatti, T‘ovma:
37 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 53-54 (XX): «tgēt golov, oč‘ ēin aṙeal zčašak dawanut‘ean ekełec‘oy zme (...)
poiché erano ignoranti, non (riuscivano) ad assaporare la dottrina della Chiesa del Grande Gregorio, di Gregorio il Teologo, di Atanasio e di Cirillo e dei nostri teologi Step‘anos dei Siwnik‘, Anania Širakuni, Pōłos Tarōnac‘i, Yovhannēs Sarkawag Hałbatac‘i, il filosofo Dawit‘, Movsēs K‘ert‘ołahayr e il traduttore Asołnik e gli altri santi vardapet.37
18A risolvere questo scandalo fu Yovhannēs Orotnec‘i, mandato a chiamare da Sargis per tramite di Małak‘ia Łrimec‘i (†1384). Yovhannēs giunse da Tat‘ew, esaminò gli allievi apostati e li condannò: essi furono imprigionati, alcuni furono messi in ceppi, mentre altri furono bastonati. Ma, continua T‘ovma Mecop‘ec‘i,
38 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 57 (XX): «yetoy amenek‘ean patžec‘an yAstucoy, omank‘ getakurs ełen, om (...)
in seguito tutti furono puniti da Dio: alcuni annegarono, alcuni giravano nudi pieni di ignominia, metà di loro fuggì nella terra dei Franchi, e avendo lanciato calunnie in mezzo a loro, li misero in un (calderone) di rame e li fecero bollire; metà di loro pentendosi si ravvidero…38
39 Su Mxit‘arič‘ e la sua opera cf. van den Oudenrijn 1931, dove alle p. 305-308 si trova la lista de (...)
19La medesima vicenda è riferita, qualche decennio prima, nel capitolo XLIII dell’Ułłap‘aṙac‘ girk‘ (Libro degli ortodossi, noto anche come Manuale dei cattolici), opera ancora inedita composta nel 1410 da fra Mxit‘arič‘ Aparanec‘i, convertitosi al cattolicesimo dopo essere stato per qualche tempo allievo di Sargis Aprakunec‘i39. Mxit‘arič‘ si sofferma sull’attività di Małak‘ia Łrimec‘i contro gli unitores e, in particolare, ricorda come egli avesse fatto venire il vardapet Sargis nel convento superiore di Aprakunik‘, ma questi si sarebbe avvicinato alla dottrina cattolica con i suoi discepoli proprio grazie alla lettura del Libro delle virtù. La violenta reazione di Małak‘ia fu diretta proprio contro gli allievi di Sargis, che furono minacciati e tormentati per costringerli all’abiura al punto che alcuni, fuggiti presso gli unitores, furono da questi mandati a Maku, da dove poi fuggirono a Caffa (oggi Feodosia, in Crimea), altri si fecero segretamente battezzare, ufficializzando così la loro conversione, altri ancora, terrorizzati, cercarono scampo in rifugi diversi, altri, infine, sempre spinti dalla paura, si dispersero qua e là. Quanto a Sargis, uomo debole e di animo timoroso, non osò opporsi alla repressione di Małak‘ia, né con le parole né con i fatti.
20Le differenze tra i due resoconti sembrano potersi ricondurre al diverso focus delle due narrazioni, oltre che all’opposta prospettiva armeno-cattolica e armeno-apostolica dei due autori.
