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06 10 16 - Robert Guédiguian, Le voyage en Arménie (concorso).
http://www.savethechildren.it/2003/index.asp

DONNE all’attacco, capitolo due. Se la star internazionale Kidman non convince come Diane Arbus, l’antidiva locale Ariane Ascaride colpisce e commuove nei panni dell’armena ormai francesizzata che domina il bel film di suo marito Robert Guédiguian, Le voyage en Arménie (concorso). Lo schema è arciclassico, l’autore di Marius e Jeannette non è certo un cineasta che inventi, anzi qui si diverte pure col cinema di genere, perché no? Ma sa dare come pochi il calore, l’intensità, il senso profondo di un gesto, una lingua o un paesaggio.
Questione di appartenenza , probabilmente. Radicato nella “sua” Marsiglia, che ha raccontato (e reinventato) come nessun altro nel cinema francese, Guédiguian doveva avere una gran voglia di sporcarsi un po’ le mani con la terra dei suoi antenati. Come fa appunto l’intrepida Anne, combattiva cardiologa catapultata a Erevan sulle tracce di un padre malato in fuga.
Sulle prime difatti la dottoressa considera con infastidita benevolenza quegli armeni miti e pittoreschi (quando non sono canaglie come il “businessman” Sarkis). Ma le basterà fare qualche incontro “giusto”, cioè sbagliato, per aprire gli occhi. Perché nel minuscolo ma ribollente calderone armeno si agita di tutto. Rifiuti tossici che avvelenano i bambini. Medici che trafficano in farmaci incrociando lucro e ragioni umanitarie . Un eroe della guerra del Nagorno-Karabakh che si rivela essere un ex gauchiste e rapinatore francese ormai trapiantato in Armenia (il francesissimo Gérard Meylan, che nella vita fa l’infermiere e recita solo per l’amico Guédiguian, ma qui parla prodigiosamente in armeno). E tutto un sottobosco di trafficanti in sapiente equilibrio fra politica e business , traffici e patriottismo.
In questo contesto ingovernabile a un certo punto la piccola dottoressa fa come l’indimenticabile Gloria di Cassavetes: impugna anche lei la pistola e apriti cielo. Nel frattempo però, grazie anche al mal du pays del compatriota, che non sa se tornare con lei o chiederle di restare ma non fa una cosa né l’altra (non siamo in un film americano, che diamine!), nel frattempo però la dottoressa impara perfino qualche parola dell’ostico idioma locale. E insomma riscopre quelle che con espressione logora si direbbero le sue radici sepolte. Riuscendo al contempo, ecco il miracolo, a farle scoprire pure a noi.
Saranno le meravigliose chiesette scampate alla furia del tempo, sarà la maestosa bellezza del Monte Ararat (oggi in Turchia, come il film ci ricorda), sarà che Guédiguian fa tutto in famiglia (la ragazza che balla con gli esuli a Marsiglia, nella prima scena del fim, è proprio la loro figlia), ma alla fine di questo film disinvolto, quasi didattico e insieme toccante, ci sentiamo un po’ armeni anche noi. E francamente non sapremmo fargli complimento migliore.
F.Fer.

V.v

 
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