|
|
Zatik
consiglia: |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Iniziativa
Culturale: |
|
|
|
|
|
050404 - Reazioni e doccumenti sul GENOCIDIO DEL POPOLO ARMENO , DI TULIA ZEVI E TESTIMONIANZA DI ARMIN WEGNER E ALTRI AUTORI IMPORTANTI
|
Materiale util;e per la celebrazione del 90'imo anniversario del genocidio
----------------
Oltre i documenti e fotografie del genocidio e relazione splendida del prof: Giuliano Vassalli, pubblichiamo i documenti sttoelencati che sono:
Introduzione: Misha Wegner, Biografia di Armin T.Wegner
Lettera di Armin Wegner al Presidente degli Stati Uniti d’America
Relazione di Tulia Zevi al convegno di ZATIK
Il primo genocidio
Riconoscimenti nel mondo e in Italia, bibliografia essenziale
-------------------------
Introduzione
Michele Wegner Aprile 2003
Perché La Tragedia Armena può toccarci cosi da vicino? Perché comprendere l’altrui tragedia di ieri può contribuire ad evitare l’eventuale nostra personale tragedia del domini? Perché la tragedia del singolo e la tragedia di un popolo si determinano allo stesso modo?
Ho avuto un padre la cui coscienza maturò al di là dello spazio del tempo, perché testimone oculare di eventi tragici e straordinari.
Dovevo raggiungere la piena maturità perché la mia profonda curiosità delle origini e delle motivazioni uscisse allo scoperto, diventando poi impegno morale nella ricerca delle compressione del divenire della vita di vita di mio padre e con essa degli eventi storici che da lui furono attraversati.
E’ nato cosi con mio padre un dialogo a intermittenza, che piano ha formato un mosaico di risposte ai suddetti interrogativi. Ad una presentazione a Pistoia della mostra “Armin T. Wegner e gli Armeni in Anatolia” , un gruppo di giovani mi espresse la curiosità di conoscer il perché ed il come di me figlio cosi coinvolto nel passato del padre.
Raccontai che non vi era nulla di particolare, ma che tutti i figli avranno il loro giorno, in cui divenuti orma adulti vorranno porre ai genitori domande a cui il più delle volte risponderà Soltanto voce dal di dentro, la voce della memoria inconscia, tramandataci per eredità.
Per un lungo e lento scorrere del tempo, infatti, non tutti percorriamo lo spazio della nostra infanzia e gioventù. Poi arriva un giorno in cui avvertiamo con meraviglia che qualcosa è cambiato, non improvvisamente ma lentamente, senza che a lungo ne abbiamo perso coscienza. Da figli siamo diventati noi stessi padri, genitori di una nuova generazione.
Siamo cosi figlio e padre contemporaneamente. Percorriamo una strada sulla quale i nostri genitori sono già passati, e dietro a noi verranno i nostri figli. La distanza tra gli uni e gli altri è però tale che il più delle volte chiamarsi e udirsi non è più possibile.
E quando non potremo più da figli parlare con i nostri genitori, che avranno concluso ormai il ciclo della loro vita, ci accorgeremo che molte domande rimarranno senza risposta. Saranno molte però le sensazioni che andremo provando, come se parte del padre e della madre continuasse a vivere dentro e attraverso di noi.
Scopriremo di rappresentare, in questo legame con i nostri predecessori, la continuità per eredità di somiglianza fisica e psichica, ma ancor più l’appartenenza intellettuale e delle tradizioni che caratterizzano la famiglia, il clan familiare, poi la stirpe e con essa la lingua e la nazione.
La distruzione di questa appartenenza è stata, nel corso dei secoli, la vera grande tragedia che ha unito dai tempi più antichi ad oggi nel loro destino gli uomini . Gli uomini nel loro insieme, nel divenire e finire dei singoli, determinano il sorgere di una nazione e più tardi il suo tramonto.
Quando il tramonto avviene per distruzione violenta da parte di un’altra cultura, la tragedia è collettiva. Questa tragedia di perdere la immedesimazione con qualcosa che ci caratterizza in quanto appartenenti a una comunità ben definita, come un taglio ombelicale che comporti la morte del singolo individuo prima e della collettività poi, è la tragedia del genocidio. Il genocidio non distrugge solo esseri viventi, ma ancor peggio la loro storia, la loro memoria, tradizioni e usanze, quelle particolarità che rendono cosi ricca l’esistenza stessa della umanità.
Questo dramma, come detto, ha accompagnato l’umanità dal suo sorgere, ma se da una parte ha distrutto, da quelle stesse ceneri è sgorgata poi anche nuova vità, nuovo fervore e nuova creatività. Convincersi di queste certezze aiuta a porsi e ad agire da quella parte della coscienza collettiva che si impegna per evitare nuovi soprusi e distruzione dei singoli, ed agisce preventivamente, perché ha maturato la convinzione del vincolo che integra e unisce il destino dei singoli facendone il destino delle nazioni.
ARMIN THEOPHIL WEGNER
Biografia
Armin Theophil Wegner naque a Wuppertal, in Germania nel 1886 e mori a Roma nel 1978. Dottore in diritto, scrittore, poeta profondamente colpito dalla tragedia del popolo armeno di cui era stato testimone oculare nella Turchia Ottomana, ha dedicato gran parte della sua esistenza alla battaglia per i diritti umani e il suo impegno letterario e poetico alla ricerca della verità su se stesso e sugli uomini.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, nel quadro dell’alleanza militare tra la Germania e la Turchia( governo dei Giovani Turchi), è inviato in Medio Oriente come membro del servizio sanitario tedesco al seguito del generale Von Der Goltz, nella campagna mesopotamica del 1915- 1916.
