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06 04 01' Azerbaijan, Armenia e Nagorno Garabagh
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Armenia - Nagorno Karabakh - 01.8.2005
Giardino nero di montagna Nel Nagorno Karabakh, un conflitto congelato da una fragile tregua
Scritto per noi da
Margherita Belgiojoso

Agdam (Nagorno Karabakh) - Irina, 68 anni, sei figli di cui due invalidi di guerra, vive con il marito sotto un albero di gelso alla periferia delle rovine di Agdam. Abita qui da quattro anni senza luce, acqua, né telefono, con un asino e dei polli. E con una pensione di quattro euro al mese. “Con queste bacche rosse facciamo la vodka più buona del Karabakh. Rimango qui perché qui almeno ho un lavoro” dice con una faccia che non si capisce se rida o pianga. Il ‘lavoro’ consiste nel vendere ai rari passanti il suo latte, le sue uova e il suo matsoni, lo yogurt armeno.
A pochi isolati di distanza un vecchietto sorseggia il tè seduto fuori da una rovina adattata a rifugio.

I rifugiati di Agdam. Qui ad Agdam, in Nagorno Karabakh, centinaia di profughi di guerra vivono così.
“I rifugiati dell’Azerbaigian ricevono migliaia di dollari di aiuto ogni mese” si sente ripetere da ogni angolo “e noi neppure un soldo”.
Lazar, 65 anni, il suo nome tatuato sulle nocche della mano, pastore di quattro mucche, è stato più fortunato. La sua casa è stata bombardata, ma l’ha ricostruita grazie all’aiuto delle ong accorse subito dopo la guerra. Era stato ferito alla caviglia e quindi oggi riceve una pensione di guerra più che dignitosa: 10 dollari al mese. Racconta dell’agosto ’92, quando le bombe sono cominciate a piovere sul suo villaggio, Askeran, che in tempi sovietici si chiamava ‘Cinque-anni-in-quattro’, lo slogan della propaganda per chiudere il piano quinquennale in quattro anni. Parla con nostalgia di quando c’era l’Urss, “Poi è arrivato quell’idiota di Gorbachev e guardate che cosa ha causato”, indica la vallata dove sono visibili solo le rovine informi di Agdam, “Da un giorno all’altro la gente è ammattita: gli azeri si sono messi a sparare sui karabaki e i karabaki sugli azeri. È lui il responsabile di tutto ciò”.

Una città fantasma. Agdam è una città fantasma. Il silenzio che vi regna è rotto solo dal cinguettio degli uccelli.
Dall’alto dei minareti della moschea sopravvissuta alla guerra si vedono soltanto rovine. In tutta la città è rimasto in piedi solo un pugno di edifici.
Non c’è un autobus, né una macchina. Solo qualche furgoncino di disperati che vengono qui a raccogliere, con aria colpevole, mattoni da usare per ricostruire le proprie case nella capitale Stepanakert. Solo loro riconoscono la città, ridotta a un labirinto di vie tutte identiche, sommerse di erbacce, arbusti e rampicanti dai fiori gialli.
L’accesso ad Agdam è vietato. Ma per le sue vie silenziose si incontrano anime perse che vivono di nascosto tra le rovine e viaggiatori che oziano in una piazzola aspettando un passaggio per continuare verso nord, verso i villaggi della regione di Manakert.
Qui è vietato anche scattare fotografie. Ufficialmente per ragioni militari, per evitare che gli azeri, dall’altra parte del fronte, individuino obiettivi strategici. In realtà, perché Agdam è la spaventosa testimonianza della distruzione portata dal più sanguinoso dei conflitti nati dal collasso dell’Unione Sovietica. Una guerra durata tre anni, che ha fatto 20 mila morti, un milione di profughi, e ha distrutto le economie dei due paesi.


