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06 01 31 - LA CAPITALE DELL’AZERBAIGIAN, SUL MAR CASPIO, CHE LA LEGGENDA VUOLE FONDATA DA ALESSANDRO MAGNO
A Baku, dove tutto è oro, anche i denti
di Giorgio Ricatto da LaStampa del 27.1.06
La strada che dall’aeroporto mi conduce nella capitale dell’Azerbaigian è
illuminata al neon da distributori di benzina e il ricordo vola rapido alle
atmosfere ambigue dei quadri di Edward Hopper. Superata poi una periferia buia,
il taxista con un sorriso d’oro, agli azeri piace mostrare una dentatura da
gioielliere, mi annuncia l’arrivo a Baku, città del petrolio e porto sul Mar
Caspio che la leggenda vuole fondata da Alessandro Magno. Strade pulite e
cortesia colpiscono ad una prima occhiata, squadre di giardinieri curano il
verde pubblico, ma hanno l’aspetto di contadini poveri alle prese con il
proprio orto. Il vasto giardino che costeggia il Mar Caspio ombreggia caffè a
terrazza, ristoranti e giochi per bambini. E’ il paradiso degli innamorati,
abbracciati sulle panchine e nascosti da angoli ombrosi mentre i gatti
scorrazzano sotto ai tavoli dei caffè. Un’oasi di fresco e di «dolce far
niente» in versione caucasica.

Birra e vodka accompagnano gli spiedini profumati dalla menta fresca, qui
l’Islam sciita non conosce fanatismi e le ragazze mostrano gambe e schiene
bianche e brune. Sotto i pini e gli olivi le famiglie sostano in attesa delle
carrozzelle che percorrono il parco nel pomeriggio inoltrato, tra loro una
giovane islamica con il capo coperto parla animatamente ad una coetanea in
minigonna. Non lontano il suono di un’orchestra di trombe e tamburi accompagna
una coppia di sposi in posa per la fotografia-ricordo, domina sullo sfondo il
Mar Caspio.

Fiancheggiano il parco le colonne greche del Museo dei Tappeti e la città dei
potenti del petrolio di fine Ottocento e primo Novecento. Una stagione di
ricchezza e sviluppo con palazzi e bizzarrie «Art Nouveau», dal neo-gotico al
moresco. Gusto eclettico nell’architettura e un panorama di pezzi rari del
Museo Nazionale dei Tappeti in cui non mancano le opere degli azeri iraniani ed
i «kilim», quel tessuto che da tempi lontanissimi accompagna la vita delle
donne nomadi, custodi e sapienti artigiane della tradizione.

La città si stringe alle mura che circondano il nucleo antico. Da una parte
spazi smisurati come la monumentale piazza del Governo, limitata ai lati da due
hotel d’epoca sovietica, o la piazza delle Fontane, molti caffè ed una chiesa
armena in abbandono. Semi-murata e adibita a magazzino è una testimonianza
della sanguinosa guerra che ha diviso azeri e armeni a causa dell’enclave e
provincia autonoma del Nagorno-Karabakh abitata in maggioranza da armeni, è un
simbolo della rivendicazione segnata da profughi, coprifuoco e scontri violenti
anche a Baku. I monumenti dedicati ai poeti ed il palazzo della Letteratura
ornato dalle statue dei letterati sono all’insegna della grandiosità, ma oltre
la «porta dei Leoni» o Porta di Samaxi contrastano gli stretti vicoli del cuore
medievale che conducono alle moschee, ai minareti, caravanserragli e al
complesso del Palazzo Reale, autentica città nella città.

Il Palazzo che si staglia nella zona più antica, circondato da un insieme di
edifici in prevalenza quattrocenteschi collegati tra loro da scalinate e arcate
d’epoca, è chiuso da mura difensive del XIX secolo. Il percorso nella città dei
khan di Shirwan, costruita per volere di Khalil Ullah I, si snoda verso la
Corte delle Assemblee in cui si ammirano decorazioni a grappolo d’uva,
incisioni calligrafiche e una cupola poligonale. Prosegue poi, superando una
ripida scala, verso il Mausoleo del derviscio, mistico e filosofo di corte e
conduce ai resti della moschea e di una cisterna. Nel cortile sono esposte le
Pietre di Bayil provenienti da un’isola della baia oggi sommersa; mostrano
iscrizioni arabe e figure incise appartenute ad un palazzo del XIII secolo. Più
in basso si raggiungono la Moschea Reale, il Mausoleo degli Shirwan e il
Palazzo di Hammam; il restauro è opera di una società italiana.