Wegner, attraversando l’Asia Minore, è testimone del genocidio del popolo armeno, la prima “pulizia etnica” del XX secolo. Eludendo le ferree ordinanze e i divieti delle autorità turche e tedesche, scatta centinaia di fotografie nei campi dei deportati, raccoglie lettere di supplica che cerca di consegnare alle ambasciate, invia lettere in Germania, scrive diari, raccoglie appunti e notazioni, riuscendo a far giungere parte del materiale in Germania e negli Stati Uniti.
Scoperta la sua attività clandestina, è espulso dalla Turchia e richiamato in Germania nel novembre del 1916. Porta con sé, nascoste sotto la cintola, le lastre fotografiche delle Immagini del genocidio del popolo armeno al quale aveva assistito impotente.
In Germania si impegna intensamente per dare diffusione alla tragedia degli armeni. Organizza conferenze a dibattiti; pubblica le lettere inviate alla madre e agli amici dal deserto di Dier es Zor nel libro intitolato “la via senza ritorno. Un martirio in lettere” .
Nel 1919 invia una lettera aperta al presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, nella quale denuncia lo sterminio della nazione armena e auspica una patria per i sopravissuti. Nel 1933, all’indomani della serrata contro gli ebrei, indirizza ad Adolf Hitler una lettera di protesta contro i comportamenti antiebraici e antiumani del regime.
Viene arrestato dalla Gestapo, torturato e incarcerato. Liberato, dopo varie peregrinazioni, si rifugia tra il 1936 e il 1937 in Italia, a Postano. Vivrà nel nostro paese, a Roma e a Stromboli, sino alla fine dei suoi giorni, tentando di continuare la sua attività di scrittore, ma senza mai riuscire ad adattarsi alla sua condizione di esule.
Wegner si è sposato due volte,ha avuto due figli, Sibyl e Misha, tuttora viventi.
Solo nel 1965, in occasione della commemorazione del 50° anniversario del genocidio degli armeni, la stampa scopre la sua documentazione fotografica. Il suo ruolo di testimone del genocidio armeno e di difensore dei diritti dei popoli, degli armeni e degli ebrei, è finalmente riconosciuto a livello internazionale.
Nel 1968 viene inseguito del titolo di “Giusto” dallo Yad Vashen in Israele e dall’Ordine di S. Gregorio, a Yerevan, capitale dell’Armenia caucasica, dove una strada porta il suo nome. Qui nel 1996, le sue ceneri sono state tumulate nel muro della memoria, a “Tsitsernakaberd” , la “collina delle rondini”, dove sorge il Monumento al genocidio degli armeni.
Armin T. Wegner è morto a Roma all’età di 92 anni, il 17 maggio del 1978. A Stromboli, sul soffitto della stanza di lavoro della torre sono incise queste parole: “ Ci è stato affidato il compito di lavorare ad un’opera, ma non ci è dato di completarla”.
-------------------------------
Lettera aperta al Presidente degli Stati Uniti d’America
Woodrow Wilson
(BerlinerTageblatt, 23 febbraio 1919)
Signor Presidente;
Non chiuda le orecchie perché è uno sconosciuto che Le parla. Nel Suo messaggio al Congresso l’8 gennaio dell’anno scorso lei ha presentato la richiesta della liberazione di tutti i popoli non- turchi dell’impero Ottomano.
A questi appartiene senza dubbio anche il popolo armeno. E’ di questa nazione che io Le parlo.
Come uno dei pochi europei che ha visto con i propri occhi la sua terribile rovina dall’inizio nelle fiorenti città e nei fertili campi dell’Anatolia fino all’ annientamento dei loro misteri resti sulle rive dell’Eufrate e nelle solitudini del deserto sassoso della Mesopotamica, oso attribuirmi il diritto di portare alla Sua attenzione quelle immagini di miseria e terrore che per quasi due anni mi sono passate davanti agli occhi e che più non dimenticherò.
Faccio questo nel momento in cui i governi con Lei alleati si apprestano ad iniziare le trattative di pace a Parigi che decideranno il destino del mondo per molti decenni.
Ma il popolo armeno è solo un piccolo popolo fra i tanti; le trattative riguarderanno il futuro di stati più grandi e più gloriosi. E’ perciò probabile che l’importanza di una piccola nazione già indebolita fino all’estremo non venga riconosciuta o venga accantonata per la preminenza degli obiettivi egoistici e di potere delle grandi nazioni europee e si ripeterà cosi per gli Armeni lo stesso dramma della noncuranza e della dimenticanza che cosi spesso è loro toccato nel corso della storia.
Ciò sarebbe tuttavia veramente deplorevole: perché a nessun popolo della terra è mai toccata un’ingiustizia quale quella toccata agli Armeni. E’ un problema della cristianità, è un problema di tutta l’umanità.
Il popolo armeno come tale non ha partecipato a questa campagna militare, non gli è stata nemmeno data la possibilità di inserirsi attivamente. E’ stato una vittima di questa guerra.
Quando il governo turco nella primavera del 1915 passò all’esecuzione del suo inconcepibile piano di sterminio e eliminazione di due milioni di Armeni dalla faccia della terra, le mani dei loro fratelli europei di francia, Inghilterra e Germania erano bagnate dal sangue che essi – nella fatale cecità del loro fraintendimento – avevano versato a fiumi, e nessuno aveva impedito ai truci dittatori della Turchia di portare a termine le loro atroci torture, paragonabili solo a quelle che un delinquente pazzo potrebbe concepire.
--------------------------
TULIA ZEVI
Vice Presidente della Federazione delle Comunità Ebraiche d’Europa.