Lo Stato che non c’è. Il Nagorno Karabakh era un’enclave a maggioranza armena, cristiana, che Stalin decise di accorpare all’Azerbaigian musulmano con l’intento di governare meglio le popolazioni, spezzandone l’identità etnica. Con la fine dell’Unione Sovietica, la regione autonoma del Karabakh decise di riunirsi alla vicina repubblica dell’Armenia: esplosero scontri tra la popolazione e presto scoppiò il conflitto per il controllo di questa regione montagnosa dalla natura selvaggia. Oggi, a dieci anni di distanza, non si è ancora arrivati a una vera pace, soltanto a un cessate il fuoco infranto varie volte negli ultimi mesi, con almeno nove morti tra le due parti.
Dalla guerra tra Armenia e Azerbaigian è nato un terzo Stato, il Nagorno Karabakh. Uno Stato riconosciuto soltanto da se stesso, assente dalle cartine geografiche del mondo ma ben chiaro nella testa dei suoi abitanti, con una propria capitale, una costituzione, una bandiera, un visto per i pochi visitatori stranieri. Una realtà che dura da quindici anni e che oggi non è più trascurabile dalla comunità internazionale.
“Lo stato del Nagorno Karabakh non è riconosciuto” dice il vice Ministro degli Esteri Masis Mayilian, “per ora” aggiunge dopo un istante. L’ufficiale riconoscimento del Nagorno Karabakh apre infatti una spinosa questione di diritto internazionale, perché si teme che provochi un effetto domino inarrestabile, con l’ammissione de facto del diritto di ogni regione di distaccarsi dalla propria repubblica madre e una raffica di richieste di indipendenza da regioni come il Kosovo, l’Abkhazia o l’Ossezia Meridionale.
Le maggiori vittime dell’indugio della comunità internazionale, e del pasticcio di leggi internazionali e riconoscimenti ufficiali, sono i 25 mila rifugiati che popolano le rovine di Agdam e le periferie della capitale Stepanakert. Mentre la comunità internazionale temporeggia, i profughi del Nagorno Karabakh vivono senza case né aiuti perché sono profughi di un paese che non esiste. Per questo la comunità internazionale non può riconoscerne lo status di rifugiati e non può quindi garantire loro l’accesso ai finanziamenti delle organizzazioni internazionali. (Segue seconda parte)


Armenia - Nagorno Karabakh - 05.8.2005
Giardino nero di montagna (2)
Seconda parte del reportage dal Nagorno Karabakh, un conflitto congelato da 10 anni

Scritto per noi daMargherita Belgiojoso

Stepanakert (Nagorno Karabakh) - (Segue dalla prima parte) I mattoni, le piastrelle e i cavi elettrici rubati dalle rovine di Agdam sono serviti a ricostruire la ‘capitale’ del Nagorno Karabakh, Stepanakert. Qui i segni della guerra non si vedono più: le strade sono state riparate e la vita scorre come se niente fosse mai accaduto. Almeno a prima vista.
Un tempo Stepanakert era un città mutietnica, abitata da armeni e azeri. Oggi di azeri ne sono rimasti molto pochi, praticamente solo quelli che non hanno i soldi che gli permetterebbero di andarsene via.

Economia di guerra. In città l’acqua a singhiozzo scorre per due ore a giorni alterni. Le fabbriche di tè e di tappeti, fiorenti nel periodo sovietico, sono oggi chiuse e fatiscenti. Le uniche attività economiche visibili sono quella dei tassisti che fanno avanti e indietro sulla strada di sei ore per Erevan e quella delle bancarelle che vendono vestiti ‘made in China’, le verdure degli orti e gli inimitabili zhengelevhats, l’orgoglio gastronomico nazionale: piadine calde imbottite di erbette verdi di diciassette tipi diversi, raccolte sulle montagne del Karabakh.
Per pagare gli stipendi dei dipendenti della pubblica amministrazione, delle università e degli ospedali, il governo si affida agli ingenti aiuti che provengono dalla diaspora armena, ramificata in tutto il mondo, dal sostegno economico ‘sotto banco’ del governo dell’Armenia, e dall’ingente assegno che il congresso americano assicura ogni anno a Stepanakert. Un sostegno difficile da giustificare per gli Stati Uniti, che da una parte accusano Erevan di occupare il Nagorno Karabakh, e per questa ragione l’hanno esclusa dal tragitto dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, appena inaugurato, e dall’altra sostengono direttamente lo Stato reietto per un totale di 35 milioni di dollari in cinque anni. Una somma di cruciale importanza per uno Stato povero e che conta solo 180 mila abitanti.
Ma sostanzialmente l’economia gira ancora attorno alla guerra.
“E’ l’esercito senza dubbio la più grande fonte di entrate per la popolazione: 200 dollari, lo stipendio mensile di un ufficiale, è un’ottima paga per Stepanakert”, spiega Albert Voskanyan, armeno di Baku ma originario del Karabakh, direttore di una ong locale.
Né i giovani sembrano voler andare a cercare fortuna altrove. I sondaggi d’opinione condotti dal quotidiano Delo indicano che almeno 70 per cento della gioventù è convinta di rimanere a Stepanakert e cerca lavoro qui.