40 Cf. van den Oudenrijn 1931, p. 282-288 e van den Oudenrijn 1961, p. 96.
21Il protagonista del passo dell’Ułłap‘aṙac‘ girk‘, infatti, è Małak‘ia Łrimec‘i, del quale viene offerto un ritratto che fa da contrappunto negativo all’immagine agiografica tramandata, come vedremo tra poco, sia dalla Storia sia da alcune redazioni del Sinassario (Yaysmawurk‘). Mxit‘arič‘ lo mostra come un uomo ambizioso e crudele, che avrebbe profuso risorse finanziarie e non avrebbe esitato a ricorrere alla forza bruta e alla tortura per avere la meglio sugli unitores; lo definisce inoltre un falso asceta sovente dedito alla crapula, tanto che la morte lo avrebbe colto proprio mentre banchettava, e neppure negli ultimi istanti di vita avrebbe perso l’occasione per denigrare gli avversari, cercando di accreditare la notizia di un suo avvelenamento. Pertanto, la vicenda degli allievi di Sargis nella narrazione di Mxit‘arič‘ ha precisamente la funzione di esemplificare la malvagità di Małak‘ia; non stupisce, quindi, l’insistenza sul trattamento riservato agli apostati, né la totale assenza di Yovhannēs Orotnec‘i, il cui intervento nella fase del giudizio degli allievi avrebbe offuscato il ruolo primario svolto in quella circostanza da Małak‘ia. Mxit‘arič‘ non nasconde tuttavia la responsabilità di Sargis nella conversione dei propri allievi e, in questo contesto, lo presenta come un uomo debole e pavido, incapace di reagire alla violenza di Małak‘ia, in contrasto con l’immagine generalmente positiva che Mxit‘arič‘ ci lascia del suo antico maestro e che, secondo van den Oudenrijn, si giustificherebbe proprio con la vicinanza di Sargis alle posizioni degli unitores, alle quali non avrebbe aderito compiutamente solo per il reciso rifiuto opposto alla pratica delle riordinazioni e dei ribattesimi, che egli cercò di contrastare in ogni modo40. D’altronde, nella prospettiva di un convertito come Mxit‘arič‘, debolezza e paura possono essere imputate a Sargis proprio per la sua mancata adesione al cattolicesimo.
41 Bais 2017.
42 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 167 (LII).
22T‘ovma Mecop‘ec‘i, invece, inserisce questo episodio nei capitoli che delineano la genealogia intellettuale dei vardapet, al cui magistero egli attribuisce un valore pedagogico ed etico fondamentale per la società armena, come abbiamo cercato di dimostrare altrove41, tanto da denunciare la diretta responsabilità del cattivo maestro nei peccati di cui si macchieranno gli allievi a causa dei suoi erronei insegnamenti: «Chiunque ha imparato da te – afferma riecheggiando il Salmo 68, 28 – ti aggiungerà, giorno dopo giorno, peccati ai tuoi peccati» (ov ok‘ or useal ē i k‘ēn, yawelu k‘ez ōr ǝst ōrē mełk‘ i veray mełac‘ k‘oc‘)42. In questo quadro trova una spiegazione l’enfasi particolare che egli pone sugli antefatti della vicenda, portando al centro della narrazione l’uso del Libro delle virtù nella cerchia di Sargis.
23Nella versione di T‘ovma, l’episodio ha origine da un confronto tra le due posizioni antagoniste, secondo una prassi che evoca la disputa teologica, ma T‘ovma non entra nei dettagli, sorvolando persino sulle risposte di Sargis ai due monaci. Tuttavia, quando egli afferma che il vardapet replicò al secondo e più sostanziale quesito – «Qual è la definizione della fede?» –, con «quella risposta che aveva imparato dai vardapet», inducendo così i suoi interlocutori a tornarsene al loro monastero colmi di vergogna, egli esalta certamente la bontà della dottrina armena ma, allo stesso tempo, sottolinea il ruolo centrale che il vardapet gioca nella trasmissione di tale dottrina da una generazione all’altra. Siamo, dunque, di fronte a una sorta di mise en abyme in cui si decanta il senso di tutto l’episodio: l’importanza del corretto insegnamento per la salvaguardia della tradizione.
24La prima domanda – «Che cos’è la virtù e qual è la sua definizione?» – pare invece toccare direttamente il contenuto del Libro delle virtù: benché T‘ovma non lo affermi espressamente, tutto lascia pensare che Sargis abbia risposto in modo ineccepibile proprio grazie alla conoscenza di quel trattato. Quando però egli cedette alla richiesta di adottare quel testo per le sue lezioni, il risultato non fu altrettanto felice e i suoi allievi si lasciarono traviare dalla falsa dottrina dei convertiti. Secondo T‘ovma, l’errore dei discepoli di Sargis nasce dall’ignoranza, che impedisce loro di comprendere appieno la dottrina della Chiesa armena, attraverso la conoscenza di Gregorio l’Illuminatore, apostolo dell’Armenia, di alcuni padri della Chiesa quali Gregorio di Nazianzo, Atanasio di Alessandria e Cirillo di Alessandria, oltre che del pensiero di personaggi importanti della cultura armena, in parte citati per nome, in parte indicati con la formula «gli altri santi vardapet», con la quale ancora una volta si ribadisce la centralità di questa figura per la trasmissione della retta dottrina.
