XX
SECOLO: Genocidio - Genocidi
Discorso del Prof. Giuliano Vassalli
in occasione dell'iniziativa "XX Secolo: Genocidio - Genocidi"
(III
PARTE)
Fatta
questa constatazione di fondo, relativa al mutamento radicale dei
canoni di diritto internazionale negli ultimi sessant'anni, passiamo
a qualche sintetica considerazione sul delitto di genocidio, anche
se si tratta di cose ben note a quest'eletto uditorio.
La
parola, coniata dal giurista polacco Raphael Lemkin sin dal 1944,
quando si ebbero le prime certezze sul carattere immane del massacro
e sulle sue chiarissime finalità distruttive, dette luogo
a qualche critica per la singolare composizione di un etimo greco
con uno latino. Si sarebbe dovuto dire, caso mai, genocidio, ma
la parola prescelta era senza dubbio più efficace e fu generalmente
accolta. Non figurò con questo nome tra i capi di imputazione
di Norimberga e di Tokyo, che furono come è noto fondati
sui crimini di guerra, i crimini contro l'umanità (anche
fuori di un contesto bellico) e i crimini contro la pace; ma già
figurava nella ricordata recezione dei Principi di Norimberga (11
dicembre 1946, Assemblea Nazioni Unite) , dove occupava anzi il
primo posto, all'interno degli stessi crimini contro l'umanità
(categoria più vasta, anche se la distinzione non è
sempre facile e piana). Si tratta indubbiamente del peggiore dei
crimini contro l'umanità, e forse proprio a questa sua gravità
incontestabile si deve la sorte che ha collocato il genocidio come
primo oggetto di una convenzione internazionale in queste materie,
sin dal 1948, e che ne ha reso accoglibile l'incriminazione dalle
legislazioni di un così grande numero di Stati.
Tale
Convenzione (che è del 9 dicembre, e cioè del giorno
antecedente a quello della Dichiarazione dei Diritti dell'uomo),
convenzione preparata dal Consiglio economico e sociale dell'ONU,
va al di là del significato lessicale perché include
tutta una serie di atti, non importa se commessi in tempo di guerra
o in tempo di pace, che siano compiuti con 1'intenzione di distruggere,
in tutto o in parte, "un gruppo nazionale, etnico, razziale
o religioso", e che vanno al di là della uccisione o
dell'annientamento.
Con
carattere tassativo, infatti, l'art. 2 elenca:
a) l'uccisione di membri del gruppo (dunque anche di un solo membro),
purché alla base vi sia 1'intenzione distruttiva del gruppo;
b) la causazione di gravi lesioni all'integrità fisica o
mentale di membri del gruppo;
c) l'assoggettamento intenzionale del gruppo a condizioni di vita
tali da provocarne la distruzione fisica totale e parziale: ed è
qui chiaro il riferimento sia ai campi d'internamento, che facilmente
diventano di sterminio o d'annientamento, sia alle deportazioni
distruttive come quelle - famose per stare al tempo del genocidio
armeno, nel deserto mesopotamico di Deir es Zor, in Siria;
d) l'adozione di misure intese a prevenire le nascite all'interno
del gruppo (dunque sterilizzazioni forzate e aborti obbligatori);
e) il trasferimento forzato di bambini da un gruppo a un altro.
L'art.
3 - come ho già ricordato - ha cura di precisare che questi
delitti sussistono anche nei casi di semplice accordo per commetterli,
di ogni forma di concorso, dell'istigazione o del tentativo; mentre
l'art. 4 ribadisce il principio, oramai acquisito sin dall'adozione
dei Principi di Norimberga, della punibilità anche dei governanti
e dei funzionari.
Estremamente
precise sono poi, al riguardo dei crimini di genocidio, le varie
leggi nazionali successive alla Convenzione, tra cui quella italiana
del 9 ottobre 1967, che, pure avendo il torto di essere arrivata
in ritardo rispetto a non poche altre, a quasi vent'anni dall'obbligo
assunto con la Convenzione (adottata - come già detto - nel
1952), è stata messa a punto con indiscutibile attenzione.
Ed infatti, essa prevede, indicando con precisione le relative pene,
tra gli "atti diretti a commettere genocidio" (art. 1)
sia quelli diretti a cagionare lesioni personali sia gli atti diretti
a cagionare la morte o lesioni personali gravissime sia la sottoposizione
delle persone a condizioni di vita tali da determinare la distruzione
fisica, totale o parziale, del gruppo perseguitato per finalità
etniche, nazionali, razziali o religiose; mentre nell'art.2 prevede
il delitto di deportazione a fine di genocidio, nell'art. 4 gli
atti diretti a commettere genocidio mediante limitazione delle nascite,
nell'art. 5 quelli diretti a commetterlo mediante sottrazione di
minori e nell'art. 6 il delitto di imposizione di marchi o segni
distintivi. Molto opportunamente, oltre che per allinearsi alla
concezione inglese e nordamericana della conspiracy, consacrata
del resto nella Convenzione, la legge italiana prevede come delitto
anche il semplice accordo per commettere genocidio pur non seguito
da atti esecutivi, così come prevede la pubblica istigazione
ed apologia di genocidio (art. 8). In certe parti - è stato
notato - la legge italiana è più ampia e severa della
Convenzione del 1948.