A messa in un teatro. “Stepanakert ai tempi dell’Unione Sovietica si vantava di essere una città di soli atei: neppure una chiesa è mai stata costruita. Una moschea esisteva, ma giaceva inutilizzata.” dice Albert Voskanyan, “Oggi abbiamo una chiesa dove possono pregare le nostri madri e i nostri figli” e indica la facciata neoclassica di un teatro. Il nuovo governo, nell’attesa che arrivino i soldi per costruire una vera chiesa, ha concesso agli abitanti di Stepanakert di adibire una stanza dell’ex teatro a luogo di culto. Sembra di essere nell’aula di una scuola, mentre il sacerdote leva la croce al cielo dando le spalle alla stanza gremita di fedeli inginocchiati con la testa velata. Nessuna icona, nessuna decorazione, solo il fumo intenso che sale dalle centinaia di candele accese. Stepanakert è una città recente, fondata nel 1917, e diventata capoluogo per volontà di Mosca. Ha 40 mila abitanti che si conoscono tutti e si salutano per strada, come il ministro degli Esteri, amico del proprietario di un piccolo alimentari nel centro. Sorta nel mezzo del nulla, a sei ore di curve da Erevan, alla fine di una strada lunghissima a due corsie che si percorre senza incontrare una casa o un campo coltivato. Una strada nuova di zecca, costruita con i soldi della diaspora armena, che i tassisti descrivono come la migliore del Caucaso. In epoca sovietica al suo posto c’era solo una mulattiera, e per raggiungere Baku o Erevan si era obbligati a giri lunghissimi.

Un pezzo di Armenia. Il ‘giardino nero montagnoso’, questo il significato letterale del nome Nagorno Karabakh, è collegato all’Armenia dal ‘corridoio di Lachin’, territorio azero oggi inglobato da Stepanakert.
Il Karabakh ha con l’Armenia un rapporto complesso, viscerale, eppure i karabaki si farebbero uccidere per la propria indipendenza. “Non daremo indietro la nostra terra per nulla al mondo” dice Anahit Marukhyan, la giovane direttrice dell’organizzazione karabaka erede del Komsomol sovietico. Gli armeni di Erevan parlano di Stepanakert come di una loro provincia, e assicurano che le radici di tutte le famiglie armene provengono da quelle terre. Ma a Stepanakert i karabaki si sentono karabaki, non armeni, né, tanto meno, azeri. Correggono chi chiama il Karabakh ‘Armenia’. Negano un legame politico e economico con l’Armenia, anche se i fatti lo confermano. Un funzionario del ministero degli Esteri smentisce che l’Armenia abbia mai contribuito alla guerra, sostiene che abbia soltanto offerto “sostegno umanitario”, mentre non è un segreto per nessuno che l’Armenia aveva qui i suoi carri armati e la sua artiglieria.
“L’esercito armeno e quello karabako sono effettivamente la stessa cosa” ammette un ragazzo che indossa ancora la divisa militare e sta tornando a casa, a Erevan, dopo avere terminato il servizio militare di due anni a Stepanakert.
Il ministro degli Esteri karabako risiede a Erevan mentre sul seggio della presidenza armena c’è oggi l’ex presidente del Nagorno Karabakh, Robert Kocharyan.Una complessa relazione che è evidente anche nella politica interna armena.
“La questione del Nagorno Karabakh è il parametro del successo politico in Armenia” sostiene Styopa Sefaryan, direttore del Centro Studi Nazionali e Internazionali di Erevan. “E viene strumentalizzata sia dalle élites armene Per risolvere la contraddittorietà di questo rapporto a Stepanakert indicano la bandiera appesa alla modesta facciata della Casa Bianca: le tre strisce dell’emblema armeno, rosso, blu e arancione, e un triangolo, distaccato, rivolto in direzione del corpo centrale. “È la metafora del Karabakh, indipendente, ma che tende verso la madre Armenia”.