25Tutta questa vicenda può, quindi, essere letta come un monito a usare con cautela i testi di matrice cattolica. Essi, infatti, hanno una valenza ancipite, proprio come il Libro delle virtù, che da una parte contribuisce alla vittoria di Sargis nel confronto con gli unitores, ma dall’altra induce in errore i suoi discepoli. Il discrimine è costituito dalla capacità di leggere e interpretare quelle opere alla luce della tradizione nazionale: non è un caso che Sargis s’imponga sui due monaci cattolici grazie alla lettura del Libro delle virtù, ma vinca definitivamente grazie alle conoscenze tramessegli dai vardapet.
43 Ivi, p. 57 (VI); 50 (XIX) e 75 (XXV). Sargis viene inoltre chiamato «grande varžapet», T‘ovma Meco (...)
26T‘ovma definisce più volte Sargis «grande vardapet»43, mostrando tutto il suo rispetto verso il vecchio maestro, tuttavia l’accusa di ignoranza rivolta ai suoi allievi mette forse in ombra, ma non riesce a cancellare del tutto, le responsabilità del vardapet, a cui sarebbe toccato il compito di collocare quel testo nel quadro dell’ortodossia armena. Segni di debolezza di Sargis sono anche l’attribuzione della sua condiscendenza verso la richiesta dei discepoli a mitezza e ingenuità e il fatto che i suoi studenti si fossero decisi a convertirsi a sua insaputa, tanto che la situazione sarebbe stata portata alla conoscenza di Sargis da uno dei preti della congregazione, venuto a sapere del pericolo grazie a un sogno premonitore. Questi elementi lasciano forse intravedere un tentativo di T‘ovma Mecop‘ec‘i di sottacere la vicinanza di Sargis agli unitores a cui si è accennato sopra. Probabilmente anche per questo il giudizio degli allievi apostati non spetta a Sargis, bensì a un campione dell’ortodossia armena quale Yovhannēs Orotnec‘i.
44 Cf. La Porta 2007, p. 205-209.
27La centralità di Yovhannēs Orotnec‘i nella genealogia intellettuale tracciata da T‘ovma Mecop‘ec‘i è palese e riflette la sua grande influenza sulla storia culturale e religiosa dell’Armenia. Egli è il capostipite da cui discendono quasi tutti i vardapet menzionati nel corso della Storia e, con Sargis Aprakunec‘i e Małak‘ia Łrimec‘i, appartiene alla generazione di vardapet che gettò le basi della scuola di Tat‘ew, la cui fama raggiunse l’acme sotto la guida del suo allievo e successore Grigor Tat‘ewac‘i (1344-1409)44.
45 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 83-96.
28A Yovhannēs Orotnec‘i è dedicato il capitolo VI, dal tenore marcatamente agiografico, in cui il suo nome è accostato, come nel capitolo XX, a quello di Małak‘ia Łrimec‘i. T‘ovma ne ricorda le nobili origini – era infatti figlio di Ivanē dei principi del Siwnik‘ –, il discepolato presso Esayi Nč‘ec‘i e Tiratur ; accenna inoltre a come si impegnasse «lottando giorno e notte contro gli odiatori di Cristo ałt‘armay della provincia di Ernǰak» (tiw ew gišer mak‘aṙelov ǝnddēm k‘ristosateac‘ ałt‘armayic‘n gawaṙin Ernǰaku). Quando morì, nel 1386, i suoi allievi lo seppellirono nel monastero di Ernǰak accanto al suo discepolo Małak‘ia Łrimec‘i. A conclusione del capitolo, T‘ovma ricorda come a succedere a Yovhannēs Orotnec‘i sia stato chiamato il suo più celebre discepolo, Grigor Tat‘ewac‘i, per volontà di Sargis e di un gruppo di allievi di Yovhannēs, tra i quali spicca Yovhannēs Mecop‘ec‘i, maestro e predecessore di T‘ovma Mecop‘ec‘i alla guida del monastero di Mecop‘, al quale è dedicato il lungo capitolo XXVI della Storia45.
