L'Armenia
Cristiana
(Articolo di Giovanni Ricciardi da www.30giorni.it)
Ricorre
quest’anno il XVII centenario della conversione del regno
armeno al cristianesimo, avvenuta sotto il re Tiridate III nel 301,
data che alcuni storici tendono oggi a spostare al 314-315. La conversione
si deve all’opera di san Gregorio Illuminatore (Grigor Lusaworitch),
missionario formato a Cesarea di Cappadocia e ordinato vescovo dall’esarca
di Cesarea Leonzio. Da lui la Chiesa armena prende anche il nome
di Chiesa gregoriana.
Tuttavia,
secondo un’antica tradizione, l’annuncio cristiano penetrò
in Armenia già dall’età apostolica. Sarebbero
stati gli apostoli Bartolomeo e Taddeo a far risuonare il nome di
Cristo per la prima volta nel Paese, dove avrebbero anche subito
il martirio. La missione di Bartolomeo in Armenia è citata
nel Martirologio romano al 24 agosto. In ogni caso, una presenza
cristiana è attestata in Armenia quasi certamente a partire
dal II secolo.
Comunque sia, lungo il IV secolo, la liturgia armena, non esistendo
un alfabeto per trascrivere l’armeno parlato, fu celebrata
in greco o in siriaco. A un monaco armeno, san Mesrop Mashtots,
si deve, nel 404, l’invenzione di un alfabeto specifico —
e usato ancora oggi per la sola lingua armena — e una prima
traduzione delle Sacre Scritture. Alla sua opera si deve anche la
nascita di una "scuola" di scrittori e traduttori. Quest’evento
segnò l’inizio di una lingua letteraria e di una produzione
scritta che si articolò su due binari: quello delle traduzioni
e quello della produzione originale.
Dopo
la versione della Bibbia, definita "la regina delle traduzioni"
per la bellezza del risultato e l’aderenza all’originale,
questo gruppo di traduttori si mise all’opera per trasferire
in armeno i testi dei Padri, i canoni dei Concili di Nicea ed Efeso
e molti altri testi cristiani.
Il merito che i traduttori si acquistarono con la loro opera si
riflette nella festa dedicata proprio ai "Santi Traduttori"
dell’anno liturgico armeno. Grazie a loro si sono salvate
in traduzione armena alcune opere oggi perdute nella lingua originale,
come il Chronicon di Eusebio di Cesarea.
Il
"Battesimo di Sangue" del 451
Ma l’anno che segna più profondamente la cristianità
armena è il 451. È l’anno del "battesimo
di sangue", il martirio dei Vardanankh, narrato dallo storico
Eghishe nella sua'Storia di Vardan e della guerra armenaË Vardan
Mamikonean, comandante dell’esercito armeno, si ribella nel
451 alla decisione del re persiano Yazdegert II di convertire l’Armenia
al mazdeismo. Vardan e i suoi soldati (chiamati col collettivo Vardanankh
nella lingua armena) in netta inferiorità numerica, vengono
sconfitti, nella battaglia di Avarayr, dopo un’eroica resistenza,
riconosciuta come martirio: "Chi credeva che il cristianesimo
fosse per noi come un abito" aveva detto Vardan alle truppe
prima della battaglia "ora saprà che non potrà
togliercelo come il colore della pelle" (Eghishe, Storia di
Vardan, 5). Nonostante la vittoria, infatti, Yazdegert rinunciò
al suo intento e gli armeni cominciarono una lunga e tenace resistenza
fino a che, nel 485, non conclusero con la Persia il trattato di
Nvarsak col quale ottennero la libertà religiosa e un governatore
armeno, Vahan Mamikonean, nipote dell’illustre condottiero.
Una Chiesa "Precalcedonita"
Il 451 è anche l’anno del Concilio di Calcedonia, il
quarto ecumenico per la cristianità occidentale e orientale,
cui gli armeni non parteciparono e che in seguito, verso la metà
del VI secolo, rigetteranno, dando vita a una Chiesa autocefala.
Il motivo di questa separazione è dibattuto. Si è
parlato di un isolamento del Paese, minacciato allora dalla potenza
persiana — come documenta lo scontro di Avarayr — oppure
di opposizione dottrinale, in base alla quale gli armeni, "monofisiti",
non accolsero la definizione di "una persona in due nature,
indivise e inconfuse" del Concilio. In realtà, si può
dire che gli armeni non vi parteciparono per ragioni di "politica
religiosa" in senso lato, impegnati come furono nei primi secoli
di vita della loro Chiesa a salvaguardare se stessi e la propria
individualità in mezzo a due imperi, Bisanzio a ovest e la
Persia a est, e così come non aderirono a Bisanzio, allo
stesso modo si tennero lontani dalla Chiesa di Persia, mantenendo
una fisionomia distinta da entrambi ed incamminandosi, dopo la rottura
tra il VI e il VII secolo con le altre Chiese caucasiche, su un
percorso individuale.