Azerbaigian - 25.5.2005
Un tubo pericoloso
Inaugurato oggi a Baku il più lungo, strategico e discusso oleodotto del mondo


Dopo undici anni di lavori, oggi a Baku, capitale dell’Azerbaijan sulla riva del Mar Caspio, viene ufficialmente inaugurato il più lungo, strategico e discusso oleodotto del mondo: il cosiddetto Baku-Tbilisi-Cheyan (Btc). Un progetto da quattro miliardi di dollari fortemente voluto dagli Stati Uniti, desiderosi di sfruttare il ricchissimo bacino petrolifero del Caspio così da rendere la propria economia meno dipendente dal greggio mediorientale, sempre più costoso in termini economici, politici e militari. Un progetto che ha suscitato e continua a suscitare forti critiche per il suo negativo impatto sociale e politico su questa delicatissima regione. Senza citare gli enormi rischi per l’ambiente in caso di incidenti.

L’oleodotto più lungo del mondo. Oggi al terminal di Sangachal, quaranta chilometri a sud di Baku, alla presenza dei capi di Stato di Azerbaigian, Georgia, Turchia e Kazakistan e del Segretario Usa all'Energia Samuel Bodman, inizia il pompaggio del greggio nella conduttura sotterranea che, passando sotto il territorio azero, georgiano e turco, sbuca nel porto mediterraneo di Ceyan. Per riempire i 1.770 chilometri di tubo ci vorranno sei mesi, alla fine dei quali il petrolio arriverà a Ceyan al ritmo di un milione di barili al giorno. Da lì verrà imbarcato sulle petroliere che lo faranno arrivare sui mercati occidentali.
A gestire la costruzione del Btc è stato un consorzio petrolifero guidato dalla compagnia britannica British Petroleum (Bp) con il 30% e di cui fanno parte l’azera Socar (25%), l’americana Unocal (9%), la norvegese Statoil (8%), la turca Tpao (6%), l’italiana Eni (5%), la francese Total-Fina-Elf (5%) e altre ancora.

Rischio di destabilizzazione. Questa pipeline attraversa una delle regioni più instabili del pianeta, un focolaio di guerre e conflitti irrisolti che covano sotto la cenere e che rischiano di reinfiammarsi a causa della destabilizzante presenza di questo tubo.
Si pensi solo al Nagorno-Karabakh (dove gli eserciti armeno e azero hanno ricominciato a spararsi quasi quotidianamente), ai conflitti separatisti georgiani in Ossezia del Sud e Abkhazia (dove continuano le provocazioni dell’una e dell’altra parte) e al conflitto nel Kurdistan turco (che negli ultimi mesi ha visto nuovi violenti scontri tra esercito e Pkk). Il percorso dell’oleodotto verrà presidiato dalle forze armate dei Paesi attraversati e, a quanto pare, anche da militari dell’esercito Usa (il 12 aprile Rumsfeld avrebbe preso accordi in tal senso con il ministero della Difesa azero). E questo potrebbe fornire il pretesto per attacchi e sabotaggi che rischiano di far salire pericolosamente la tensione in queste zone.

Un regalo al regime azero di Aliyev. Sabato scorso a Baku la polizia azera ha disperso con la forza una protesta dell’opposizione: i manifestanti sono stati brutalmente picchiati e centinaia di loro sono stati portati in prigione. Carceri nelle quali la tortura e la violenza sui detenuti ‘politici’ sono la regola. In Azerbaigian le manifestazioni antigovernative sono bandite da quando, lo scorso ottobre, è diventato presidente Ilham Aliyev (con elezioni manovrate per garantire la successione ‘dinastica’ all’ex presidente Heidar Alyev, suo padre). Da allora è iniziata una violenta campagna contro le opposizioni con arresti di massa e omicidi politici. La libertà di stampa è stata ostacolata in tutti i modi, anche con la violenza. Il 2 marzo è stato assassinato Elmar Huseynov, direttore del principale quotidiano d’opposizione. In aprile sono nati movimenti giovanili democratici che si ispirano alle ‘rivoluzioni arancioni’, ma i loro militanti sono stati subito imprigionati. Ora la sicurezza dell’oleodotto fornisce ad Aliyev un nuovo pretesto per usare il pugno di ferro. La manifestazione di sabato, ad esempio, era stata vietata perché troppo vicina alla cerimonia di oggi.
Enrico Piovesana