46 Si tratta del Ms. Londra, British Museum, Or. 6798 (cat. 138), fol. 126b-127b, cf. Conybeare 1913, (...)
47 Van den Oudenrijn 1931, p. 285 n. 1 e van den Oudenrijn 1961, p. 104 e n. 1. L’episodio è ricordat (...)
29Benché il giudizio degli allievi apostati tocchi a Yovhannēs Orotnec‘i, la Storia riconosce a Małak‘ia Łrimec‘i un ruolo di primo piano in questa vicenda e, più in generale, nel confronto tra Armeni apostolici e cattolici. Infatti, pur sembrando relegato alla posizione marginale di intermediario di Sargis presso Yovhannēs, non deve sfuggire che il sogno premonitore fu riferito non solo a Sargis, ma anche a Małak‘ia; inoltre Sargis decise come agire solo dopo essersi consultato (xorhurd i mēǰ aṙeal), e si può pensare che si sia consigliato in primo luogo proprio con Małak‘ia. Pertanto anche T‘ovma, seppur in modo discreto e con notazioni rapide ma puntuali, in linea con lo stile asciutto della Storia, presenta un Małak‘ia che, di fatto, regge le fila della vicenda e non nasconde la severità della punizione inflitta agli apostati, tale da causarne anche la morte, sebbene per tale castigo venga evocato l’intervento divino: «in seguito tutti furono puniti da Dio…». A questo proposito vale forse la pena ricordare come il supplizio che, stando alla Storia, alcuni degli apostati avrebbero patito da parte dei Franchi, sia menzionato in un colofone di un manoscritto armeno del British Museum, secondo il quale un certo vardapet Yakob Kołbec‘i e dieci suoi compagni convertiti al cattolicesimo, dopo aver rifiutato gli inviti di Yovhannēs Orotnec‘i e Grigor Tat‘ewac‘i a ravvedersi, sarebbero stati bolliti vivi in un calderone di rame per opera dei capi armeni (išxank‘)46. Secondo van den Oudenrijn si tratterebbe di uno di quei calderoni che si trovavano presso le chiese armene per cuocere la carne del matał, il sacrificio rituale di animali ammesso dalla Chiesa armena47.
30L’attività di Małak‘ia è precisata nel capitolo VI, dove il suo nome compare in modo quasi accidentale quando si ricorda la deposizione delle spoglie di Yovhannēs Orotnec‘i accanto alla sua tomba, ma tale circostanza offre all’autore il pretesto per aprire una breve digressione sulla sua vita.
48 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 12-13 (VI): «Ew barjeal ašakertac‘ iwroc‘, tareal edin i vank‘n Ernǰaku (...)
E prendendo [il corpo di Yovhannēs] i suoi discepoli lo portarono e lo deposero nel monastero di Ernǰak, accanto al santo asceta Małak‘ia, suo discepolo, che era della città di Łrim affacciata sul mare, figlio di una famiglia molto facoltosa, e aveva abbandonato l’eredità paterna ed era venuto presso il grande vardapet Yovhannēs. E avendo ricevuto da lui l’autorità di vardapet, venne nella provincia di Naxiǰewan, edificò monasteri di Armeni e sopportò molte controversie da parte degli ałt‘armay, falsi cristiani; e in seguito fu avvelenato dalla sua madrina, una ałt‘armay, e lasciò un grande lutto alla nostra nazione, poiché egli custodiva in prosperità le scuole dei due vardapet, di Yovhannēs e di Sargis, quella di Aprakunik‘ e quella di Astapat. E per tutto il tempo della sua vita non mangiò carne né bevve vino. E indossava due cilici, uno se lo toglieva e lo faceva passare nel fuoco, e l’altro non venne mai tolto dal suo corpo.48
