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06 04 27 - All'Opera di Roma , Tigran Mansurian
20 Spettacoli il Giornale . Domenica 23 aprile 2006

A FIATO SOSPESO
Nella foto grande una scena da «Nostalghia», il film che Andrei Tarkovskij (foto piccola) pubblicò
nel 1983 raccontando la vita del poeta russo Gortchakov durante il suo viaggio in Italia sulle tracce
di un compositore del 1700. Tarkovskij fu il regista russo più famoso dai tempi di Sergei M. Eisenstein e si impose all’attenzione internazionale alla Mostra del Cinema di Venezia del 1962
vincendo il primo premio con il film «Ivanovo detstvo».
Tarkovskij morì nel 1986 dopo aver lavorato a un film con molti collaboratori di Bergman

Le visioni di Tarkovskij in musica Commuove la prima di «Nostalghia»

ALLA SCALA

Maazel incanta con Schumann Alberto Cantù da Milano

Ha un bel dire Theodor Adorno (qualcuno si ricorda ancora di lui?) che il pubblico moderno è un «collettivo indistinto». Nel senso che se alle corti del Sei-Settecento c’erano una preparazione e un gusto musicale omogenei, oggi possiamo trovare chiunque nella poltrona di un luogo musicale: dal diplomato in composizione a chi non sa leggere una nota. L’esperienza, però, insegna. Insegna
a frequentare le diverse istituzioni musicali dove si apprende come ognuna d’esse ha il «suo» pubblico. C’è chi ascolta musica dal vivo perché è abitudine socialmente stimata. Chi per mostrarsi o incontrare gli amici. Chi, infine, per quella che dovrebbe essere la molla che fa planare in una sala: ascoltare musica, valutare un’interpretazione, condividerla o no con applausi di varia intensità (i fischi ormai sono spariti: scomparsi o quasi anche dal loggione). A quest’ultima categoria di «indistinto ma non troppo» ci sembra appartenere il pubblico dei Concerti sinfonici alla Scala in abbonamento (tre turni). Ad esempio quello che ieri l’altro ha applaudito il concerto «infilato» da Lorin Maazel, con la Filarmonica della Scala, tra una rappresen- MAGICO Maazel ha diretto anche pagine di Mozart tazione e l’altra di Tosca.

Uno splendido concerto a partire dal programma: denso non per quantità o durate (le solite gigantoscopie mahleriane) ma per il peso specifico dei brani.
L’inebriante, «olimpico» congedo di Mozart dalla Sinfonia -la numero 41 che l’Ottocento titolò a ragione Jupiter -e il rotto, febbrile, commovente sinfonismo di chi, come Robert Schumann, sentì da
uomo e artista un costante anelito d’infinito. Nel nostro caso lo Schumann della Seconda sinfonia.

Guardi il gesto di Maazel, ex enfant prodige del violino e della direzione, e capisci perché il suono della Filarmonica è così limpido e duttile nell’articolare il suono, nel fraseggiare con ampiezza, nel modificare di volta in volta il tempo.
Basta un dito della mano sinistra di Maazel per suggerire un colore o «acchiappare» l’orchestra e portarla dove vuole lui. La bacchetta si muove con pochi, elastici e fulminei gesti che hanno la precisione di un compasso nell’indicare un’entrata o nel «mimare» (da violinista, appunto) il serpeggiare dei violini nello Scherzo di Schumann, sorta di moto perpetuo che in controluce riconosci pianistico.

Ecco così un Mozart «olimpico» e al tempo stesso cameristico per levità e trasparenza: splendido banco di prova per la Filarmonica. Uno Schumann la cui visionarietà è data anzitutto dalla particolare tinta sonora e dove l’Adagio respirato come una preghiera fra Bach e Mozart. Alla fine, tutti a congratularsi:
pubblico e orchestra. Evviva.

