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06 02 16 - ĞLa Turchia chieda scusa per il genocidio armenoğ
- di Marina Gersony - da IlGiornale 15-2-06

«Se la Turchia vuole far parte dell'Unione Europea deve abbandonare la sua versione ufficiale dello storia. Deve abrogare leggi e norme che impediscono al
cittadino di esprimersi liberamente sul genocidio armeno del 1915, anche se le sue opinioni divergono da quelle ufficiali, senza per questo subire un'accusa
di tradimento o di finire in galera».
Parole di Taner Akçam, lo storico nato nella regione di Kars-Ardahan, considerato scomodo dalle autorità turche per aver scritto nel 1976 una serie di articoli sull'esistenza dei curdi e la lotta di classe in Turchia, argomenti tabù che gli costarono un arresto e una condanna a dieci anni di reclusione. Un anno dopo riuscì a fuggire e rifugiarsi in Germania e oggi insegna negli Stati Uniti, alla University of Minnesota. Da allora è rimasto un
intellettuale sgradito in patria, nonostante nel 1991 le norme che hanno portato al suo arresto siano state rimosse dal codice e possa, dal 1993, tornare quando vuole. «Amo il mio Paese e sono felice di andarci ad ogni occasione», dice.
La “colpa” maggiore Taner Akçam è stata comunque di aver ammesso apertamente per primo il genocidio armeno pianificato dai Giovani Turchi. Nel 2000 fu lui a lanciare un nuovo approccio alla ermeni sorunu (la «questione armena»): in un libro difendeva la legittimità di parlare del genocidio e adottare una
prospettiva critica nei confronti identità nazionale turca. La reazione della stampa e degli schieramenti
politici fu tiepida per non dire ostile, il libro vendette sì e no un migliaio di copie, ma spinse altri intellettuali a scendere in piazza: uno fra tutti l'ormai noto Orhan Pamuk, romanziere
che ha sfiorato il Nobel (per il mancato premio si è perfino parlato di complotto) e rischiato grosso per aver denunciato anche lui il genocidio dimenticato, il Medz Yeghern, ovvero «Il Grande Male»: incriminato per «vilipendio alla nazione», il processo è stato di recente annullato, un segnale che ha suscitato l'approvazione della comunità internazionale.
Nazionalismo turco e genocidio armeno. Dall'Impero ottomano alla Repubblica (Guerini e Associati, pagg. 284, euro 24) è il libro di Taner Akçam uscito in
questi giorni in Italia, un saggio che è soprattutto una riflessione sulla Turchia di oggi, un Paese pericolosamente contraddittorio che non riesce a far
pace con il proprio passato e di cui fra dieci anni è prevista l'entrata in Europa. È la Turchia dove in alcune zone si possono vedere più ombelichi nudi
che a Riccione e dove al tempo stesso l'analfabetismo femminile dilaga:
arretratezza e modernismo, Islam e laicismo, censura e violazione dei diritti civili. Una, cento, mille Turchie, dove l'informazione, la cultura e la propria
storia sono costante oggetto di polemiche e discussioni: dal caso già citato di Pamuk a quello recentissimo che vede due giuristi sotto processo per aver proposto leggi più vicine all'Europa (il costituzionalista Ibrahim Kaboglu e il docente di Scienze politiche Baskin Oran); non ultimi i cinque giornalisti, comparsi il sette febbraio scorso davanti al giudice per aver violato un articolo del codice penale che sanziona come reato l'insulto a qualunque organo di Stato.
«Il negazionismo di Ankara è dovuto a due ragioni - spiega Akçam a Il Giornale
-.

Una è psicologica. I turchi vedono negli armeni un simbolo e il ricordo di una delle pagine più traumatiche della loro storia: il collasso dell'Impero
Ottomano e la perdita dell'85% del territorio imperiale nell'arco di una quarantina d'anni. Durante l'ultimo secolo dell'Impero i turchi vivevano sotto
la paura costante di scomparire dalla scena storica, di essere messi da parte dalle potenze europee e gli altri gruppi etnici in Anatolia. È ovvio che si
eviti di parlare di quel periodo. Inoltre non è una coincidenza che alcuni membri del partito politico che ha organizzato il genocidio siano diventati i
riveriti fondatori della Repubblica. Ammettere oggi la possibilità che tra quei padri fondatori ci fossero assassini e ladri equivale a mettere in
questione i fondamenti dell'identità stessa della nazione turca». Ma per lo storico c'è un altro motivo, materiale, che ha determinato l'atteggiamento
turco. «Se la Turchia avesse riconosciuto il genocidio avrebbe dovuto pagare un indennizzo in forma di terre e di denaro, anche se - sottolinea - non c'è nessuna questione territoriale tra Armenia e Turchia». Parole durissime che l'intellettuale rivolge soprattutto a un'élite «burocratico-militare
ottomana» che permane nel passaggio dall'Impero alla Repubblica e che rifiuta di guardarsi allo specchio e sciogliere quei nodi irrisolti che ostacolano il
cammino politico verso una democrazia. Anche se il riconoscimento del genocidio armeno è in realtà una vicenda molto più complessa: «Nonostante a partire dal
1987 il Parlamento europeo abbia approvato una serie di sei risoluzioni che richiedono il riconoscimento del genocidio come precondizione per l'ingresso
della Turchia nella Ue - avverte lo studioso - queste risoluzioni non hanno tuttavia un potere effettivo».
Come dire, l'Europa non ha mai realmente sviluppato una dottrina legale che richieda il riconoscimento degli errori passati come condizione dell'ingresso
di un nuovo membro nella Comunità.
«La Turchia deve chiedere scusa e riconoscere il genocidio - sintetizza lo storico -. Certo, il conflitto tra coloro che vogliono che la Turchia si
organizzi su più solidi principi democratici e coloro che vogliono che il Paese rimanga una società chiusa è evidente. La migliore arma di coloro che avversano
l'ingresso in Europa è la magistratura turca alla quale si rivolgeranno con degli esposti contro coloro che osano parlare apertamente della storia turca».
La questione è insomma aperta. Per Akçam il 2015 sarà una data simbolica molto importante: «È il centenario del genocidio degli armeni - conclude - e la data ufficiale in cui è previsto l'ingresso della Turchia nell'Unione Europea. Si potrà far coincidere le due date in una. In quel giorno la Turchia potrà dichiarare apertamente che ciò che accadde nella storia è stato un genocidio.
E dopo diventare membro di un'Europa democratica».
m.gersony@tin.it

V.V

 
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