49 La notizia su Małak‘ia Łrimec‘i è riportata sotto il 12 del mese di sahmi (21 ottobre), si veda va (...)
31In questo passo, che prosegue con la descrizione di un altro strumento di penitenza corporale indossato da Małak‘ia e con il ricordo della sua rigorosa osservanza del digiuno, T‘ovma insiste nel rappresentare Małak‘ia come un pio monaco, dedito all’ascesi, alla mortificazione della carne e ai digiuni, ma informa anche delle molte controversie che egli dovette affrontare con gli Armeni cattolici e, soprattutto, accenna alla sua attività di edificazione di monasteri nel Naxiǰewan e alla particolare attenzione che egli avrebbe riservato ai due monasteri di Aprakunik‘ e di Astapat, sede delle scuole di Yovhannēs Orotnec‘i e di Sargis. Tale notizia concorda con quanto si legge in alcune redazioni del Sinassario (Yaysmawurk‘)49 e permette di dare a Małak‘ia la giusta collocazione nel confronto con gli unitores della valle dell’Ernǰak: a lui si dovrebbe la creazione delle scuole dei monasteri di Aprakunik‘ e Astapat, dove volle come maestri Yovhannēs e Sargis.
32I tre protagonisti dell’episodio del Libro delle virtù esemplificano, quindi, la complessità delle relazioni tra Armeni apostolici e cattolici. Sargis e Yovhannēs assolvono al fondamentale ruolo di vardapet, verso la cui funzione pedagogica T‘ovma mostra un’attenzione particolare nella Storia, tanto da scegliere di rappresentare il confronto tra i due partiti avversari attraverso una vicenda incentrata sull’insegnamento. Małak‘ia pare invece il più attivo nell’organizzazione della resistenza armena alla diffusione del cattolicesimo e, se la sua azione non esclude momenti di repressione violenta, è soprattutto sul piano culturale che egli diresse la difesa armena, favorendo lo sviluppo di scuole monastiche proprio nella valle dell’Ernǰak, culla degli unitores, avvalendosi in ciò dell’ausilio dei due vardapet Yovhannēs e Sargis. Costoro rappresentano una componente sostanziale della genealogia intellettuale delineata da T‘ovma e avranno un peso nella sua stessa formazione. Sargis Aprakunec‘i, infatti, dopo aver insegnato nell’Armenia orientale si spostò nella regione che aveva dato i natali a T‘ovma e diventò il suo maestro, mentre Yovhannēs Orotnec‘i diresse la scuola di Tat‘ew, resa poi celebre dal suo discepolo Grigor Tat‘ewac‘i, di cui anche T‘ovma fu allievo dopo la morte di Sargis. Sargis e Yovhannēs mostrano però un atteggiamento diverso nei confronti degli unitores. Dietro l’ingenuità e la mitezza del primo, la Storia vuole forse celare le simpatie per i cattolici che egli ebbe in una fase della sua vita, mentre il secondo è presentato come un sostenitore più convinto e risoluto della tradizione armena, giudice inflessibile, pronto ad appoggiare Małak‘ia nelle fasi più violente degli scontri, tanto che T‘ovma pone in evidenza la sua prossimità con Małak‘ia Łrimec‘i, accanto al quale sarà alla fine sepolto. La scelta di rappresentare la relazione tra Armeni apostolici e cattolici attraverso una vicenda incentrata sull’insegnamento ha certamente a che fare con l’attenzione riservata nella Storia al ruolo pedagogico dei vardapet e alla loro responsabilità nella formazione delle future generazioni di religiosi e vardapet, dai quali dipende la custodia e la trasmissione della dottrina armena e la salvaguardia della coesione sociale. Per T‘ovma Mecop‘ec‘i, infatti, la presenza degli Armeni convertiti al cattolicesimo non è tanto avvertita come una colpa della Chiesa di Roma, che egli menziona solo occasionalmente e in termini positivi, quanto piuttosto come una delle gravi spaccature in atto dentro la Chiesa armena.
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Notes
1 Nella tradizione armena il titolo di vardapet è conferito, dopo una lunga formazione, a religiosi che occupano posizioni gerarchiche diverse, riconoscendone così la capacità e l’autorevolezza necessarie per svolgere un magistero rispetto a una cerchia più o meno ampia di discepoli, cf. Thomson 1962, per l’uso più antico del termine, e soprattutto Mardirossian 2004, p. 133-139 e 368-374.