Intervento alla Tavola rotonda “ XX secolo: Genocidio e Genocidi”
Palazzo Valentini, Roma, 3 maggio 2000
Sig. Ambasciatore, cari amici,
Io penso che a questa riunione non potesse mancare una voce e una testimonianza ebraica e sono grata agli organizzatori per avere dato a me l’onore di essere questa voce.
Io non ho dei meriti particolari se non quella di una lunga testimonianza e un lungo impegno. Un padre provvido e antifascista, aveva portato nel ‘38 in salvo i suoi quattro figli negli Stati Uniti. Immediatamente dopo la fine della guerra io sentii un impulso irrinunciabile a tornare in Europa e feci ritorno come giovanissima giornalista alle prime armi in una nave trasporto truppe.
I miei compagni di viaggio erano i membri superstiti della famiglia Rosselli: La madre di Carlo e Nello, Le vedove, i figli. Quindi già questo ritorno era per me un impegno e direi anche un segnale, un segnale da che parte si dovesse stare e che si dovesse fare. Era necessario avere una credenziale per tornare in Europa subito dopo la fine della guerra, ed io ebbi l’incarico di venire come giornalista da una agenzia americana religiosa, che si chiamava Religious News, ed era una agenzia che rappresentava tutte le religioni e si occupava di tutte le comunità religiose.
Il mio battesimo del fuoco giornalista fu il processo di Norimberga, quindi mi trovai per destino e forse per vocazione, legata a questa tema tragico del genocidio. La cosa che mi colpi già allora fu quella di cui ha parlato prima l’On. Pagliarini,cioè che si svolgeva un vero dramma in quell’aula, c’erano i massimi responsabili del nazismo chiamati in causa.
Si è anche parlato del difetto del processo di Norimberga, il difetto di essere in un tribunale dei vincitori e non un tribunale internazionale, quel tribunale nazionale contro i crimini contro l’umanità ella cui necessità siamo tutti consapevoli e di cui processo dell’Aia ( specialmente perché è pubblico ministero Carla Del Ponte), è quasi un’ apertura perché già si incominciano ad individuare dai sia pur modesti risultati che sta avendo, anche importanti significati, e si capisce ancora di più necessità che questo tipo di tribunale non sia un tribunale di vincitori, ma un tribunale internazionale e che abbia vita, perché dobbiamo difenderci dai pericoli che ci circondano.
Ora la cosa che mi colpi, più che la dramma che si svolgeva nell’aula, era quello che succedeva fuori. C’era una parola per definire l’atteggiamento, mentre si svolgeva un dramma che coinvolgeva l’intero popolo tedesco:l’indifferenza. Io penso che è l’indifferenza il nemico vero della necessità di perpetuare la memoria. Io penso che questo secolo, il XX secolo, che è stato chiamato il secolo
terribile, il secolo dei genocidi, comincia i suoi orrori veramente dal genocidio degli armeni; non ci si può dissociare, non si può ignorare, si deve affermare la necessità di ricordare il genocidio degli armeni come parte integrante di quel tratto della realtà e della storia europea. E che se la memoria di questi fatti non viene trasmessa, non viene mantenuta, se si permette all’oblio di stendere le sue ali grigie su questi orrori, c’è il pericolo che si stanno consumando anche adesso, diventino dei fatti storici, insomma che lentamente diventino qualcosa come le guerre e trasmettere la necessità di ricordare il genocidio.
Io parlo spesso nelle scuole e qualche volta mi accorgo che se io parlo solo della Shoah, del genocidio degli ebrei, ad un certo punto l’attenzione cade, ma quando io comincio a dire: guardate che quello che è successo ( e io non parlo solo del genocidio degli ebrei; parlando della Shoah io penso sempre che si debba dire che nella Shoah, nel genocidio, ci sono gli antifascisti, ci sono gli omosessuali, una strage ben più ampia, l’attenzione aumenta.
Certo le cifre parlano della rilevanza dello sterminio ebraico però è necessario che si parli in generale di un pericolo che si sta trasmettendo perchè se noi analizziamo quello che si chiama pulizia etnica con un eufemismo direi indecente, pulizia etnica, vediamo che è parente prossimo di quello che si chiamò con un altro eufemismo sinistro: la soluzione finale del problema ebraico.
Ecco, il problema è trasmettere questa memoria e presentare il genocidio come una minaccia permanente che può colpire tanti popoli e questo sta succedendo, perché non solo nella vicina Iugoslavia, è sempre lo stesso meccanismo perverso: una maggioranza che elimina una minoranza o per regioni di relpolitik, ma anche per la necessità perversa e errata di sentirsi più forti, più identificati eliminando le diversità. In un mondo che si va globalizzando, in società che diventano sempre più multietniche e multiculturali non è possibile continuare a consentire a questo veleno di perpetuarsi.
Quindi noi abbiamo ( l’On. Pagliarini parlava prima della necessità di riuscire a includere la tragedia del genocidio degli armeni) il dovere di ascoltare altri genocidi del secolo, e di questo sono assolutamente convinta anch’io; penso che si debba pensare alle nuove generazioni. E’ una cosa che io ho già proposto, spero che si riesca a fare: non basta convocare e fare una riunione di ministri degli esteri e di presidenti del consiglio, io penso che si debbano convocare i ministri dell’educazione, perché io penso che si debba stendere una politica dell’educazione intorno alla consapevolezza del genocidio, e questo lo sento fortissimo.
Io proprio mi identifico con l’ossessione che attanagliava Primo levi gli ultimi anni della sua vita: è una ossessione che si trova presente in uno scritto che non fu mai pubblicato in vita ed un discorso che Primo Levi avrebbe dovuto pronunciare a un congresso dell’Unione della comunità ebraiche italiane; e questo discorso era sul tema dell’oblio.