All’uscita girovagando nel dedalo medievale si scoprono botteghe artigiane,
mercati di tappeti, angoli lasciati nell’incuria e nel silenzio e qualche
costruzione d’epoca posteriore di rara bruttezza. Possiede una grazia che non
intacca l’armonia del luogo la casa ornata da una coppia di gatti affacciati
alla finestra. Tuttavia è la Torre della Vergine che detiene il ruolo di
protagonista scenica, vero simbolo cittadino e monumento di non chiara epoca e
origine. Forse osservatorio astronomico, torre di difesa, o «torre del
silenzio» in cui i devoti di Zarathustra lasciavano agli avvoltoi i loro morti.
Torri usate come piattaforme per non contaminare gli elementi della natura con
i cadaveri. Confermerebbero questo uso gli ossari all’interno. Nella terra in
cui il fuoco provocato dal gas naturale che sprigiona spontaneo dal terreno è
un elemento del paesaggio, anche se oggi quasi estinto a causa delle
trivellazioni, sotto la cenere brucia ancora il fuoco simbolico dello
zoroastrismo. Per i fedeli di Zoroastro, eredi delle comunità che adoravano il
fuoco, il sole, l’aria, l’acqua e la terra e che si recano al Tempio del Fuoco
di Suraxani costruito nel XVIII secolo su un antico luogo di culto (non lontano
da Baku), il fuoco, oggi alimentato artificialmente, testimonia una fede
sopravvissuta all’Islam. La Torre della Vergine si circonda di leggende e di
tappeti. La leggenda è quella di una giovane suicidatasi, gettandosi dalla
torre per amore, i tappeti sono tutt’intorno nella piazza del mercato. Oggetti,
tessuti e tappeti sono esposti come nell’antichità; ai lati della piazza
l’architettura inconfondibile di un bagno seicentesco e una piazzetta alberata
in cui sorseggiare un tè sdraiati su comodi divani.

Ritornando sul lungomare stupisce vedere i pescatori che gettano gli ami in
un’acqua inquinata e priva di pesci in cui galleggiano vaste macchie di
petrolio. In lontananza si scorgono tralicci e trivelle, particolari di un
territorio segnato da gasdotti e oleodotti. Presso la baia di Baku e altrove
nella penisola di Abseron dominano impianti semiabbandonati come a Bibiheybat o
funzionanti come a Sumqayit. Curiosamente, nonostante i giacimenti, non mancano
insediamenti balneari all’insegna del divertimento e onde da surf. Ad occhi
chiusi si può sognare l’acqua smeraldo di mari lontani. Un’impresa che sembra
non troppo difficile ai vacanzieri di fine settimana.

Tra pozze nere e acque inquinate il nucleo della città vecchia sembra quasi
appartenere ad un’altra storia e un’altra era. Un contrasto morbido però: qui
come in Turchia Oriente e Occidente convivono e si confrontano. E’ proprio la
Turchia il modello da seguire e il Paese più affine per lo Stato caucasico sul
Mar Caspio. Un fiume di scambi commerciali, di abitudini e vincoli culturali li
unisce. E’ come se Istanbul fosse dietro l’angolo; i giovani che in gruppi
animati parlano e bevono bibite ascoltando musiche orientali vagamente rock,
sono gli stessi a Baku e Istanbul, presso il Mar Caspio o sul Bosforo.

COME ARRIVARCI
Con Lufthansa il volo per Baku dura 5 ore e un quarto via Francoforte, oppure
con Turkish Airlines c’è un volo di 6 ore via Istanbul.

GLI AZERI
Appartenente alla famiglia delle lingue turche l’azero è parlato con elementi
persiani anche dagli azeri iraniani. La scrittura in caratteri arabi, poi in
caratteri latini, passò ai caratteri cirillici come vollero i russi. Oggi la
scrittura ufficiale è in alfabeto latino, ma è ancora in uso il cirillico. In
maggioranza musulmani sciiti, gli azeri conservano alcuni elementi preislamici
come il culto del fuoco e delle pietre nere.

CUCINA
Kebab, verdure ripiene di carne tritata «dolma», riso e montone profumato alle
spezie «plov», shashlyk di agnello, dolci di nocciole, miele e canditi. Tutti
sapori che ricordano la Turchia. Vi sono cene accompagnate da danze del ventre
o folcloristiche.






V.V

 
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