2 Cf. T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. XLI-XLII. La data è stabilita sulla base di un colofone redatto dallo stesso T‘ovma Mecop‘ec‘i nel 1444, nel quale egli afferma di avere 66 anni, cf. Xač‘ikyan 1955, p. 567 n. 683.
3 Sui rapporti tra la Chiesa armena e Roma tra XIII e XV sec. si veda Richard 1977, p. 195-225 e, più recentemente, Stopka 2016, p. 143-291. Per la storia dell’Ordo fratrum unitorum rimangono fondamentali gli studi di van den Oudenrijn citati in bibliografia.
4 Thomson 1976, p. 272-297 (testo armeno e traduzione inglese).
5 Cf. T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. XXXV-LXIV.
6 In questo studio manteniamo il titolo riportato dall’editio princeps, T‘ovma Mecobec‘i 1860, e usato nelle traduzioni moderne, con due eccezioni: gli ampi excerpta pubblicati da Nève 1860 prima della comparsa dell’editio princeps e la traduzione in armeno moderno, Madoyan 2003, che intitola Anōren T‘amuri ew nra haǰord myus bṙnakalneri hamaṙot patmut‘yunǝ [Breve storia dell’empio Timur e degli altri tiranni suoi successori].
7 Nève 1855.
8 Nève 1860.
9 T‘ovma Mecobec‘i 1860.
10 Cf. T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. XXXIX.
11 Così Nève 1860, Ter-Grigor’jan – Bakichan 1957 e Bedrosian 1987.
12 Madoyan 2003.
13 Ter-Davtjan 2005.
14 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 1-217.
15 Su questi aspetti rimandiamo a Bais 2017 e Bais 2018 (in corso di stampa).
16 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 2 (I); 104-105 (XXIX); 155 (XLIX); 162-169 (LII); 202-203 (LXIV). Qui e di seguito si riporta tra parentesi il numero del capitolo come indicato nell’edizione critica T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999.
17 Si vedano a questo riguardo le considerazioni di Thomson 2005, p. 40-41 e di Martin-Hisard in Martin-Hisard – Mahé 2015, p. 277-279.
18 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 46 (XVIII) e 81 (XXVI).
19 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 17 (VII).
20 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 27 (XI), cf. Pogossian 2010, p. 55 n. 23.
21 Su questa tradizione e, più in generale, sulla figura di Costantino nella tradizione storiografica armena si veda Bais 2016, con gli opportuni rimandi alle fonti.
22 Secondo Łazaryan – Avetisyan 1987, p. 29 (s.v. ałt‘armay) questo termine, di cui si registrano anche le varianti grafiche axt‘armay, axtarmay, ałt‘amay è un prestito dal turco ağtarma e indica appunto gli Armeni convertiti al cattolicesimo. Cf. anche van den Oudenrijn 1931, p. 267 n. 2 e, soprattutto, van den Oudenrijn 1958, p. 128-129, dove si afferma che il termine in questione viene usato a partire dalla fine del XIV e l’inizio del XV sec. spesso «comme terme de mépris pour désigner les Arméniens qui se sont ralliés à l’église romaine et on l’emploie avec une certaine préférence pour les membres de la congrégation des Uniteurs». Tuttavia van den Oudenrijn riconosce anche un impiego più generico della parola, per designare «simplement le contraire de ce qu’on reconnaissait comme orthodoxe et alors il sert à dénommer n’importe quelle espèce d’hérétiques ou apostats». In T‘ovma Mecop‘ec‘i il termine ricorre nell’accezione più specifica.
23 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 12 (VI).
24 Ivi, p. 13 (VI).
25 Ivi, p. 109 (XXIX).
26 Ivi, p. 109 (XXIX).
27 Ivi, p. 13 (VI); 52-54 (XX); 86 (XXVII).
28 Sul questo importante centro culturale abbiamo due monografie in armeno Xač‘eryan 1973 e Arevšatyan – Mat‘evosyan 1984; in inglese si può consultare Mathews – Sanjian 1991, p. 4-30.