Lui parlava di Auschwitz, della sua esperienza: se questo dovesse essere dimenticato, se vinceranno le voci che vogliono ignorare, coprire di fango, coprire di terra, 10, 100, 1000 Auschwitz saranno ancora possibili.
Non so se si debba essere cosi apocalittici come la disperazione di Primo Levi suggeriva, ma certamente il pericolo esiste, e l’unica arma di difesa è lottare contro l’oblio e trasmettere alla memoria, non edulcorata.
Io sono contraria alla “vita è bella”, perché non credo che si debba e si possa raccontare il genocidio in un film in cui il bambino assurdamente nascosto da un padre ebreo nella sua baracca, vada a fare la merenda con i nazisti. Io mi rifiuto di trasmettere la memoria di un genocidio con questi edulcoranti che piacciono tanto, anche agli ebrei, proprio perché sono edulcoranti. Non c’è edulcorazione dell’orrore, bisogna saperlo spiegare, bisogna guidare i giovani lungo il cammino perché possono immedesimarsi in queste cose senza essere traumatizzati. Ma la verità deve essere trasmessa nel suo orrore cosi come sta.
Bisogna trovare le parole per dirlo, ma questo secondo me è una responsabilità di tutti quelli che veramente vogliamo tentare che questo non si ripeta.
C’è una preghiera che gli ebrei pronunciano la mattina e la sera e in questa preghiera si chiama l’uomo a operare per il Tikun Haulan che è la guarigione del mondo. Bene. Se questo mondo è guaribile dai suoi errori, penso che sia necessaria anche la trasmissione della memoria degli errori di cui è stata capace l’umanità nel secolo terribile che noi abbiamo attraversato; io penso che la guarigione del mondo può e deve passare anche dal ricordo di questi orrori che abbiamo vissuto.
-------------------------------
Anna Maria Samuelli
Tra memoria e storia
La tragedia del popolo armeno
“ memoria e storia”-scrive Pierre Nora- “lungi dall’essere sinonimi, sono in realtà concetti opposti. La memoria è vita, è momento costante della vita ….E’ soggetta alla dialettica del ricordo e dell’amnesia…., rimane latente per molto tempo, poi all’improvviso rivive”. Come raccordare memoria e storia, se la storia ha a che fare con il relativo, con quelle che sono state definite certezze disincarnate, e quindi ripetibili, mentre la memoria ha a che da fare con l’assoluto, con l’assoluta irripetibilità e soggettività delle esperienze?
L’oblio è sceso sulla tragedia del popolo armeno, vittima di un genocidio, dimenticato e negato. Allontanarsi da un passato di dolore, non sognare più la terra perduta, vuota d’umanità, guardare al futuro, è l’aspirazione di ogni armeno in diaspora. Ma la memoria appartiene in modo indissolubile al nostro presente e ci costringe a guardare dentro la storia per dare un senso al dolore e aprire la strada al cambiamento.
Alle spalle di ogni armeno vi è il primo genocidio del ventesimo secolo: il termine ha arricchito il vocabolario giuridico del novecento a partire dalla tragedia della Shoah e segnala con forza la radicalità dell’evento: crimine contro l’umanità, sterminio collettivo pianificato e preparato da un Stato, deportazione di un intero popolo, uomini, donne, vecchi, bambini. Destinazione: il nulla. Ad esso ne sono seguiti altri, in un crescendo di violenza e orrore che ha obbligato tutti a un nuovo rapporto con la storia e con la modalità I sopravissuti, esuli, dispersi, in diaspora cercano di ricompattarsi, di ricostruirsi in comunità culturale, di riconquistare tradizioni e valori.
Seguire la vicissitudini delle genti armene non è facile. Il nucleo originario è costituito da uno stanziamento di popolazioni indoeuropee, risalente a 1000 anni prima di Cristo, sul territorio dell’Anatolia orientale ( attuale Turchia) Verso il lago Van e l’area subcaucasica (laghi Sevan e Urmià ).
Il massimo splendore è stato raggiunto tra il 95 e il 55 a.C., con l’impero di Tigran il Grande, ma in seguito gli armeni si ritagliarono una faticosa indipendenza tra i persiani, parti,medi, romani, bizantini, arabi, mongoli, fino al XIV- XV secolo, epoca in cui i turchi ottomani conquistarono le zone orientali dell’Armenia sino al Caucaso, ponendo fino ad ogni autonomia. Gli armeni diventeranno sudditi leali ( myllet sadiqa, nazione fedele) all’impero Ottomano.
Elemento essenziale dell’autocoscienza etnica degli armeni e del loro anelito verso l’occidente è il cristianesimo, dichiarato religione di Stato nel 301 e poi sviluppatosi in maniera autocefala rispetto al cattolicesimo romano ( introdotto nell’ Armenia storica dai missionari cattolica partire dal XII secolo, ma con una minore forza di penetrazione data la presenza del cristianesimo delle origini), mentre l’identità culturale, già visibile negli splendidi prodotti dell’architettura, è potenziata, dalla lingua scritta, di ceppo l’indoeuropeo, creata da Mestob Mashtoz agli inizi del ’400.
La coesistenza tra armeni e turchi ottomani, che per secoli aveva “tenuto” ( gli armeni , in particolare quelli delle aree urbane, fornivano funzionari, ministri, uomini d’affari legati all’occidente), cominciò ad incrinarsi nella seconda metà dell’800, in concomitanza con le tendenze riformiste fatte proprie da un settore della nazione armena, alimentate dalla Russia e dalle potenze occidentali, intenzionate a spartirsi le spoglie dell’Impero Ottomano in disfacimento, ma giustificate dalle condizioni di asservimento e di ineguaglianza tra musulmani e cristiani, aggravatesi soprattutto nelle aree dell’Armenia storica. A sud-ovest del Caucaso. Per la presenza di curdi nomadi e circassi di recente immigrazione e per l’incuria e la corruzione dei funzionari ottomani.