traverso la ricerca musicale più osé con il tema arcaico del sacro che, inossidabile, resiste al trascorrere del tempo e, invincibile, resiste a profanatorie contaminazioni. A cominciare da Pärt, di cui lo Hilliard ha eseguito venerdì le ultime composizioni: quel Lamentate cioè (Ecm 1930) che, racconta l’autore, scioglie dalla visione di una statua diMarsia un’assortariflessione sulle età. A Marsia, il satiro musicoche osò sfidare la lira del dio Apollo col suono del suo flauto, il musico di
Tallin molto assomiglia: basta guardare il suo ritratto -testa ieratica, occhi cocenti, barba spavalda
-negli scatti di Roberto Masotti esposti a Bergamo al Museo Berna- reggi. Basta ascoltare la sua preghiera che, nel dialogo piano-orchestra conduce la dialettica disfida tra le antifone gregoriane tradizionali e le forme sperimentali più recenti. Per proseguire con Gurdjieff, il mago del Caucaso, lo stregone mistico che rapì Katherine Mansfielda Château du Prieuré, sedusse il Keith Jarett interprete dei Sacred Hymns (Ecm 1174) e ultimamente ha conquistato il duo Lechner-Tsabropoulos (in scena oggi alle 18 nella Basilica di Santa Maria Maggiore). E per finire con Mansurian, il poetico compositore d’Armenia che ai componimenti del poeta Yeghishe Charents ha dedicato i dieci brani (Ars Poetica, Ecm 1865) registrati nel monastero di Saghmosavank, eseguiti in prima europea stasera (ore 21 al Donizetti) e chiusi sulle armonie di And Silence Discends: eco lunga e ben sonora dei silenzi tarkovskijani evocati da Couturier.

Alessandra Iadicicco

da Bergamo

«Papà, Dio esiste?». Dieci
minuti di silenzio -scandalosi nella sala di un cinema -, e sguardo
prolungato sull’orizzonte dove il
mare dell’isola di Gotland incontra il cielo nordico di Svezia. Poi la
risposta: «Sì, esiste». Volendo,
quei dieci minuti si potevano riempire di musica. Senza nulla togliere all’effetto -di domanda, dubbio, desiderio, concentrazione assorta; attesa, stupore, meraviglia, muta e fervida preghiera
prodotto dalla straordinaria sequenza del Sacrificio di Tarkovskij. Le stesse impressioni hanno
prodotto le musiche di François Couturier ispirate ad Andrei Tarkovskij ed eseguite in prima
mondiale ieri sera a Bergamo per il pubblico che, nella sala del teatro Donizetti, le ha ascoltate col
fiato sospeso e con la pelle d’oca.
Nostalghia. Song for Tarkovskij:è il nome dell’opera che, andata in scena per la première del Festival Internazionale di Musica Contemporanea, andrà in replica all’infinito sul cd in uscita a settembre per Ecm. Un dramma senza immagini. «Canzoni» senza parole. Intitolate alle visioni del grande russo: Le Sacrifice, Solaris, Stalker, Ivan, Pietro Acquafredda da Roma Sakuntala, bellissima sacerdotessa di stirpe regale ma allevata dal saggio Kanva, folgora il re che la incontra durante una battuta di caccia e giace con lei. Prima di far ritorno alla reggia, il re le dona un anello. L’amore, che non ha risparmiato la sacerdotessa, la distrae dai suoi doveri di servizio al tempio, e le attira una dura maledizione: «Chi l’ama la dimentiche- Al Donizetti di Bergamo debutto mondiale dell’opera di Couturier ispirata ai film del grande regista russo Miroir... Tradotte -nelle laconi-dilatazioni, i sussulti e le distensioche diciture -nel francese del ni dei ritmi del jazz.
compositore pianista. E trasposte Accadono un mucchio di cose in -nelle note di partitura -per le un’oradiconcerto:senzaverboprovoci di un piano (Couturier), un ferire. E il concerto proposto ieri da violoncello (Anja Lechner), un sax Verbo Essere -l’associazione pro- soprano (Jean-Marc Larché) e un motrice della tre giorni che si conaccordeon (Jean-Louis Matinier). clude oggi -aveva tutto il sapore di Il silenzio è modulato in quartet-un avvenimento. Evento di poesia, to. Drammatizzato in figure melo-concitata azione liturgica, impresdiche. Scandito sulle sincopi e le sionante rappresentazione sacra:

COPPIAD’AUTORIIlcompositoreFrançoisCouturierel’accordeonistaJeanLouisMatinier scandalosa come il silenzio -o Il grande silenzio -al cinema. Philip Gröning lo ha prolungato in tre ore di film: meditazione silenziosa sull’ineffabile in cui le ripetute litanie dei monaci di Grenoble non fanno,
ovviamente, l’effetto di un’interruzione, né le riprese del regista tedesco, ammesso, cinepresa in spalla, alla Grande Chartreuse, fanno l’effetto di una violazione. Ugualmente azzardato e dirompente era il proposito della manifestazione bergamasca.Che,se ardisce tentareil Sacro per via di Contaminazioni contemporanee, lo fa con tutti gli strumenti che la contemporaneità più all’avanguardia sa offrire. Epoca tecnologica e chiassosa? O invece ultrasofisticata ed espressivamentestrepitosa, se iprotagonistidel festival odierno -l’estone Arvo Pärt e l’armeno Tigran Mansurian, i coristidelloHilliardEnsemble(formidabili interpreti di polifonie antiche o dei canoni novecenteschi) e gli strumentisti Anja Lechner e Vassilis Tsabropoulos (rinnovati esecutori degli inni diGurdjieff) -sono, dal primo all’ultimo, figli del proprio tempo. Tutti da anni si confrontano at-

