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06 02 13 - ANTONIA ARSLAN: gelsomini di fuoco a trebisonda
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da AVVENIRE 13/2/06 Editoriale
Marchiata a fuoco è la memoria dei cristiani di Trebisonda. Nella grande città
sul Mar Nero, là dove cent'anni fa greci e armeni vivevano in pace,
affaccendati e numerosi, oggi in una piccola chiesa, l'unica rimasta,
frequentata soltanto da una trentina di fedeli, viene ucciso un prete: e molti
in Occidente si chiedono, nei giornali e sulle gazzette televisive, che ci
stava a fare un prete laggiù. E si rispondono che non voleva fare proselitismo,
ma solo aprire una finestra di dialogo con la maggioranza musulmana, perché Dio
è grande, e non ha confini. Ma Trebisonda è una città di fantasmi, dove due
genocidi si incrociano, quello degli armeni e quello dei greci del Ponto; è il
luogo dove, con la radicalità di un colpo di spada, scomparvero come in un
gorgo malefico queste due antichissime comunità. Tutti, là, sanno: ma le
memorie sono bisbigliate solo all'interno delle famiglie, dalle vecchie nonne
che conservano le tradizioni e i ricordi, mentre un attentissimo occhiuto
silenzio si osserva all'esterno. I greci, gli armeni, chi erano? I loro
quartieri, dov'erano? «Chiedo scusa a voi, signore e signori - supplica in una
notte di Capodanno, in America, Levon Surmelian, il bambino armeno di
Trebisonda sopravvissuto a un'intera famiglia scomparsa, rabbrividendo nel gelo
di una festività solitaria - stasera è l'ultima notte dell'anno e le immagini
di quel Paese magico che era il mio mondo si affollano nella mia mente e mi
costringono ad ubriacarmi. Tanto tempo fa vi era una città costruita su una
collina rocciosa a picco sul mare, e sul suo scuro volto sereno un antico
monastero bizantino sembrava ascendere al trono di Dio come una bianca
scalinata. Le donne danzavano in cerchio, al suono dei tamburi e delle
zampogne, e un menestrello cieco con un violino lamentoso cantava vecchie e
sagge canzoni armene…». E Thea Halo, in Not even my name, pubblica la storia
della nonna, una greca del Ponto che con l'intera famiglia perdette anche il
nome, peregrinando attraverso le deportazioni, la fame, la miseria, e
incrociando le mille altre miserie e destini di un Paese svuotato, un Paese di
fantasmi. «Gelsomini di fuoco», dice il poeta, nascevano a Trebisonda
dall'odore delle case e dei giardini in fiamme, e gli spiriti spezzati,
perduti, di tutte queste creature scomparse oggi affollano misericordiosi la
chiesetta del martirio di don Santoro, e lo circondano con i fiori immateriali
nati da quelle fiamme, lo accolgono nella freschezza della rinascita. Dopo la
prima morte non ne esiste un'altra.
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Barbarie o civiltà
V.V
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