I pogrom antiarmeni organizzati dal sultano Abdul Hamid II alla fine dell’800 e agli inizi del ‘900 costituiscono le battute iniziali di un dramma che raggiunse il suo culmine il 24 aprile del 1915, data di inizio del “genocidio armeno”. L’ordine di deportazione fu impartito dal governo dei Giovani Turchi, espressione politica di quel nazionalismo esasperato che sull’onda delle passioni collettive dei primi anni del ‘900 aveva portato alcuni ufficiali progressisti ad abbattere il sultano e a progettare la modernizzazione del paese all’insegna degli ideali del panturchismo.
Un governo rivoluzionario, i cui esponenti avevano fraternizzato pochi anni prima con i rivoluzionari armeni a Parigi e che ora, trascinato il paese nella prima guerra mondiale a fianco della Germania e dell’Austria - Ungarica , organizzavano la liquidazione della questione armena: alla base l’idea di costruire un paese etnicamente puro. Disarmati ed eliminati i soldati di origine armena che presentava servizio nell’esercito turco, per timore che tradissero la causa turca schierandosi a fianco dell’impero russo, a, arrestati re uccisi i notabili di Istanbul, eliminata l’intellighenzia armena nel resto del paese, fu dato il via alla deportazione delle comunità armene su tutto il territorio verso il deserto mesopotamico, verso il nulla. Furono uccisi dalla fame, dai maltrattamenti dei tchetè dell’Organizzazione Speciale, dagli attacchi delle bande curde, dalle epidemie, rinchiusi in caverne e bruciati vivi, tra violenze inaudite (impiccagioni, crocifissioni, decapitazioni, annegamenti), e tutto ciò sulla strada della deportazione, con percorsi stabiliti, con tappe prescritte via telegrafo, e con l’aiuto di consiglieri tedeschi.
Un milione e mezzo di vittime, cinquecentomila profughi: gli armeni scomparvero dall’Anatolia e con essi le loro città, le loro chiese , le scuole, le biblioteche, i conventi- università, la loro millenaria cultura. I sopravvissuti si rifugiarono all’estero, alcuni furono aiutati dalla popolazione araba della Siria, altri trovarono asilo a nord-est ,nelle regioni subcaucasiche sotto il dominio russo.
Perché è accaduto ciò? Le risposte al lavoro dello storico che indaga dentro la modernità, i meccanismi del potere e del consenso, i progetti di rinnovamento e di rigenerazione, le illusioni del nazionalismo: certo il primo genocidio del XX secolo non può essere considerato né una risposta alle provocazioni armene, né una necessità dettata dalla situazione di guerra. E’ stato progettato, voluto e organizzato come tappa della realizzazione della nazione turca ad omogeneità etnica. E insieme è stata progettata la sua negazione.
La gente armena chiama il proprio paese Karastan, “terra di pietre”. Il paese delle pietre urlanti, scriveva Osip Mandel ‘stam un paese dove il bene se ne è andato, distrutto dalla violenza della storia, cui si aggiunge la violenza della sua negazione, che condanna le comunità e i singoli alla solitudine, alla “disunione con tutto l’avvenire”.
Appartenere ad una comunità in diaspora significa portare il peso della memoria, avere a che fare con questioni di vita e di morte. Nel passato dei sopravvissuti ci sono decapitazioni e crocifissioni, immagini di violenze efferate. Hanno cercato di rimuoverle, di cancellarle, l’oblio è sceso sulla loro storia, non nella loro anima.
Come dissolvere l’ombra dell’oblio? Con una ricognizione nel territorio della memoria che cerca la saldatura tra le generazioni, che consente di conquistare un concetto più vasto di patria, non quella dei padri, ma quella degli esseri umani.
Non è compito esclusivo degli storici pensare le tragedie della storia, cosi come i musei non possono essere i soli depositari della memoria. Ciascuno di noi è chiamato a riflettere su quelle che sono state definite “rotture di civiltà”, i genocidi e i crimini contro l’umanità di cui è costellato il XX secolo. Se la memoria non è un antidoto, è senz’altro un dovere. Troppe volte siano tentati di distogliere lo sguardo dal volto delle vittime, incapaci di recepire tragedie troppo grandi. Ma la verità della sofferenza, in ogni tempo e in ogni luogo, ci chiama in causa, ci fa scoprire la categoria della responsabilità, la differenza tra valori proclamati e valori vissuti, ci porta a rinnovare il nostro impegno nel presente. E questo può essere un modo di risarcire le vittime.
Assumersi l’onere della memoria significa assumersi anche l’onere della verità storica o, quantomeno, della tensione alla verità. In questo senso nonostante tutte le differenze, la storia e la memoria hanno un terreno comune.
---------------------
Il primo genocidio moderno: il massacro degli Armeni in Turchia
(1915)
Il termine genocidio è stato coniato nel 1944 dal giurista R. Lenkin ( “ Axis Rule in Occupied Europe” , Washington, Carnegie Endowment for international Peace, 1944), consigliere del Ministro degli Esteri degli U.S.A e successivamente fatto proprio dalla Convenzione dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite. La formulazione di questo concetto, all’interno del Diritto Internazionale, permette di sottrarre la materia all’arbitrio dei singoli stati. Esso implica: un elemento materiale ( uno o più atti criminali), un elemento morale (intenzione di distruggere una parte o tutto un gruppo in quanto tale), un destinatario particolare ( un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso). In questa definizione si mette in risalto non tanto la volontà omicida in sé, quanto quella di eliminare una cultura “ diversa” .
