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06 06 07 - Ankara bocciata alla prova delle riforme Turchia
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Ankara bocciata alla prova delle riforme Turchia. A rischio i negoziati per l'ingresso in Europa, il cui inizio previsto è il 12 giugno. La denuncia in uno studio anticipato dal Financial Times Vittorio Strampelli
Lunedì 12 giugno sarà un giorno importante per il futuro dell'Unione europea.
In quella data, i ministri degli Esteri dei Paesi comunitari si troveranno a Lussemburgo insieme ai loro omologhi turchi e croati per aprire il primo dei 35
capitoli dei negoziati di adesione dei due Paesi, dando così avvio, in pratica, al primo round di negoziati effettivi da quando, il 3 ottobre 2005, Turchia e Croazia hanno ottenuto lo status di candidati effettivi e l'apertura ufficiale delle trattative. Ma quel giorno, in vista del quale i due Paesi si sono preparati per oltre 8 mesi, rischia di trasformarsi, almeno per la Turchia, in un incubo. Il governo di Ankara, infatti, si trova nel bel mezzo della tenaglia di un'accusa proveniente sia da Bruxelles, sia dai dirigenti della Tusiad, la
“confindustria” turca. Per entrambi, l'accusa è di aver perso lo “slancio europeo” e di non aver speso eccessive energie per applicare le riforme già
approvate, né tanto meno per approvare le nuove richieste provenienti dall'Ue.
Detto in due parole: la Turchia non sarebbe pronta per l'ingresso in Europa.
E l'aspetto peggiore è che a muovere per prima l'accusa è la stessa Ue.
Un articolo pubblicato sul Financial Times di ieri, infatti, pubblicava la bozza di un dossier – preparato ad hoc per l'appuntamento di lunedì prossimo – in cui
si mettevano in evidenza tutti i problemi sui quali l'esecutivo del premier turco Recep Tayyip Erdogan non si sarebbe adoperato con sufficiente impegno. In
particolare, il rapporto punta il dito contro le violazioni dei diritti umani e della libertà d'espressione, senza risparmiare critiche al ruolo eccessivo dei militari nella vita politica e alla gestione del “caso Cipro”, che teoricamente
Ankara avrebbe dovuto risolvere entro quest'anno. Il commissario europeo per l'allargamento Olli Rehn fa sapere che lunedì gli Stati membri invieranno un
“messaggio chiaro” alla Turchia, affinché proceda al riconoscimento di Cipro e applichi anche all'isola contesa con la Grecia l'accordo doganale che gli
permette di commerciare con i nuovi stati membri dell'Ue. Dello stesso parere anche il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, che la scorsa
settimana ha esortato Ankara ad aprire i suoi porti alle navi cipriote.
Ma quest'ultimo passo, implicando un implicito riconoscimento della Repubblica di Cipro, potrebbe avere ripercussioni salate sul governo di Ankara, che rischierebbe di dire addio all'appoggio dei diffusi circoli nazionalisti turchi e per questo si difende sottolineando che sono stati i greco-ciprioti a rifiutare con un referendum (nel 2004) il piano Annan per la riunificazione dell'isola e che Nicosia si oppone fieramente ad una parallela apertura dei commerci di Cipro Nord con i paesi Ue.
“Nel campo della libertà di religione non si possono segnalare concreti progressi, specie in considerazione delle difficoltà ancora incontrate dalle minoranze religiose non musulmane”, recita la bozza del rapporto, che nota anche come siano “necessari sforzi ulteriori per assicurare un pieno controllo dei civili sui militari, in linea con la pratica degli Stati membri dell'Ue”.
Torture e maltrattamenti, poi, sarebbero ancora all'ordine del giorno, “ in molti casi per impedire alle persone l'espressione delle proprie opinioni”,
recita il documento, aggiungendo la necessità di applicare le vecchie riforme e di provarne delle nuove, menzionando in particolare la persecuzione giudiziaria di “manifestazioni non violente di opinioni”. L'impeto rinnovatore che avrebbe dovuto far rivivere al Paese della Mezzaluna i tempi aurei di Ataturk sembra essere evaporato: “Il ritmo delle riforme – denuncia il rapporto – è rallentato rispetto all'anno scorso. È invece importante portare avanti le riforme per avvicinare la Turchia agli Stati europei”. A questi rilievi, che già da soli basterebbero a definire “delicata” questa situazione, bisogna anche aggiungere il problema della minoranza curda e la connessa attività del Pkk (il partito dei lavoratori curdo) e dei Tak, formazione estremista curda che le autorità ritengono una sigla paravento del Pkk, che sia Europa che Stati Uniti hanno schedato come organizzazioni terroriste e che negli ultimi mesi hanno ripreso con forza la lotta armata, uccidendo solo ieri due militari a Semdinli, nella provincia sudorientale di Hakkari. Last but not least, il riconoscimento del genocidio degli armeni, su cui Ankara continua a fare orecchie da mercante, timorosa che la vicina Armenia possa un giorno presentare richieste di risarcimento.
Erdogan, insomma, avrà il suo bel da fare per quello che sembra l'inizio di una lunga e calda – per non dire rovente – estate.
Oltre al giudizio sfiduciato di Bruxelles, il governo turco dovrà rispondere anche ai malumori degli industriali della Tusiad, che lunedì scorso hanno ammonito il governo a “concentrarsi meno sulle questioni religiose e più sulle riforme pro-Ue”.
Non a caso, ieri, insieme al vicepremier e ministro degli esteri Abdullah Gul, Erdogan ha tenuto ad affermare che “non è vero che il governo abbia perso il suo euroentusiasmo”. Ma queste assicurazioni verbali dell'ultim'ora valgono poco a controbilanciare la percezione diffusa di un governo che, ottenuto quello cui aspirava (lo status di paese candidato), si è concentrato negli ultimi mesi su questioni come il velo islamico, le scuole private religiose e la ricerca di “una nuova definizione di laicità”, creando tra l'altro tensioni con quella parte della Turchia che laica lo è sul serio e, in particolare, con i militari e gli uomini d'affari.
V.V
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