ALL’OPERA DI ROMA


sempre in sintonia con l’atmosfera Applausi alla «regina Sakuntala» dello spettacolo le coreografie di Amedeo Amodio. Molto meglio la compagnia di canto nel complesso sua presenza il re non la riconosce (Francesca Patanè, Sakuntala, Da- e lei non ha più l’anello. Sakuntala Gianluigi Gelmetti direttore e regista del capolavoro strumentale vid Rendall, il re, e poi Elena Cas si dispera e fugge. Un pescatore ritrova l’anello regale e lo porta al re al quale torna di colpo la memoria e fa cercare Sakuntala. Troppo tardi: è stata vista gettarsi nello stagno delle ninfe e dissolversi in una nube di fuoco; ma ha dato al re un erede, che avrà il mondo ai suoi piedi, come Sakuntala rivela, sian, Anna Rita Taliento, Orlin Ana di Franco Alfano ripreso nella versione originale del 1921 stassov, Alessandro Guerzoni e Francesco Palmieri), chiamata a un compito ingrato senza la merita- le del 1921, e non in quella succes-ta gratificazione.
siva della fine degli anni Quaranta, Ma in questa operazione di occastrumentalmente più edulcorata e sionale recupero che tale resta, smussata armonicamente. Di fron-non convince la storia delle due
te a tanta ricchezza di colori e situa-versioni: Alfano avrebbe riscritto zioni strumentali, il punto debole alla fine degli anni Quaranta la sedi Sakuntala sta, per quanto ri-conda versione dell’opera, solo sul-
guarda Alfano, nel declamato me-la base di vecchi appunti, giacché lodico che non spicca mai il volo, e la prima del 1921 era andata di- nel libretto poeticamente e dram-strutta. Davvero una favola; quanmaturgicamente poco consistente; do la verità potrebbe essere molto relativamente alle responsabilità più semplice. Nel secondo dopo- di Gianluigi Gelmetti, artefice della guerra Alfano, sentendo da una ripresa sia musicale che registica, parte esaurita la sua vena creati- gli si deve rimproverare lo spetta-va, e deciso dall’altra a tagliare de- colo etereo, ieratico, statico del pal-finitivamente i ponti con il suo pascoscenico in stridente contrasto sato di musicista «glorioso», ma
con il linguaggio magmatico che «compromesso con il regime» ricon riconosciuta efficacia cavava corse alla sua antica sensuale crea- egli stesso dall’orchestra. Scena tura, coprendone la folgorante av(Maurizio Varamo) monotona ; lu-venenza con più trasparente, morci, di Vinicio Cheli, monocromati-bida veste; e poi dichiarando, inveche; costumi preziosi e leggeri di ce, trattarsi di una nuova Sakunta- Anna Biagiotti; eccessive e non la. Si replica fino al 28 aprile.

ARTEFICEGianluigiGelmettisulpodioeregistadi«LaleggendadiSakuntala» apparendo al re che non si dà pace.

La leggenda della È questa la storia, raccontata dal poeta indiano Kalidagiovane che stregò un re sa. Storia di sogno e passio- nasce dal poeta indiano ne, e del suo mondo variopinto come gli sgargianti fiori orientali di cui Franco Alfa-del V secolo Kalidasa no, musicista napoletano di rà!»; dopo insistenti suppliche, la maledizione viene attenuata: il suo amato (il re nel nostro caso) la riconoscerà solo quando gli mostrerà l’anello ricevuto come pegno d’amore. Quando Sakuntala scopre di essere incinta, chiede di essere condotta dal re; ma giunta in Posillipo, ma europeo di formazione, cultura ed esperienze si candida a poeta e musicista.

La parte del musicista gli riesce meglio; ciò che emerge dalla turgida e trasparente, ricchissima di colori e continuamente cangiante orchestra è la principale ragione per cui è valsa la pena di riascoltare quest’opera, nella versione origina

V.V

 
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