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051218 - Viken Beberian- scrittore .
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La letteratura del medioriente a "Piùlibripiùliberi": Berberian e Altaras
lo scrittore libanese Viken Beberian -
Medioriente? C’è qualcosa di nuovo nel mercato dell’editoria italiana. Il successo del resto, alle nostre latitudini, non è mai mancato per autori come David Grossman, Yeoshua ed Amos Oz: cronache dal conflitto tra israeliani e palestinesi e riferimenti all’olocausto. Non ne sappiamo mai abbastanza ma è giusto sapere che, dal cuore occidentale di Gerusalemme, può giungere a noi anche qualcosa di diverso. E’ il caso de “Il vestito nero di Odelia” di Alon Altaras. Similmente, siamo abituati ad individuare il Libano nella poesia di Khalil Gibran, lungamente ospitato nel villaggio di Bcharri, situato nell’area settentrionale del paese dei cedri, nel cuore della valle sacra. Oggi, grazie ai tipi di Minimum Fax, riconosceremo le gesta (anche ironiche) di un kamikaze nella prosa vivace di Viken Berberian. Già un kamikaze; il rischio di cadere nello stereotipo esiste ma Berberian lo fugge facendo un passo indietro. Il rapporto tra letteratura e terrorismo è cambiato dopo l’undici settembre di New York. Così, se già Dostoevskij e Conrad (L’agente segreto) trovavano nel terrorista un “protagonista affascinante” – dalle parole dello scrittore Tommaso Pincio -, dopo l’attacco alle torri gemelle, la letteratura, specie quella anglosassone, ha preferito guardare il problema dal punto di vista delle vittime. Ecco la svolta: Berberian ci restituisce la violenza politica vista dagli occhi dell’attore, che è anche un viaggio nel rapporto tra la violenza politica e l’autore stesso che, nel 1986, perse il padre in un attentato a Beirut. “Il ciclista” è dunque la storia di un attentato e della sua filiera: dall’addestramento nell’ “accademia” di Londra alla sua attuazione. Ma i piani saltano e il registro gioca sui piani dell’ambiguo. Come ambiguo è lo stesso Berberian: libanese di nascita, armeno di origini e presto traferito a New York. C’è dunque una certa neutralità o forse un triplo punto di vista sul medioriente, in grado di scardinare ogni impianto ideologico e di restituire sincerità - e respiro - ad una prosa capace di turbare e divertire il lettore, pagina dopo pagina. “Il ciclista” (Ed. Minimum Fax, p.185, 13) inizia con il protagonista in coma dopo un incidente occorso a cavallo della due ruote. L’attentato preordinato è fallito. Riuscirà il protagonista a tornare in sella per raggiungere l’obiettivo precedentemente fissato? Si segnalano nel testo numerosi riferimenti alla cucina libanese e alla visceralità del protagonista: un po’ Montalban, un po’ Suskind, sebbene giovi sottolineare che le passioni dichiarate dall’autore, tra le altre, siano Borges, Pynchon, Camus e Levi. Per Berberian si tratta del romanzo d’esordio.
E di esordio si può parlare anche per Alon Altaras; “Il vestito nero di Odelia” è infatti il primo romanzo dell’autore tradotto in lingua italiana. E qui i meriti vanno attribuiti allo staff della Voland che, come i migliori osservatori del calcio, riescono ad individuare talenti tra le “lettere di periferia”. Alon Altaras del resto è da considerare un ponte tra le culture. In Israele infatti ha già tradotto i nostri Sanguineti, Pasolini, Leopardi, Gramsci e Tabucchi. “Il vestito nero di Odelia” è la storia di una ragazza, di un vestito, di Venezia e di Tel Aviv. Il testo è pervaso dal senso di morte: “Gli italiani sanno poco della cultura israeliana. Il nostro popolo – dice l’autore – ha imparato a convivere con la morte”. E qui è difficile fuggire la sensazione di deja vu; ma la Venezia di Altaras è una città moderna, non quella settecentesca di Goldoni, né tantomeno quella decadente di Thomas Mann.
“Odelia è una ragazza come ce sono tante in occidente”, spiega lo stesso autore. Bella e intelligente ma anche anoressica, feticista e violenta all’occorrenza. Secondo lo scrittore Ugo Riccarelli le capacità di psicanalisi di Altaras, docente di letteratura ebraica all’università di Siena, sono da considerarsi alla stregua di un Simenon. Il libro è anche la storia di un rapporto familiare, di una morte prematura (quella della madre) e degli effetti dell’accadimento su una bambina (Odelia) che continua a coltivare il mito della madre morta. La pressione è costante, la quotidianità è oscura. E ciò che i media rendono spettacolare diventa “familiare” nella prosa di Altaras. La curiosità: è il secondo libro dell’autore israeliano (il terzo è in lavorazione). Se qui si parla di un vestito, nel primo la protagonista era una sarta (sua madre). “Ma il terzo romanzo non tratterà di vestiti da sera né di sfilate di moda” ha voluto ironicamente assicurare Alon Altaras.
V.V
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