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Armenia


Ordinamento politico: Repubblica presidenziale
Capitale: Erevan
Superficie: 29.800 km² (un po' più della Lombardia)
Popolazione: 3,3 milioni; armeni 93%, azeri 3%, curdi 2%, russi 1,5%, altri 0,5%
Lingua: armeno (ufficiale), russo e curdo
Religione: (dati ufficiali) cristiani ortodossi 94%, zoroastriani 6%Alfabetizzazione: 98%
Mortalità infantile: 24 per mille
Speranza di vita: M 68, F 75
Popolazione sotto la soglia di povertà: 50%
Prodotti esportati: diamanti, minerali
Debito estero: 900 milioni di dollari
Spese militari: 8% del Pil



GEOGRAFIA
Ex repubblica dell'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss), l'Armenia (nome ufficiale Hayastani Hanrapetut’yun, Repubblica Armena) è uno stato dell'Asia occidentale, situato in Transcaucasia; privo di sbocco al mare, confina a nord con la Georgia, a est con l'Azerbaigian, a ovest con la Turchia, a sud con l'Iran e la Repubblica autonoma del Nahičevan (exclave dell'Azerbaigian).
Il territorio dello stato, prevalentemente montuoso, con scarso terreno arabile, comprende la sezione nordorientale dell'Altopiano armeno, una vasta area di alteterre che si estende a sud fino al lago Van, entro i confini della Turchia, e ha un'altitudine media di 1.800 m. L'altopiano è circondato da alte catene montuose appartenenti al sistema orografico del Piccolo Caucaso: quelle di Pambak, Gegam, Vardenis e Zangezur. Il monte Aragac, che si innalza fino a 4.090 m, è la cima più elevata.
Il clima è di tipo continentale e la media delle precipitazioni varia nelle diverse regioni e in base all'altitudine: più elevata sui versanti montuosi, è di solo 300 mm lungo le rive del fiume Aras, la zona più arida del paese. L'Armenia è attraversata da una fitta rete di brevi fiumi e corsi d'acqua (parte del bacino fluviale dell'Aras e del Kura) che, a causa delle caratteristiche del territorio, sono spesso interrotti da rapide e cascate; numerosi sono inoltre i laghi montani, il più esteso dei quali è il lago Sevan.
La vegetazione è estremamente varia; alla steppa si alternano regioni semidesertiche e, nelle estremità sudorientale e nordorientale del paese, boschi di faggi e querce. La fauna comprende il cinghiale, lo sciacallo, la lince e l’orso.