Se è vero che l’unità di lingua, religione, tradizioni e cultura sono elementi essenziali per la definizione di una nazione, com’è stato a lungo sostenuto, allora il popolo armeno può essere considerato una nazione più a buon diritto di molte delle più antiche nazioni europee. L’unità linguistica, culturale e religiosa degli armeni ( la cui Chiesa si scrisse nel 491 dal cattolicesimo, rifiutando di aderire al dogma della duplice natura del Cristo) è rimasta intatta attraverso i secoli di dominazione straniera la vicenda del popolo armeno può essere vista come un intreccio tra la storia di molti altri popoli della regione soggetti ad oppressione straniera e la peculiare storia del popolo ebraico. Con tante altre nazioni oppresse gli armeni hanno in comune la perdurante permanenza della maggioranza del proprio popolo su un territorio del quale costituiscono la popolazione predominante, e una forte tradizione di indipendentismo politico. Con gli ebrei hanno in comune la diaspora di una parte consistente del loro popolo, e il suo inserimento nelle economie di molti paesi come commercianti, figura isolate e per certi aspetti emarginate, ma tutt’altro che prive di ricchezze e di potere; agli ebrei li accomuna anche un passato di persecuzioni. La storia moderna del nazionalismo armeno ha inizio intorno alla metà dell’Ottocento. Nella parte del paese sottoposta a dominio ottomano vi furono rivolte di massa, represse sanguinosamente, ma che servirono se non altro a far conoscere agli paesi il nazionalismo armeno.
Negli anni successivi nascevano numerosi gruppi e partiti, influenzati in parte dal nazionalismo europeo ( tra questi, di gran lunga i più influenti erano Dashnak, un’organizzazione segreta che si potrebbe per alcuni versi paragonare ai movimenti mazziniani) e in parte ai gruppi e movimenti socialisti che contemporaneamente sorgevano nell’impero zarista. Intensa era la circolazione di uomini e idee tra le due parti della terra armena, divise dal confine tra l’impero ottomano e quello russo: gli armeni sottoposti al dominio zarista godevano ( se non altro per la comune fede cristiana ) di una situazione comunque meno oppressiva, per cui molti erano coloro che dall’area soggetta ai turchi si trasferivano in quella dominata dalla Russia. Nel 1878 la pace di Santo Stefano, che poneva termine alla guerra russo- turca, prevedeva tra le sue clausole la libertà per gli armeni di Turchia: in sede diplomatica l’impero russo divenne l loro difensore ufficiale, probabilmente nell’interno di annettersi l’intero paese armeno una volta ottenutane la separazione dall’impero ottomano.
A partire dal 1895 si verificavano i primi pogrom, voluti dal vertice dell’impero ottomano ( pare provata la diretta responsabilità del sultano) ed attuati soprattutto dai curdi, altro gruppo etnico della regione, storicamente ostile agli armeni Nel 1896 un’imponente azione terroristica dei Dashnak, l’assalto alla banca ottomana, serviva come pretesto per una nuova ondata di pogrom: era cominciata la spirale “massacri da parte dei turchi, reazione terroristica degli armeni”, spirale che avrebbe portato ancora ad altre stragi. Con il mutamento al vertice di Istanbul, in seguito alla rivolta dei “Giovani Turchi” sembrava che il periodo dei grandi pogrom fosse finito e che potesse avere inizio, per gli armeni sotto dominio turco, una fase di convivenza relativamente pacifica. Fu la guerra mondiale a mutare radicalmente e bruscamente il quadro, e a trasformare quella che era stata una serie di pogrom locali e sporadici in uno sterminio pianificato e sistematico. Con l’ingresso in guerra dell’impero ottomano al fianco della potenza centrali, l’Armenia diveniva un’area “calda” dal punto di vista militare, tanto più che l’impero zarista non nascondeva la propria intenzione di annettersi l’intero territorio armeno, come parte di quella spartizione dell’impero ottomano che era uno degli obiettivi delle potenze dell’intesa. L’ondata di nazionalismo esasperato che in Turchia accompagnò l’entrata in guerra si impadronì anche dei “giovani turchi” .
Lo sterminio degli armeni ebbe inizio nei giorni immediatamente successivi alla vittoria turca di Sakiramisch: il timore di ulteriori avanzate russe, e di un possibile passaggio in massa degli armeni, al loro fianco, si congiunse con gli antichi pregiudizi determinando la decisione del governo turco di sterminare l’intera popolazione armena. La città armena di Van fu circondata dalle truppe turche, col pretesto di impedire una rivolta, segui un’insurrezione della popolazione conclusasi con l’arrivo in città dell’esercito russo vittorioso. La “rivolta” di Van fu il pretesto finale per il massacro. In tutta l’armenia rimasta sotto il dominio turco si procedé, dapprima, alla deportazione dei maschi adulti, chiamati a prestare servizio militare e poi passati per le armi; ebbe poi inizio una violenza razzia nei villaggi, colpendo indiscriminatamente tutta la popolazione; infine i superstiti furono costretti ad una terribile marcia verso il deserto di Deir Zor, durante la quale moltissimi persero la vita.
Circa tre anni dopo, approfittando della crisi contemporanea dell’impero ottomano e della Russia sovietica, gli armeni sarebbero riusciti, per la prima volta in quasi un millennio, a costruire un proprio stato indipendente, la repubblica armena, riconosciuta anche dal trattato di Sèvres del gennaio 1920 turchi e russi avrebbero proceduto ad una nuova spartizione. Il fatto che gli armeni dell’unione sovietica abbiano goduto da allora di autonomia (il nuovo stato socialista proseguiva in questo la politica di amicizia e benevolenza che era stata tipica dello varismo) non ha risolto la questione nazionale armena: essa resta una delle più complesse e spinose di quell’area.