29 Su questa importante figura della cultura armena si veda van den Oudenrijn 1956, p. 98-100 e la n. 100, che, oltre a chiarire il suo ruolo nella nascita della comunità armeno-cattolica di K‘ṙnay, si sofferma anche sulla sua attività al monastero di Glajor e sui suoi scritti. Cf. anche Xač‘erean 1988.
30 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 54 (XX).
31 Ivi, p. 45-46 (XVIII).
32 Ivi, p. 48-51 (XIX).
33 Ivi, p. 58 (XXI) e 75 (XXV).
34 Ivi, p. 51-58.
35 Cf. van den Oudenrijn 1958, p. 119, dove si ricorda come la versione armena di questo trattato sia stata pubblicata due volte a Venezia, nel 1721 e nel 1772. Su Pietro di Aragona, i suoi scritti e le loro versioni armene, oltre al già citato studio di van den Oudenrijn, si veda anche van den Oudenrijn 1960, in particolare p. 24-27 (n. 19-20), 134-136 (n. 163, 165) e 195-201, 203, 206 (n. 467 sul Libro delle virtù; 478-479; 482; 485).
36 Cf. van den Oudenrijn 1956, p. 102-103. Su questa intensa attività di traduzione si veda in particolare van den Oudenrijn 1958, p. 110-124, dove, a proposito del Libro delle virtù, si afferma che esso «a eu un succès remarquable, même parmi les Arméniens non uniates». Per un panorama complessivo delle traduzioni dal latino rimane fondamentale van den Oudenrijn 1960. Più in generale, sulle implicazioni del confronto tra Armeni apostolici e cattolici sul piano culturale si veda ora La Porta 2015, che alle p. 286-287 si sofferma anche sull’episodio del Libro delle virtù.
37 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 53-54 (XX): «tgēt golov, oč‘ ēin aṙeal zčašak dawanut‘ean ekełec‘oy zmecin Lusaworč‘in Grigori, zAstuacabanin Grigori, zAt‘anasin ew zKiwrłin ew zmeroc‘ astuacabanic‘n zStep‘anosin Siwneac‘, zAnaniay Širakunoy, zPōłosi Tarōnac‘oy, zYovhannu Sarkawagin Hałbatac‘oy, zDawt‘i p‘ilisop‘ayin, zMovsisi K‘ert‘ołahōrn, ew zAsołnik t‘argmanč‘i ew zayloc‘ vardapetac‘ srboc‘». I padri su cui si fonda la dottrina della Chiesa armena e i suoi difensori menzionati in questo passo sono: Gregorio l’Illuminatore, Gregorio Nazianzeno, Atanasio di Alessandria, Cirillo di Alessandria, Step‘anos del Siwnik‘ (ca. 685-735), Anania Širakuni / Širakac‘i (VII sec.), Pōłos Tarōnac‘i (XI-XII sec.), Yovhannēs Sarkawag (XI-XII sec.), Dawit‘ Anyałt‘ / l’Invincibile (filosofo traduttore degli scritti aristotelici, VI-VII sec.), Movsēs K‘ert‘ołahayr (identificato da Ter-Davtjan 2005, p. 113 n. 168 con lo storico Movsēs Xorenac‘i di datazione incerta tra V e VIII sec.), Asołnik, infine, è una variante di Asołik, nome con cui è chiamato lo storico Step‘anos Tarōnec‘i (X-XI sec.).
38 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 57 (XX): «yetoy amenek‘ean patžec‘an yAstucoy, omank‘ getakurs ełen, omank‘ merkac‘eal xaytaṙak šrǰēin, kēsk‘ i noc‘anē p‘axuc‘ealk‘ gnac‘in yašxarhn fṙankac‘, ew i noc‘a miǰin č‘araxōsut‘iwns arareal, i płnji edeal ep‘ec‘in, kēsk‘ i noc‘anē złǰac‘ealk‘ apašxarec‘in…».
39 Su Mxit‘arič‘ e la sua opera cf. van den Oudenrijn 1931, dove alle p. 305-308 si trova la lista dei capitoli dell’Ułłap‘aṙac‘ girk‘. Per il testo armeno e una traduzione latina del passo qui citato del cap. XLIII, si veda van den Oudenrijn 1960, p. 215-228, una traduzione latina parziale si trova in van den Oudenrijn 1953, p. 347-349.