STORIA
Dal 1270 all'850 a.C. la valle del fiume Araxes (ora Aras) e la pianura attorno al lago Van furono domini di un regno, chiamato anche Van, ma conosciuto nella vicina Assiria come Urartu (in ebraico Ararat).
Il nome Armenia compare per la prima volta nell'iscrizione di Behistun di Dario I, re di Persia, verso il 521 a.C. Nel 612 a.C. l'Armenia era stata conquistata dai medi, che la governarono fino al 549 a.C., anno in cui Ciro il Grande, re e fondatore dell'impero di Persia, si impadronì della regione che divenne satrapia di Persia.
Dopo la morte di Alessandro Magno, che aveva conquistato la Persia, l'Armenia divenne indipendente. Antioco III, re di Siria, si impadronì del territorio nel 212 a.C. e lo divise in due satrapie, guidate da principi armeni, che rimasero indipendenti dal 190 al 94 a.C., quando Tigrane il Grande, re d'Armenia, le riunì sotto il proprio comando. Tigrane conquistò parte dell'Asia Minore e la Mesopotamia, ma fu sconfitto dai romani nel 69 a.C.: l'Armenia entrò così a far parte dell'impero romano. Durante le lotte fra i romani e i parti, che governavano la Persia, l'Armenia cercò di rimanere neutrale e autonoma. Quando i persiani sassanidi sconfissero i parti nel III secolo d.C., sottomisero anche l'Armenia, liberata successivamente dal re arsacide Tiridate, con l'aiuto dell'imperatore romano Diocleziano. Tiridate si convertì al cristianesimo nel 303 e creò una Chiesa di stato circa vent'anni prima che l'imperatore Costantino proclamasse il cristianesimo religione ufficiale dell'impero romano.
Dopo il IV secolo l'Armenia, di fede cristiana, si oppose ai persiani seguaci di Zoroastro. Gli arabi, dopo aver conquistato la Persia nel 642, si impadronirono anche dell'Armenia, affidandone il governo nel 653 a un principe armeno, designato patrizio di Armenia. Col tempo i patrizi divennero veri e propri sovrani, e nell'886 la dinastia Bagratuni restaurò il regno armeno, che governò il paese nei secoli IX e X. Nel Medioevo i nemici più agguerriti dell'Armenia furono i bizantini e i selgiuchidi. Le continue guerre spinsero gli armeni a emigrare altrove; nel 1082 nacque un regno chiamato Nuova Armenia, o Piccola Armenia, che comprendeva la Cilicia e che durò fino al 1375.
Verso il 1240 l'Armenia fu invasa dai mongoli, che la dominarono fino agli inizi del XV secolo. Nel XVI secolo l'impero ottomano conquistò gran parte della regione, percorsa da continue guerre tra gli ottomani e l'Iran. Nel XVII secolo gli armeni rimasti nella zona controllata dagli iraniani furono trasferiti altrove, mentre quelli rimasti nella zona ottomana, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, furono riorganizzati sotto la guida di un vescovo armeno, con ampia autonomia religiosa, culturale e politica. Quando i russi iniziarono la conquista della Caucasia nel 1828-29, molti armeni si trasferirono in questi territori.
Al fine di contrastare il ruolo di protettore della cristianità armena assunto dalla Russia, gli inglesi agirono in favore degli armeni nell’odierna Turchia, in quel periodo sotto l'influenza britannica. Tra gli armeni nacquero così fazioni che inneggiavano al nazionalismo, ma in direzioni divergenti: alcune enfatizzarono la lealtà all’impero ottomano, altre si impegnarono in attività che gli ottomani considerarono sovversive e repressero durante la prima guerra mondiale con un vasto massacro, che provocò tra uno e due milioni di vittime.
Il 26 maggio 1918 gli armeni, precedentemente sotto il dominio zarista, dichiararono la propria indipendenza e instaurarono la Repubblica autonoma d'Armenia, riconosciuta dagli Alleati nel 1920. Durante la guerra greco-turca del 1920-1922 gli armeni si schierarono con i greci e ancora una volta i turchi vittoriosi, dopo aver invaso la repubblica che si erano rifiutati di riconoscere, inflissero loro una dura rappresaglia. Nel 1921 si giunse a un accordo in base al quale la Repubblica d'Armenia cedeva metà dei suoi territori caucasici alla Turchia. Nel 1922 l'Armenia si unì all'Azerbaigian e alla Georgia a formare la Federazione transcaucasica, una delle quattro originarie repubbliche dell'URSS. Nel 1936 fu istituita una Repubblica socialista sovietica armena autonoma. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, nel settembre del 1991 l'Armenia si dichiarò indipendente; Levon Ter-Petrosyan, capo del Movimento nazionale armeno, ne divenne presidente. Nel 1992 tra Armenia e Azerbaigian esplose un conflitto per il possesso del Nagorno-Karabah, exclave armena in Azerbaigian, nel 1989 assegnata all'Armenia dal Soviet supremo sovietico.
La tensione politica nel paese andò progressivamente aumentando già nel primo anno di indipendenza. Le difficoltà causate dal terremoto del 1988, dalla guerra con l'Azerbaigian e il conseguente blocco economico da questo adottato, fecero crescere l'opposizione alla politica del governo. Il partito di maggioranza, il Movimento nazionale armeno, promotore di un programma moderato di riforma economica e di delimitazione territoriale, incontrò l'opposizione da parte di un'ampia schiera di forze politiche e in particolare del partito Dashnak (Federazione rivoluzionaria armena), che era stato la forza di governo nel breve periodo di indipendenza del paese tra il 1918 e il 1922. Il Dashnak, che esercitava un forte controllo sulle forze armate nel Nagorno-Karabah, rifiutò il programma di riforme economiche, sostenendo l'adozione di una politica più dura nei confronti dell'Azerbaigian e più stretti legami con la Russia. Nel 1992 l'Armenia fu ammessa nell'ONU. Nel 1993 le forze militari armene sconfissero ripetutamente l'esercito dell'Azerbaigian, occupando il territorio che separa l'Armenia dall'exclave del Nagorno-Karabah. Nel 1994 entrò in vigore un cessate il fuoco, seguito dall'avvio di negoziati di pace, subito però sospesi.
Malgrado i numerosi problemi che affliggono il paese (il conflitto con l'Azerbaigian, il blocco economico, la dipendenza energetica e alimentare), la riforma politica ed economica intrapresa agli inizi degli anni Novanta consentì al paese di ottenere discreti risultati, soprattutto nei settori agricolo e industriale. Nel 1995 si svolsero le elezioni politiche, che diedero la maggioranza al partito del presidente, e fu adottata una nuova Costituzione. Nel 1996, in seguito alle elezioni presidenziali, vinte da Ter-Petrosyan ma inficiate da scorrettezze, tra governo e opposizione scoppiarono violentissime polemiche e scontri di piazza che aumentarono la tensione, già alta per le divergenze delle autorità armene sulle trattative di pace con l'Azerbaigian per il conflitto in Nagorno-Karabah. Fu proprio quest’ultima questione a costringere, nel febbraio 1998, Ter-Petrosyan alle dimissioni, dopo che si era espresso in termini favorevoli sul progetto di risoluzione in due tappe avanzato dalla CSCE (Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa). Le elezioni anticipate del 1998 videro la vittoria di Robert Kocharyan; nelle successive elezioni legislative del maggio 1999 la coalizione Miasnutiun (“Unità”), formata dal Partito repubblicano e dal Partito popolare, ottenne la maggioranza dei seggi del Parlamento e Vazgen Sarkisyan venne nominato primo ministro.