P. Ortoleva, M. Revelli, Storia dell’Età Contemporanea, Ed scolastiche Bruno Mondatori ( per gentile concessione)
----------------------------
Riconoscimenti nel mondo
del Genocidio del Popolo Armeno
Dichiarazione Congiunta dei Governi Alleati (1915)
Senato degli stati Uniti d’America ( 1916, 1920)
Tribunale militare di Turchia (1919)
Trattato di Sevres (1920)
Corte Criminale, Berlino (1921)
Commissione per i Crimini di guerra dell’ONU (1948)
Camera dei Rappresentanti dell’Uruguay (1965)
Senato dell’Uruguay (1965)
Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti d’America (1975, 1984, 1996)
Assemblea mondiale del Consiglio delle Chiese (1979, 1983, 1989,1995)
Assemblea nazionale del Quebec, Canada (1980,1993, 1995)
Parlamento d’Ontario, Canada (1980)
Corte di Giustizia, Ginevra (!981)
Parlamento di Cipro (1982, 1983, 1990, 1995)
Tribunale Permanente dei Popoli, Parigi (1984)
Sottocommissione per i Diritti dell’Uomo dell’ONU (1985, 1986)
Parlamento Europeo (1987, 2000, 2002)
Parlamento d’Argentina (1983 )
Corte di Giustizia, Parigi(1995)
Duma della Federazione Russa (1995)
Parlamento di Bulgaria (1995)
Parlamento di Grecia (1996)
Camera dei Comuni di Canada (1996)
Parlamento di Libano (1997, 2000)
Parlamento di New South Wales, Australia (1997)
Lega dei Diritti dell’Uomo, Parigi 8!998)
Senato del Belgio (1998)
Assemblea Nazionale di Francia (1998, 2000)
Consiglio dell’assemblea Parlamentare Europea (1998, 2001)
Palamento di Svezia (2000)
Senato di francia (2000)
Vaticano (2000, 2001)
Camera dei deputati d’Italia (2000)
Legge Francese (2001)
Senato di Canada (2002)
27 Stati degli Stati Uniti d’America:
Alaska (1990), Arizona (1990), Arkansas (2000), California(1990,1994, 1995, 1996, 1997, 1998, 1999, 2000, 2001), Colorado (1981), 1986, 1987, 1990), Connecticut (1990,2001), Florida (!990), Georgia (1999), Illinois (1990, 1999, 2000), Maine (2000, 2001), Maryland (1987, 1990, 2001),
Massachusetts (1986, 1990), Michigan (1986,1990, 1999, 2001, 2002), Minnesota (2001), Nevada (1990), New Hampshire (1990, 2001), New Jersey (1975, 1986, 1990), New Mexico (2001), New York (1975, 1986, 1987, 1999, 2000, 2001), Oklahoma 8 1990), Oregan (1990, 1996, 1997, 1998, 1999, 2000, 2001), South Carolina (1999), Virginia (1999, 2000, 2001), Washington (1990), Wisconsin (1990, 2000, 2002).
18 Comuni degli Stati Uniti d’America:
Albuquerque (1982), Charlotte, North Carolina (2000), Fresno, California (1999, 2001), Garden City, Michigan (1990), Glendale, California (2000, 2001), Memphis, Tenesse (1990), Minnepolis, Minnesota (2001), Philadelphia, Pennsylvania (1989), City of Saint Paul, Minnesota (2001), City of Waukegan Illinois (1990), Caunty of los Angeles, california (2001), Mecklenburg County, North Carolina (1997, 2000), New york City (1999), San fransisco (1999), Santa Clara County, California (1999), Town of Brookline Massachusetts (2001), Town of Matthews, North Carolina (2000), Ville de Montrealb (1997)
18 Comuni di Francia
------------------------------
Segue i Riconoscimenti in Italia
Riconoscimenti in Italia
Del Genocidio del Popolo Armeno
COMUNE PROVINCIA DATA
1- Camponogara Venezia 05.06.1997
2- Bagnacavallo Ravenna 17.07.1997
3- Russi Ravenna 08.09.1997
4- Fusignano Ravenna 20.09.1997
5- Montoroso Vicentino Vicenza 30.09.1997
6- Monteforte d’Alpi Varese 27.10.1997
7- Padova 27.10.1997
8- S.Agata sul Santerno Ravenna 28.10.1997
9- Sanguinetto Varese 29.10.1997
10-Coselice Ravenna 15.11.1997
11-Cotignola Ravenna 17.11.1997
12-Asiago Vicenza 20.11.1997
13-Luogo Ravenna 20.11.1997
14-S.Stino di livenza Venezia 22.11.1997
15-Milano 24.11.1997
16-Ponte di Piave Treviso 26.11.1997
17-Villafranca Padovana Padova 27.11.1997
18-Solarolo Ravenna 28.11.1997
19-Parma 22.12.1997
20-Faenza Ravenna 04.02.1998
21-Imola Bologna 23.03.1998
22-Venezia 30.03.1998
23-Feltre Belluno 11.05.1998
24-Ravenna 19.05.1998
25-ANCI 17.06.1998
26-Firenze 06.07.1998
27-Castelsilano Crotone 14.09.1998
28-Thiene Vicenza 24.09.1998
29-Genoa 12.10.1998
30-Comunità Montana Feltrino Belluno 28.04.1999
31-Massa Lombarda Ravenna 28.09.1999
32-Roma 06.03.2000
33-Belluno 27.03.2000
34-Salgareda Treviso 17.04.2000
