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06 01 14 - Novecento, secolo del Terrore
Da " Il Msattino "
Aurelio Lepre La parola genocidio viene adoperata sempre più spesso per indicare massacri e stragi, e non sempre a proposito. Fa parte ormai dell’armamentario politico utilizzato nelle controversie internazionali e anche in quelle interne. Accusare di genocidio il nemico o anche gli antenati di un avversario politico è un mezzo impiegato frequentemente per infamarli o infangarli. Per questo motivo gli storici dovrebbero servirsene con grande cautela. Ma siamo in realtà in un momento di particolari difficoltà per gli storici che vogliano affrontare questa o altre questioni senza partire da posizioni preconcette. Bernard Lewis, per esempio, è stato condannato per «negazionismo» (e sia pure alla pena simbolica di un franco), perché nel 1985 aveva messo in dubbio, in una lettera al Congresso degli Stati Uniti, fermata da altri sessantotto docenti, l’esistenza di prove sul «genocidio armeno». La più recente opera complessiva su questo argomento, Il secolo dei genocidi di Bernard Bruneteau (Il Mulino, pagg. 291, euro 22), offre un quadro esauriente anche delle polemiche che la loro trattazione ha provocato. C’è chi sostiene che il solo genocidio è stato quello degli ebrei; c’è invece chi ne ricorda diversi altri. Bruneteau, come mostra anche il titolo dell’opera, condivide quest’ultima tesi e studia perciò, oltre all’Olocausto, quelli armeno e cambogiano, «le politiche genocidarie nella Russia sovietica», e gli «etnismi genocidari del dopo guerra fredda», facendo una distinzione tra «gli Stati che commettono atti a carattere genocidario, come l’Unione Sovietica degli anni 1930-1940 e i veri e propri Stati genocidari, per i quali la possibilità del genocidio è iscritta nei loro obiettivi manifesti e nella loro gestione del contesto». Secondo questa definizione Stati genocidari sono stati la Germania nazista e la Cambogia di Pol Pot. Niente da dire sul Terzo Reich e nemmeno sulla Cambogia. A proposito di Pol Pot e di altri dirigenti comunisti cambogiani Bruneteau ricorda che essi si avvicinarono alla rivoluzione quando erano studenti in Francia, attraverso un Partito Comunista Francese profondamente staliniano. Ma anche, bisogna aggiungere, attraverso una tradizione celebrativa del robespierrismo e del Terrore del 1793, che sarebbe stato opportuno ricordare anche a proposito di Lenin e di Stalin, perché nella storiografia della sinistra francese la giustificazione storica del Terrore attuato da Robespierre costituì negli anni Trenta e anche in seguito l’indispensabile premessa di quella del Terrore bolscevico. Come «atto genocidario» dell’Unione Sovietica Bruneteau ricorda soprattutto la «carestia-genocidio» del 1932-1933 in Ucraina. Ma lo stesso Bruneteau riconosce che per gli ucraini «questo evento traumatico è diventato la posta in gioco nel contenzioso in corso con la Russia: permette al tempo stesso di colpevolizzare Mosca e di legittimare la richiesta di Kiev di entrare a far parte dell’Unione Europea e della Nato». Cosa che dovrebbe invitare alla massima prudenza gli storici che si occupano dell’argomento: nessun dubbio sulla gravità della carestia, dovuta alla collettivizzazione decisa da Stalin, e nemmeno sul fatto che i kulaki erano considerati una classe da eliminare e i nazionalisti dei nemici da sterminare. Ma è lecito nutrire qualche dubbio sulla volontà del governo sovietico di aggravare deliberatamente la carestia in Ucraina per favorirne la russificazione. Era pur sempre una repubblica dell’Urss e quell’aggravamento rese più critica la situazione nell’intero paese. Non dimentichiamo che anche la terribile carestia irlandese del 1846, che spinse milioni di contadini a emigrare negli Stati Uniti, è stata addebitata alla volontà del governo inglese di colpire il nazionalismo irlandese. Ma è difficile accusare di genocidio la Gran Bretagna dell’Ottocento. Bruneteau non appartiene a nessuno dei due contrapposti schieramenti storiografici che attribuiscono tutti i mali del mondo al capitalismo (e all’imperialismo) o al comunismo. Egli rileva la strumentalizzazione della religione islamica compiuta dal governo turco nel massacro degli armeni ma anche la funzione dell’ideologia classista in quelli perpetrati durante la rivoluzione russa. Ricorda le stragi del colonialismo, ma anche quelle degli hutu contro i tutsi in Ruanda, provocate dall’odio etnico. A conclusione di un’opera spesso problematica emette un giudizio privo di sfumature: «Alla luce degli attuali eventi perversi della globalizzazione e della democratizzazione sulle minoranze del pianeta, la tentazione genocidaria rischia di avere innanzi a sé un bel XXI secolo».
D’accordo sulle preoccupazioni per il XXI secolo, ma perché attribuirle alla globalizzazione e alla democratizzazione (sia pure delle «minoranze»), dopo avere invece dimostrato che i massacri del XX secolo sono stati dovuti ai totalitarismi e ai nazionalismi? L’odio dei khmer rossi cambogiani ha parecchi punti di contatto ideologici con quello che alcuni decisi avversari della globalizzazione (come i celebratori dei «popoli indigeni» o delle etniecontadine) nutrono contro l’Occidente urbanizzato. La violenza delle minoranze può essere altrettanto letale di quella delle maggioranze.

V.V

 
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