40 Cf. van den Oudenrijn 1931, p. 282-288 e van den Oudenrijn 1961, p. 96.
41 Bais 2017.
42 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 167 (LII).
43 Ivi, p. 57 (VI); 50 (XIX) e 75 (XXV). Sargis viene inoltre chiamato «grande varžapet», T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 48 (XIX) e 88 (XXVII), dove si impiega la variante di derivazione partica di vardapet, che invece è un prestito dal medio persiano, cf. Mardirossian 2004, p. 135 n. 182. Altrove T‘ovma usa per Sargis l’attributo «grande», T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 46 (XVIII); 53 (XX); 60 (XXII); 79 (XXVI) e 114 (XXXIV). Inoltre, egli ricorda la profonda dottrina del suo maestro, tale da illuminare tutta la costa del Vaspurakan, mentre il convento nel quale esercitava il suo magistero era considerato la Gerusalemme celeste, T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 51 (XIX).
44 Cf. La Porta 2007, p. 205-209.
45 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 83-96.
46 Si tratta del Ms. Londra, British Museum, Or. 6798 (cat. 138), fol. 126b-127b, cf. Conybeare 1913, p. 339 (testo armeno), 340 (trad. inglese).
47 Van den Oudenrijn 1931, p. 285 n. 1 e van den Oudenrijn 1961, p. 104 e n. 1. L’episodio è ricordato anche da La Porta 2015, p. 287-288.
48 T‘ovma Mecop‘ec‘i 1999, p. 12-13 (VI): «Ew barjeal ašakertac‘ iwroc‘, tareal edin i vank‘n Ernǰaku merj surb čgnaworin Małak‘ia, ašakerti iwroy, or ēr na i covahayeac‘ k‘ałak‘ēn Łrimu, yoyž mecatan ordi, ew t‘ałeal ēr zhayreni žaṙangut‘iwnn ew ekeal aṙ mec vardapetn Yohannēs. Ew aṙeal i nmanē zvardapetakan išxanut‘iwn, ekn i Naxčawan gawaṙ, šineac‘ zvanorays Hayoc‘, ew bazum hakaṙakut‘iwns kreac‘ yałt‘armayic‘, sut k‘ristonēic‘n, ew yetoy dełakur ełeal i sanamōrēn iwrmē, yałt‘armayē, ew sug mec et‘oł azgis mer, vasn zi zerku vardapetac‘n dasatunn, zYohannun ew zSargsin, na pahēr i šinut‘ean, zAprakuneac‘n ew zAstapatun. Ew zamenayn žamanaks kenac‘ iwroc‘ mis oč‘ eker ew gini oč‘ ēarb. Ew B k‘urj zgec‘eal ēr, zminn hanēr i yanjnēn ew i hur anc‘uc‘anēr, ew minn oč‘ elaw yanjnē nora».
49 La notizia su Małak‘ia Łrimec‘i è riportata sotto il 12 del mese di sahmi (21 ottobre), si veda van den Oudenrin 1953, p. 349-352, che pubblica il testo armeno del passo rilevante accompagnato da una traduzione latina, e van den Oudenrijn 1961, p. 103 e 105.
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Pour citer cet article
Référence papier
Marco Bais, « La Chiesa armena e Roma nella Storia di Tamerlano di T‘ovma Mecop‘ec‘i », Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge, 130-1 | -1, 9-19.
Référence électronique
Marco Bais, « La Chiesa armena e Roma nella Storia di Tamerlano di T‘ovma Mecop‘ec‘i », Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge [En ligne], 130-1 | 2018, mis en ligne le 05 novembre 2018, consulté le 15 septembre 2020. URL : http://journals.openedition.org/mefrm/3927 ; DOI : https://doi.org/10.4000/mefrm.3927
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Auteur
Marco Bais
Pontificio Istituto Orientale, Roma, marbais@hotmail.com
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Droits d’auteur
© École française de Rome
https://journals.openedition.org/mefrm/3927
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