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06 02 16 - LA TURCHIA, L'ISLAM, I CRISTIANI: PARLA LO STORICO RICCARDI
«ATTRATTO DAL DESERTO, COME DE FOUCAULD»
da Famiglia Cristiana 16/2/06

«Nel Levante ormai esistono solo resti e reliquie del cattolicesimo, ma don Andrea ne sentiva la chiamata».
«In don Andrea c’è stata la chiamata e l’attrazione di un deserto. Un deserto non geografico, ma un deserto di cristiani, popolato però di uomini musulmani che lui amava. Sente la stessa attrazione misteriosa di Charles de Foucauld per il Sahara e le sue antiche memorie, per un deserto di vita cristiano. Entrambi volevano che questo deserto religioso fiorisse, ma non nel senso del proselitismo, nel senso di una vita di preghiera e di amore».

Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, conosce a fondo il presente e il passato delle comunità cristiane nel Levante.
«Le vicende di quel Paese nel Novecento sono molto significative, poiché la Turchia, da terra di convivenza tra una maggioranza musulmana e le minoranze cristiane ed ebraiche, si trasforma in una terra che è diventata esclusivamente turco-musulmana. Ai tempi del sultano le minoranze religiose, i cosiddetti millet, vivevano in un clima di rispetto e di tolleranza. Poi, dopo la rivoluzione dei "giovani turchi", si arriva alla loro distruzione sistematica,
fino a quello che i cristiani armeni chiamano Metz Yeghern, il Grande Male, il genocidio, che è anche strage di altri cristiani: i siriaci, i caldei (quelli
che oggi soffrono in Irak), gli assiri... Attualmente, in tutta la Turchia ci sono solo reliquie, dei resti, dei fantasmi del cristianesimo. Un deserto di cristiani che ha attratto don Andrea».

Come si arriva al genocidio armeno?
«Attraverso un movente nazionalista. Bisognava evitare che accadesse ciò che è accaduto nei Balcani, dove restavano sacche di altri popoli cristiani.
Ma al contadino turco dell’omogeneità etnica e del nazionalismo importava poco.
Per infiammarlo bisognava brandire la religione, il Jihad. E così nasce il grande dramma. I nazionalisti, in gran parte atei e massoni, strumentalizzando
l’Islam compiono la grande pulizia etnica. Ci troviamo anche di fronte a musulmani che resistono a questo e rifiutano di perseguitare i fratelli
cristiani. Purtroppo questi fatti non sono ancora stati affrontati dai turchi e dalla loro storiografia. Così come ancora non esiste uno statuto della Chiesa cattolica».

Oggi qual è il grado di tolleranza?
«La Turchia non è l’Afghanistan dei talebani. Questo Paese è, insieme con il Libano, l’unico Stato musulmano veramente democratico del Mediterraneo, con una stampa libera, una cultura aperta, una società civile piuttosto forte. Ma la Turchia ha molte facce, se entriamo nella complessità di questo Paese, allora il clima cambia, scopriamo che c’è un entroterra, un mondo delle campagne, intollerante. C’è il fondamentalismo del Governo di Erdogan e il fondamentalismo estremista dei lupi grigi, nel cui torbido ambiente di Istanbul, non dimentichiamolo, è maturato l’attentato a Giovanni Paolo II».

Ma c’è la possibilità che anche nell’entroterra, come nei luoghi dove svolgeva il suo apostolato don Santoro, il clima si alleggerisca?
«La speranza è proprio questa. La situazione delle comunità religiose non islamiche in Turchia è stata un groviglio, ma è un groviglio lontano nel tempo,
che oggi va affrontato in termini molto più sereni. L’auspicio è anche che con l’entrata della Turchia in Europa la pressione si alleggerisca».

V.V

 
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