SOCIETA'
L'Armenia ha una popolazione di 3.325.307 abitanti (2004), con una densità media di 112 abitanti per km²; concentrata per il 67% nei centri urbani, è caratterizzata da un alto grado di omogeneità etnica essendo composta per il 93% da armeni, percentuale aumentata in anni recenti dopo l'allontanamento degli azeri e l'afflusso dei profughi armeni dal territorio del Nagorno-Karabah, a causa del conflitto presente in quella regione. Il paese è abitato anche da minoranze di curdi e russi, che rappresentano poco più dell'1,5% della popolazione totale, oltre a ucraini, georgiani e greci. La popolazione si concentra nelle valli, specialmente lungo il fiume Hrazdan, dove sorge la capitale, Erevan, la città più importante del paese, con una popolazione di 1.250.000 abitanti (2000); la seconda città più popolosa è Kumayri (nota col nome di Leninakan fino al 1991). La diaspora armena conta circa cinque milioni di persone nel mondo, di cui 1.500.000 negli stati dell'ex Unione Sovietica, 1.000.000 negli Stati Uniti e 400.000 in Francia.
Nonostante buoni indicatori di crescita economica e un tasso d’inflazione fermo al 3%, l’Armenia nasconde una situazione ben più grave, con tassi di disoccupazione altissimi e una popolazione costretta a vivere per l’80% al di sotto della soglia di povertà; si aggiungono inoltre i problemi che affliggono la maggior parte delle repubbliche ex sovietiche: evasione fiscale, corruzione e assenza di trasparenza finanziaria. Se il debito con Mosca è stato in parte risolto con un accordo che prevede la cessione di alcune importanti strutture economiche armene, come la centrale termica di Hrazdan e la società elettronica Mars, il governo deve tuttora fare i conti con un’emorragia costante di manodopera e con le tensioni con l’Azerbaigian per il Nagorno-Karabah.