Per questo la Chiesa armena è annoverata tra quelle "dell’antico
Oriente cristiano", dette anche "precalcedonite"
cioè quelle che accettano soltanto i primi tre Concili ecumenici.
In realtà il carattere monofisita di questa Chiesa è
più nominale che sostanziale.
Giovanni Paolo II ha recentemente riconosciuto che la dottrina cristologica
degli armeni non comporta alcuna confusione delle due nature nell’unica
persona di Gesù Cristo, firmando il 13 dicembre 1996 una
dichiarazione cristologica congiunta con il catholicos di tutti
gli armeni, Karekin I.
La Chiesa armena apostolica
La Chiesa armena apostolica ha al suo vertice il "catholicos
di tutti gli armeni" (catholicos Amenayn Hayotz), che risiede
ad Etchmiadzin, la città santa degli armeni (il nome significa
letteralmente: "È sceso l’Unigenito"), non
lontano da Erevan, capitale dell’odierna Repubblica Armena.
Il catholicos di Etchmiadzin è riconosciuto da tutti gli
armeni come il capo spirituale della loro Chiesa. Tuttavia, nel
1441, gli armeni di Cilicia, in seguito a divisioni interne alla
Chiesa armena, crearono un altro catholicosato, che è oggi
in comunione spirituale con Etchmiadzin ma amministrativamente indipendente.
Esso ebbe sede a Sis, in Cilicia, finché, a causa del genocidio,
la presenza armena in Anatolia fu praticamente annientata. Da allora
il catholicos di Cilicia risiede in Libano, ad Antélias.
Negli ultimi anni i rapporti tra i due catholicosati si sono fatti
più stretti, grazie soprattutto alla figura di Karekin I,
che fu eletto catholicos di tutti gli armeni nel 1995 dopo aver
ricoperto la carica di catholicos di Cilicia.
Oltre ai catholicosati, esistono due patriarcati, dipendenti da
Etchmiadzin: quello di Gerusalemme — d’origine medievale,
che la tradizione pone in rapporto con un’investitura civile
risalente addirittura a Maometto — e quello di Costantinopoli,
fondato nel XVI secolo all’indomani della conquista ottomana.
Il
clero armeno è composto da sacerdoti sposati e celibi. Fino
a pochi decenni fa nella Chiesa armena apostolica vi erano ancora
delle suore. Ora sono quasi del tutto scomparse, mentre ve ne sono
tra gli armeni cattolici, che costiuiscono la comunità cristiana
più numerosa dopo la Chiesa apostolica.
Dal punto di vista liturgico, il rito armeno costituisce un ramo
a sé stante tra i riti orientali, benché legato alla
famiglia antiochena. Pur conservando tratti arcaici, nel corso dei
secoli ha subito influssi gerosolimitani, bizantini e occidentali.
Tra i caratteri più significativi possiamo enumerare: la
celebrazione dell’Eucaristia con il pane azzimo, caso unico
tra tutti i riti orientali, senza derivazione dal mondo latino;
la consacrazione del vino eucaristico senza commistione di acqua;
la celebrazione collettiva del Natale e dell’Epifania il 6
gennaio.
Le
principali feste liturgiche sono cinque: Natale, Pasqua (celebrata
assieme ai cattolici), Trasfigurazione, Assunzione, Esaltazione
della Croce. Le feste dei santi non sono celebrate né di
domenica, riservata al memoriale della Risurrezione, né di
mercoledì o di venerdì, giorni consacrati alla penitenza
e al digiuno. La Chiesa armena venera i santi della Chiesa universale
dei primi cinque secoli, e altri santi solo armeni.
Tra i santi armeni più cari alla memoria della cristianità
occidentale va ricordato san Biagio, vescovo di Sebaste in Armenia,
martirizzato durante la persecuzione di Diocleziano. Di lui si sa
molto poco. Un episodio della sua vita ricordato dalla tradizione,
secondo la quale egli guarì, mentre era in carcere, un ragazzo
che aveva una lisca di pesce conficcata in gola, ha contribuito
a diffondere il suo culto in Occidente come protettore dai mali
della gola.