35-Sesto S.Giovanni Milano 19.05.2000
36-Camera dei Deputati 17.11.2000
37-Mira Venezia 05.12.2001
38-Udine 26.02.2001
39-Bertiolo Udine 24.04.2001
40-XX Municipio di Roma 06.06.2001
41-Provincia di Roma 16.06.2001
42-Bergamo 22.10.2001
43-Regione Lombardia 20.10.2004
----------------------------
Bibliografia essenziale
Collana “carte armene” di Guerini
AA.VV.,” Armin T. Wegner e gli armeni in Anatolia, 1915. Immagini e testimonianze” (catalogo della Mostra con le fotografie di Wegner), Guerini, milano, 1996
F. Amabile, M. Tosati, “ La vera Storia del Mussa Dagh”, Guerini, Mi, 2003
A.Arslan, L. Pisanello, “Husher, Voci italiane di sopravvissuti armeni”, Guerini, Mi, 2000
A. Bakunts “ Racconti dal silenzio” Guerini, milano, 2002
D. Dedeyan ( a cura di ): “ Storia degli armeni”, Guerini, Milano, 2002
A. Ferrerai: “ Le guerre di David Beck”, Guerini, Milano, 1997
M. Impagliazzo, “ Una finestra sul massacro”, Guerini, Milano, 2000
C. Mutafian: “ Metz Yeghern, breve storia del genocidio degli armeni”, Guerini Mi, 1997
P. Kuciukian: “Le terre di Nairi, Viaggio in armenia”, Guerini Mi, 1994
P. Kuciukian: “Viaggio tra i cristiani d’oriente”, Guerini Mi, 1997
P. Kuciukian: “Dispers, Viaggio fra le comunità armene nel mondo”, Guerini Mi, 1998
P. Kuciukian: “voci nel deserto. Giusti e testimoni per gli armeni ”, Guerini Mi, 2000
A. Ricardi: “Mediterraneo” ( archivi vaticani sul genocidio) Guerini, Mi, 1997
D. Varujan: “Il canto del pane” (poesie), Guerini, Mi, 1992, a cura di A. Arslan
B.L. Zekiyan: “L’Armenia e gli armeni”, Guerini, Mi, 2000
Storia, altri editori
R. Gianikian, Khodorciur, Editrice Armena, S. Lazzaro, Venezia, 1992
S. Manoukian, Herman Vahramian, “Gharabagh. Documenti”, OEMME, Mi,1998
M. Petrucioli, “L’Italia in Asia Minore, equilibrio mediterraneo e ambizioni imperialistiche alla vigilia della prima guerra mondiale, Sansoni, Firenze, 1983
F. Sidari, “La questione armena nella politica delle grandi potenze”, CEDAM Padova, 1992
Yves Ternon, “Lo Stato criminal. I genocidi del XX secolo”, Corbaccio, 1997
---
Spiritualità armena
AA.VV. “Armenia, una cristianità al bivio”, Cens, Mi, 1998
Karekin I ( Patriarca della Chiesa armena), “L’identità della chiesa armena”, EDB, Bologna,1998
Karekin I “Che cos’è la felicità” Guerini, 2002
B.L.Zekiyan, “La spiritualità armena”, Studium, Roma,1999
Racconti e romanzi
F. Amabile, M. Tosati, “I baroni di Aleppo”, Gamberetti, Roma, 1998
E. Hinselrath, “La fiaba dell’ultimo pensiero”, Rizzoli, Milano,1991
A. Hermet, “La Venezia degli armeni. Sedici secoli fra storia e leggenda”, Mursia, Mi, 1993
D. Kherdian, “Lontano da casa”, mondatori, milano,1997
V. Katcha, “Il pugnale nel giardino”, Sonzogno, Milano, 1982
H. Mandel’stam, Viaggio in armenia, Adelphi, Milano 1988
W. Saroyan, “Il Mio nome è Aram”, Mondatori, Milano 1963
W. Saroyan, “La commedia umana”, Mondatori, Milano 1965
B. Sivazliyan, “La leggenda del popolo armeno”, Arcana, Milano, 1988
D.M. Thomas, “Ararat”, Frassinelli, Milano, 1984
F. Werfel, “I quaranta giorni del Mussa Dagh”, Corbaccio, Milano, 2000
Arte, Architettura, Cultura armena
A cura di Agopik e Armen Manoukian, “Documenti di architettura armena”, Politecnico di Milano, Ed. Ares, Voll.1969- 1985, Ed. OEMME, voll. 1986- 1998
P. Cuneo, “Architettura armena”, De Luca, Roma, 1988
AA. VV. “ Gli Armeni”, Jaca Book, Milano,1996
Cineasti armeni in patria e nella diaspora
H. Bek’ Nazarov, “Chor Ev Chorchor ,1926
Kh. Abrahamian, a Hayrapetian, “I fratelli saroyan”, 1968
S. Paradjanov, “Il colore di melograno”, 1969
Ye Chubar, A. Martirossian, “I diplomatici messicani”, 1931
Mkrtchian, “Il canto dei giorni passati”
Elia Kazan, “Fonte del porto” 1954
H. Malian, “Noi siamo le nostre montagne” 1969
Hovhannissian, “Hndzan” 1976
R. Guediguian, “Marius et Janette”, 1997
A. Egoyan, “Il viaggio di Felicia” ,1999 e “Ararat, il Monte dell’Arca”, ( dedicata alle vicende del popolo armeno)
N.B. Saranno pubblicati l’opera di Armin Theophil Wegner
•Lettere dalla Mesoptamia
•Le fotografie sono già pubblicati
•Lettera aperta al Cancelliere del Reich Adolf Hitler
•Il testamento spirituale di Armin T. Wegner
Das Gute Licht
Pari Luis
•Congedo da me stesso (1970)
,
V.V
|
|
|
|
|