|
|
Zatik
consiglia: |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Iniziativa
Culturale: |
|
|
|
|
|
06 08 14 - I NEOCONS CORTEGGIANO LA TURCHIA ISLAMISTA
|
I NEOCONS CORTEGGIANO LA TURCHIA ISLAMISTA 12/8/06
Gli strateghi di Bush jr. in Medio Oriente vorrebbero Ankara a guidare la forza internazionale in Libano. Ma i turchi nicchiano e guardano agli arabi Paola Caridi
Sabato 12 Agosto 2006
Perché mai i neocon americani dovrebbero spingere così tanto per avere i turchi a capo di una ipotetica, ancora vaga forza internazionale di pace da dispiegare
in Libano? La domanda sorge non solo spontanea, ma anche con il suo carico di urgenza, visto che uno dei più importanti (e ascoltati) teorici neocon di una
ricomposizione del Medio Oriente a immagine e somiglianza dell’amministrazione Bush si è lanciato in una aperta, appassionata e totale difesa di Ankara. Ariel Cohen, uno degli studiosi più in vista del think tank neoconservatore per eccellenza, la Heritage Foundation, non ha usato mezzi termini nella sua
richiesta alla Turchia dell’islamista moderato Recep Tayyep Erdogan di guidare la forza multinazionale per il Libano del sud. D’altro canto, la specializzazione di Cohen copre l’area più sensibile del momento, dalla Turchia al Caucaso passando per Israele. E Ankara, nel dossier Libano, è fondamentale per gli equilibri futuri visti con la lente di Washington.
La tesi è che la Turchia sia il ponte tra occidente e oriente, che sia un paese musulmano e dunque rispettato dai libanesi, che sia uno dei pochi paesi ad avere buoni rapporti con Israele. E, in più, i turchi sono i più importanti contributori della Nato, pronti a scendere in campo quando l’Alleanza dell’Atlantico del nord lo richiede. La spiegazione non fa una piega, ma nell’editoriale che ieri campeggiava ull’International Herald Tribune c’è anche molto di sottinteso. O di non detto. Anzitutto, il ruolo della Turchia nella Nato: la posizione neocon è, banale dirlo, in funzione antifrancese. Non solo per diminuire il ruolo autonomo e proprio di Parigi in Medio Oriente e soprattutto nel Libano francofono, ma anche per rendere l’intervento militare internazionale sempre di più come un camouflage per fare finalmente entrare la Nato nel Levante. Primo passo per poter controllare meglio un’area che è ancora più instabile di quando cominciò l’avventura anglo-americana in Iraq, e ancor di più un modo per coinvolgere di nuovo l’Europa nelle scelte di Washington.
Secondo, il ruolo individuale della Turchia sullo scacchiere mediorientale, regionale e anche specificamente arabo. I fatti di questo ultimo anno, dalla vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi passando per l’operazione israeliana Pioggia d’Estate su Gaza e ora per il conflitto tra Tel Aviv e il Libano, hanno modificato non poco l’atteggiamento di Ankara. Che sempre di più ha dovuto fare i conti con una opinione pubblica meno propensa a difendere le relazioni turco-israeliane e sempre più incline a un atteggiamento più severo.
In più, è lo stesso governo Erdogan a volersi conquistare uno spazio proprio nella regione, e a voler stringere rapporti più solidi con i paesi arabi. Due episodi bastano a descrivere la volontà dell’esecutivo retto dall’AKP: la storica visita appena terminata del re saudita Abdullah in Turchia, la prima in quarant’anni, che ha segnato un avvicinamento importante nella geopolitica regionale; e la partecipazione – per la prima volta – della Turchia a una seduta della Lega Araba, forse il mese prossimo, forse anche prima.
Fatti, questi, che assieme alla cancellazione di un accordo con Israele per migliorare i Phantom turchi del valore di 500 milioni di dollari a causa dei bombardamenti di Tel Aviv sul Libano, danno il segno di quanto la politica di Ankara stia cambiando. E di quanto Washington possa essere preoccupata.
La Turchia, per gli Stati Uniti, è sempre stato l’avamposto della cultura atlantica verso oriente. I Corpi di dispiegamento rapido, inviati dalla Turchia in Afghanistan nel quadro dell’impiego Nato, sono per gli Usa un contributo importante. Che l’amministrazione Bush vorrebbe veder utilizzato anche in Libano, vuoi per la loro affidabilità, vuoi perché i turchi dovrebbero (ma il condizionale è stavolta veramente d’obbligo) avere meno problemi a seguire le regole del peaceenforcing. Dunque, come chiedono Stati Uniti e Israele, le unità speciali avrebbero potrebbero essere usate come corpi combattenti, e non solo come osservatori.
Tra la teoria neocon, la richiesta di Erdogan di regole d’ingaggio chiare e di un vero cessate-il-fuoco e la situazione sul terreno, corre però la rabbia del pubblico musulmano di fronte alla tragedia libanese, ai numeri impressionanti di morti, feriti e sfollati. Il governo dell’Akp, di questi tempi, non può fare
orecchie da mercante verso i suoi elettori.
V.V
|
|
|
|
|