La Chiesa armena cattolica
Nel
XII secolo, i crociati che andavano in Terra Santa si trovarono
ad attraversare il regno armeno di Cilicia, uno dei rari regni che
gli armeni hanno avuto nel corso della loro storia. Ne nacquero
alleanze e relazioni con l’Occidente, e ciò favorì
i contatti fra la Chiesa latina e quella armena. Nel 1198 tra le
due Chiese fu sancito un accordo che terminò nel 1375 con
la fine del regno, caduto sotto i colpi dei Mamelucchi.
Al Concilio di Firenze, nel 1439, fu promulgato un decreto di riunione,
che non ebbe risultati immediati, tuttavia offrì in seguito
la base per la formazione della Chiesa armena cattolica.
L’attività missionaria cattolica fra gli armeni fu
iniziata dai Fratres unitores, comunità armena non più
esistente, legata ai Domenicani e fondata nel 1320. Gli armeni cattolici
continuarono a diffondersi nei secoli fino a quando, nel 1742, il
papa Benedetto XIV creò una gerarchia armena cattolica eleggendo
un precedente vescovo apostolico, Abraham Ardzivian, a patriarca
degli armeni di Cilicia con sede in Libano, a Bzommar, e poteri
religiosi sugli armeni delle province a sud dell’Impero ottomano.
Questo patriarca prese il nome di Abraham Pietro I, e dopo di lui
tutti i patriarchi cattolici ricevettero come secondo nome quello
di "Pietro", a indicare la loro unione con Roma.
Un’altra tappa decisiva per la costituzione di un clero cattolico
fu la decisione del governo ottomano di organizzare civilmente gli
armeni cattolici, nel 1830, come millet (comunità) separato,
con un proprio arcivescovo residente a Costantinopoli. Successivamente,
quest’arcivescovo fu insignito anche di poteri civili e una
ventina di anni più tardi conglobò, per così
dire, in sé anche la sede patriarcale libanese. A seguito
del genocidio, che non risparmiò i cattolici, dopo che la
comunità di Costantinopoli si fu drasticamente ridotta, un
sinodo armeno cattolico tenutosi a Roma nel 1928 decise di trasferire
nuovamente la sede patriarcale in Libano.
Oggi, tra gli armeni, i cattolici costituiscono circa il dieci per
cento.
Mechitar e i Mechitaristi
Nella laguna veneta sorge un’isola abitata esclusivamente
da monaci armeni cattolici: l’isola di San Lazzaro. Qui, dopo
la concessione ottenuta da parte della Serenissima, approdò
nel 1717 un monaco armeno di nome Mechitar (1676-1749) insieme alla
comunità da lui creata nel 1700 a Costantinopoli e che da
lui prese il nome di Congregazione dei Padri Mechitaristi. Mechitar
trovò qui — Venezia conosceva da secoli una forte presenza
armena — il luogo propizio per fondarvi un monastero e svolgere
la propria missione, che egli volle orientare soprattutto all’innalzamento
culturale e spirituale del suo popolo. Mechitar individuò
nella scuola e nella stampa i mezzi più adatti per procedere
nel suo intento. E in questa direzione egli lavorò incessantemente,
divenendo l’artefice di uno straordinario rinnovamento culturale,
tanto che un famoso storico armeno, il Leo, definì il XVIII
secolo come il secolo dei Mechitaristi.
Per dare alle stampe edizioni di testi armeni, Mechitar inviava
i suoi monaci in Oriente alla ricerca di manoscritti, perché
il testo pubblicato derivasse dalla collazione di fonti diverse,
e fosse per questo il più possibile vicino all’originale.
A San Lazzaro questa ricerca di codici portò alla formazione
di una biblioteca di manoscritti armeni tra le più importanti
del mondo. Tra i frutti dell’attività editoriale di
Mechitar va ricordata la pubblicazione della Bibbia in armeno. Realizzata
nel 1733, sostituì l’edizione precedente, edita ad
Amsterdam nel 1666, che era divenuta introvabile.
Un’altra caratteristica dell’opera di Mechitar fu la
sua dimensione ecumenica: in un momento di attrito fra i sostenitori
dell’unione con Roma e quelli che vi si opponevano, Mechitar
era convinto che non ci fossero ostacoli insormontabili ad una piena
comunione di fede e di carità tra la Chiesa di Roma e quella
armena, senza che questo significasse, per quest’ultima, la
perdita delle proprie tradizioni e del proprio patrimonio linguistico
e culturale.
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