ECONOMIA
L'Armenia è un paese altamente industrializzato. Il prodotto interno lordo nel 2002 ammontava a 2.367 milioni di dollari USA, pari a un PIL pro capite di 770 dollari. Nel 2002 il settore industriale contribuiva per il 36,8% alla formazione del PIL e occupava il 14% della forza lavoro. Lo sviluppo più consistente si è avuto nei settori manifatturiero e minerario; particolare importanza hanno le industrie alimentare, cartaria, meccanica, elettrica, tessile, chimica, della gomma, del cemento e del tabacco. L'attività estrattiva sfrutta perlopiù i giacimenti di oro, rame, zinco, ferro, argento, molibdeno e gas naturale. Il settore industriale ha sofferto gravemente a causa del blocco economico imposto dall'Azerbaigian nel 1991, che comportò gravi carenze di gas naturale, petrolio e altre fonti energetiche. Nel 1994 il paese annunciò quindi la decisione di ripristinare gli impianti di Metsamor – la sola stazione nucleare nella regione transcaucasica – per compensare la diminuita disponibilità di energia. L'apertura dell'impianto, chiuso in seguito al devastante terremoto del 1988, malgrado non avesse riportato danni, provocò una dura reazione da parte del governo dell'Azerbaigian, preoccupato che potesse essere utilizzato per la produzione di armi nucleari. L'agricoltura, la seconda voce in ordine d’importanza per l'economia del paese, contribuisce per il 26,2% alla formazione del PIL (2002) e occupa il 44% della forza lavoro (2000). I raccolti principali sono offerti da frumento, orzo, mais, patate, tabacco, ortaggi, vite e frutta.
L'Armenia è comunque costretta a importare grandi quantità di generi alimentari dall'estero dal momento che la produzione locale non è in grado di soddisfare il fabbisogno del paese. Durante il periodo sovietico, l'Armenia importava circa il 60% del pane e circa i due terzi dei prodotti lattiero-caseari dalle altre repubbliche della federazione. In seguito, il blocco economico da parte dell'Azerbaigian e la guerra civile in Georgia ostacolarono gravemente gli approvvigionamenti alimentari ma, diversamente dalla produzione industriale, nei primi anni Novanta quella agricola aumentò considerevolmente, grazie anche alla privatizzazione delle terre avviata nel 1991. Dopo il crollo dell'URSS l'Armenia mantenne come moneta corrente il rublo russo, ma alla metà del 1993 la banca centrale russa rifiutò di accettare i rubli stampati prima di quell'anno; ciò comportò un massiccio afflusso di rubli in Armenia e nelle altre ex repubbliche sovietiche in cui tale moneta era ancora in circolazione. L'ingresso di vecchi rubli, senza valore in Russia, provocò una brusca impennata dell'inflazione, che spinse le autorità finanziarie moscovite a imporre uno stretto controllo sul nuovo rublo, rendendo inevitabile per i leader armeni l'introduzione di una moneta distinta. Nel novembre 1993 fu quindi coniato il dram, inizialmente valutato in 200 rubli.
POLITICA
Negli ultimi anni lo scontro politico non ha accennato a diminuire di intensità. Dopo una serie di delitti eccellenti che nel 1998 avevano coinvolto, in veste di mandanti, vari uomini di governo, alla fine di ottobre 1999 lo stesso primo ministro è stato ucciso, insieme con diversi ministri, durante un’incursione armata compiuta all’interno del Parlamento da un gruppo di membri di un partito nazionalista, ostile alla politica condotta dal governo nei confronti dell’Azerbaigian, considerata troppo “conciliante”. Vazgen Sarkisyan è stato sostituito nella carica di primo ministro dal fratello Aram, membro di Unità e capo di un potentissimo clan, rimpiazzato a sua volta, nel maggio 2000, da Andranik Markaryan. Nel gennaio 2001 l’Armenia è ammessa al Consiglio d’Europa. Nel marzo 2003 Robert Kocharyan è rieletto presidente della Repubblica con il 67,5% dei voti; numerose sono però le irregolarità denunciate dagli osservatori internazionali e dall’opposizione.
Le elezioni legislative del maggio 2003 sono vinte dal Partito repubblicano armeno (Hhk) del primo ministro Markaryan, vicino al presidente.

V.V

 
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