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051017 - TURCHIA-UE: QUESTIONE ARMENA RIMANDATA SINE DIE

Niente di nuovo sul fronte turco. La questione armena continua a lacerare gli animi di intellettuali, giornalisti e politici ad Ankara e dintorni. Ma per ora, neanche l'Ue è riuscita a imporre alle autorità turche il riconoscimento del genocidio che si consumò 90 anni fa.
Gabriele Carchella - Lunedi' 17 Ottobre 2005
Per la stampa turca in lingua inglese il genocidio armeno è ancora “so-called”, cosiddetto. Un aggettivo che ama usare anche il capo del Pentagono Donald Rumsfeld, parlando dei territori occupati in Palestina. Qualche tempo fa, l’improprio vezzo gli è stato rinfacciato insistentemente da un irriverente giornalista della Bbc in un’intervista televisiva a tu per tu. Assediato dal tenace intervistatore, il numero uno della difesa americana, non certo noto per essere un tenero, ha dovuto cedere le armi e rinunciare all’amato “so-called”.
Il funerale dell’aggettivo dalle propensioni troppo relativistiche è però ancora lontano dall’essere celebrato in terra ottomana. Lo sa bene il 53enne Orhan Pamuk, considerato il più importante scrittore turco e autore di “Neve”, romanzo-confessione in cui tutti i conflitti che agitano l’identità della Turchia odierna emergono con forza dirompente, in una storia che mescola amore, poesia, politica e religione.
L’intellettuale turco, dopo aver trascorso metà dei suoi anni in esilio, si trova ora sotto il giogo della giustizia del suo paese per aver soppresso motu proprio il “cosiddetto” parlando apertamente, in un’intervista con la stampa svizzera, di genocidio armeno: “30mila curdi e un milione di armeni sono stati uccisi in Turchia, ma nessuno osa dirlo”. La questione terminologica non è di quelle astratte che riscaldano gli animi di filologi e accademici della Crusca.
Dalla sua soluzione dipende il riconoscimento internazionale della tragedia al centro della memoria storica di un intero popolo. L’incriminazione di Pamuk non è sfuggita ai media occidentali, che hanno dedicato all’incidente prime pagine, editoriali e commenti mettendo in campo i migliori analisti. Neanche il Parlamento europeo ha fatto orecchi da mercante, raccomandando che il riconoscimento turco del genocidio sia uno dei prerequisiti per l’avvio dei negoziati con Ankara. Ma la risoluzione, l’ultima di una serie approvate dall’assemblea, non è stata raccolta dalla Commissione europea, che si è riservata di discutere la questione armena nel corso delle trattative per l’adesione della Turchia avviate all’inizio di ottobre.
Nel dibattito mediatico, la voce più flebile è stata proprio quella degli armeni. Difficile per un piccolo paese che non raggiunge i quattro milioni di anime, incastrato tra Iran, Georgia, Arzebaigian e Turchia, conquistare le luci della ribalta anche quando sono in gioco interessi nazionali. Più facile farsi sentire per gli armeni della diaspora, concentrati in Russia, Stati uniti, Georgia, Francia, Iran e Libano. La circostanza non sorprende, visto che gli armeni all’estero sono circa il doppio di quelli residenti in patria e possono contare su associazioni influenti come l’Assemblea armena d'America e il Comitato nazionale armeno d'America, con sede a Washington. Due organizzazioni che si battono per il riconoscimento del genocidio del 1915 e per avvicinare l’amministrazione Usa, favorevole all’entrata della Turchia nella Ue, alla causa del paese caucasico.
Per conoscere l’opinione dei politici armeni, meglio allora consultare testate come “Nouvelles d’Arménie”, rivista degli armeni francesi, i più attivi della diaspora europea. E scoprire così che l’apertura dei negoziati tra l’Unione europea e la Turchia non ha cancellato tutte le speranze: “Ci auguriamo che nel corso di questo processo la Turchia riconoscerà il genocidio armeno, un punto che il Parlamento europeo considera come una precondizione all’adesione della Turchia all’Ue nella sua ultima risoluzione”, ha dichiarato il ministro degli Esteri armeno Vardan Oskanian attraverso il suo portavoce. Ma i timori che il negazionismo possa passare indenne gli esami europei che attendono la Turchia, per quanto questi siano destinati a durare molti anni, prevalgono sulle speranze: “Come proteggere questa memoria? Come portare lo stato turco a conformarsi ai valori che hanno reso possibile la riconciliazione franco-tedesca? Quali mezzi restano agli armeni per farsi sentire?”, si chiede una commentatrice franco-armena paventando che, per un improvvido scherzo del destino, l’ingresso della Turchia possa avvenire proprio nel 2015, anno in cui si commemorerà il centenario del genocidio. Di sicuro non sono riusciti a farsi ascoltare gli armeni che hanno manifestato a Lussemburgo fuori dall’edificio incu si teneva la conferenza che ha dato il via ai negoziati con Ankara.
I segnali provenienti dalla società turca non sono incoraggianti. Dopo l’incriminazione di Pamuk, un altro episodio ha gettato ombre sulla reale intenzione dei turchi di riconoscere il dramma vissuto dagli armeni durante il primo conflitto mondiale. Un tribunale civile ha deciso di impedire lo svolgimento di una conferenza sul genocidio degli armeni in programma all’università di Bogazici, l’ateneo del Bosforo, in seguito alla richiesta di un avvocato nazionalista. La conferenza è stata trasferita nella più piccola università «Bilgi», con una riduzione del programma da due a tre giorni, ma il pasticcio era ormai fatto, nonostante la pronta condanna del premier Recep Tayyip Erdogan.

L'articolo è apparso suNewPolitics di questo mese.
da LETTERA 22.it
17/10/05

V.V

 
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