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06 04 05 - Memorie- L'ombra lunga del genocidio
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da LE MONDE DIPLOMATQUE
Geraldina Colotti
Vendetta e giustizia, memoria e identità, crimini di massa e radici della violenza... Tre libri, pubblicati da Guerini Associati, evidenziano l'utilità
di riflettere sulla questione armena oltre l'interesse umanitario e storico-documentale. Condannato a uccidere (2005, 18,50 euro), di Ashavir
Shiragian, riporta il lettore al contesto dell'Operazione Nemesis. Allora, diversi giovani fra cui lo stesso autore, sopravvissuti al genocidio, membri della Federazione rivoluzionaria armena, inseguono ed eliminano i responsabili dello sterminio. Shiragian agisce a Roma e a Berlino. Sotto i suoi colpi cadono l'ex-Gran Vizir Said Halim, primo ministro ottomano all'epoca del massacro, Behaeddine Shakir, ideologo del partito Unione e progresso e Djemal Azmi, detto il mostro di Trebisonda. È il 1922. L'ultima annotazione di Shiragian è del
1966 e viene dagli Stati uniti, dove diventerà un ricco uomo d'affari: «avevo ragione - scrive - l'America è la terra del lieto fine e dell'inizio».
Le memorie di Shiragian vengono pubblicate per la prima volta nel 1976.
Intanto, un'organizzazione clandestina, l'Asala (Armata segreta di liberazione armena) ha cominciato a compiere attentati in Europa.
Nel giro di pochi anni, i suoi membri finiscono nelle carceri speciali francesi. Nel '78, la Turchia riesce a ottenere che la Commissione dei diritti dell'uomo delle Nazioni unite elimini dal suo rapporto sulla «prevenzione e repressione del crimine di genocidio» il massacro degli armeni, inizialmente
definito «primo genocidio del XX secolo».
Ma intanto i primi libri hanno già alzato il velo su quella triste pagina di storia. È lecito uccidere il tiranno? C'è differenza tra omicidio politico e
«terrorismo»? Riletto oggi, l'ingenuo e prometeico racconto di Shiragian mostra lo iato profondo ormai esistente tra la percezione del conflitto odierno e
quello del secolo passato.
Negli anni dell'eclissi del vecchio Continente e del suicidio europeo nella Grande guerra, capitava infatti che l'esercizio del diritto riconoscesse agli
oppressi quello della forza e che magari si mandasse assolto l'esecutore di Talaat Pascià. E non a caso Marcello Flores fa notare come il termine
«terrorismo» sia, fra i tanti possibili, quello forse più di altri soggetto oggi a «una torsione di significato che non ne favorisce l'analisi concettuale
e la comprensione storica».
Ma tornare agli anni del genocidio armeno, vuol dire anche considerare l'origine della composita «identità turca», inquadrare la «questione orientale»
per come si è posta allora e per come si presenta oggi dopo il crollo dell'Unione sovietica, nel proliferare delle «piccole patrie». Farlo, aiuta
anche a collocare la discussione sull'entrata della Turchia in Europa, fuori dalle fobie antiislamiche di un certo Occidente.
Fayez-El-Ghossen è un alto funzionario arabo, accusato di aver capeggiato un movimento rivoluzonario, scampato alla morte e all'esilio. Il beduino misericordioso, (2005, 14 euro) è il suo diario - scritto in arabo nel 1915, pubblicato una prima volta un anno dopo e ristampato a più riprese - , in cui costante è la preoccupazione di «difendere la religione musulmana» dall'accusa di fanatismo da parte dell'Europa.
La popolazione turca dei paesi - scrive Fayez-El-Ghossen - proteggeva gli armeni e li nascondeva ai funzionari del governo. Ma il governo usava la
religione musulmana «per eccitare i kurdi e i turchi musulmani contro gli armeni».
Grande attenzione ha poi suscitato il libro Nazionalismo turco e genocidio armeno, di Taner Akçam (2006, 24 euro). Lo storico turco, considera
l'annientamento delle varie minoranze come uno degli elementi strutturanti il passaggio dall'impero ottomano alla repubblica turca: uno degli elementi
fondanti l'identità nazionale del suo paese, insieme al sentimento ambivalente nutrito dai turchi nei confronti delle potenze europee, e all'«incertezza del
diritto» presente ab origine nel modello politico e societario turco. Elementi che pesano sulla forma mentis degli odierni governanti, come mostra la chiusura autoritaria nei confronti dei kurdi, e che determinano un «dualismo» di pensiero e condotta: la Turchia, dice l'autore, è perciò democratica all'apparenza - la tortura contro i prigionieri è perseguibile per legge dal 1854 - ma repressiva nei fatti. Una schizofrenia, purtroppo, che rischia di diventare regola internazionale nel contesto senza più argini del mondo a egemonia unica.
V.V
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