E così ben può dirsi che il crimine di genocidio è
tra quelli che hanno trovato maggiore ricezione tra i crimini internazionali
di quel tipo sia per la molteplicità delle leggi nazionali,
sia per l'obbligo internazionale di estradizione (per cui in Italia
si credette di aver bisogno, nel 1967, di una legge costituzionale
che escludeva il delitto di genocidio dai delitti politici), sia
perché il genocidio è delitto espressamente previsto
al primo posto negli Statuti istitutivi dei tribunali internazionali
dell'Aja e di Arusha. In verità - come pure è noto
- la Convenzione del 1948 prevedeva l'istituzione di una Corte speciale
penale internazionale permanente per tutti i delitti di genocidio,
ma la carenza di questa Corte si è determinata per la grave
stasi dovuta alla guerra fredda e agli eventi connessi: tutte difficoltà
che si spera di superare con lo Statuto di Roma, quando questo arriverà
ad esecuzione.
Cari amici e ascoltatori, dal punto di vista giuridico vorrei dirvi
cose ben più analitiche sul crimine di genocidio, al di là
di queste sommarie notazioni, probabilmente inutili; ma non è
questa la sede né il luogo né il tempo, che sento
di dover concedere ad altri. Vorrei solo ricordare una curiosità,
se cosi è lecito chiamarla, che si collega agli Armeni. Riguarda
non il genocidio, il cui nome venne usato, prima della Convenzione
omonima, a quanto risulterebbe, nei primi processi celebrati nel
1945- 1946 a carico di criminali nazisti (ricordo i processi a Greiser,
all'austriaco Goeth, a Rudolf Franz Hoess comandante del campo di
Auschwitz) nella Polonia liberata: nelle relative sentenze ci si
sofferma proprio sul significato di questo sostantivo, forse a causa
del fatto che esso era stato inventato da uno studioso polacco.
Mi riferisco invece all'origine della denominazione di una categoria
più vasta, quella dei crimini contro l'umanità (fondamento
dei processi di Norimberga e di Tokyo e degli Statuti di quelle
Corti), che è diventata poi oggetto di tante altre risoluzioni,
mozioni, convenzioni, leggi nazionali e volumi su volumi. Ebbene,
essa è nata proprio in relazione ai massacri - e alle dimostrazioni
equivalenti a condanne a morte - degli Armeni nell'Impero ottomano.
Nei Trattati di Versailles, di St.Germain-en-Laye, del Trianon,
di Neuilly, rispettivamente di pace con la Germania, con l'Austria,
con l'Ungheria, con la Bulgaria, questa denominazione non figura.
Nel Trattato di Versailles (art. 227), a proposito del processo
progettato contro il Kaiser, si disse che "gli Stati alleati
e associati pongono in stato d'accusa pubblica Guglielmo II di Hohenzollern,
ex-Imperatore di Germania, per offesa suprema contro la morale internazionale
e la sacra autorità dei trattati" (evidentemente ci
si riferiva dl crimine di guerra di aggressione, che forse sarebbe
stato addebitato anche all'Imperatore Francesco Giuseppe se questi
non fosse già de funto). In fondo, in tutti quei trattati
di pace, i crimini addebitati ai paesi vinti erano sempre, sostanzialmente,
i crimini di guerra e i delitti ad essi connessi. Fu solo in occasione
del Trattato di Sèvres con la Turchia che il problema si
pose. Gli Alleati si ricordarono soprattutto sotto 1' influsso del
presidente Wilson, che aveva sposato la causa armena che con una
dichiarazione del 28 maggio 1915 i Governi di Francia, Gran Bretagna
e Russia avevano espresso la condanna contro il massacro delle popolazioni
armene da parte dei Turchi, costituente queste le parole "crimini
contro la civilizzazione e l'umanità", dei quali il
Governo ottomano avrebbe dovuto rispondere. E nel Trattato di Sèvres
(1920) espressero proprio il proposito di punire quei "crimini
contro l'umanità". (Ricordo, per inciso, che davanti
a Tribunali turchi specie a Costantinopoli e a Trebisonda, tra il
1919 il 1920, si svolsero tuttavia alcuni processi, prevalentemente
in contumacia, contro alcuni responsabili di alcuni massacri). Ma
il Trattato di Sèvres - come è noto - diversamente
da tutti gli altri, non ebbe mai esecuzione. I problemi del mondo
sovietico dopo la Rivoluzione bolscevica si affacciavano ormai prepotentemente
all'orizzonte e i Turchi potevano essere contro i relativi pericoli
un utile baluardo. Cosi, deposto Maometto VI nel 1922 e cessato
l'Impero, Mustapha Kemal si mise alacremente all'opera in nome della
nuova Turchia repubblicana e ottenne nel 1923 che il Trattato di
Sèvres fosse sostituito con quello di Losanna. In questo
non si parlava né di nuovi Stati né di territori autonomi
ne, ancor meno, di crimini e di punizioni; e adesso era anzi annessa
una Dichiarazione di amnistia per tutti i crimini commessi tra il
1914 e il 1922. Questa dichiarazione fu inclusa nell'Accordo globale
di Losanna. Realpolitik e connessi oblii cominciavano a dare i loro
frutti di tosco. Forse peccando di ottimismo dirà Armin Wegner,
il grande testimone tedesco del genocidio armeno in una conferenza
tenuta a Milano nel 1968, che "se i responsabili dei massacri
degli Armeni del 1915 fossero stati puniti, non vi sarebbe stato
il genocidio degli Ebrei".
Nel 1945 il Justice Robert Jackson, ispirato dal Dr. Jacob Robinson
(uno degli esperti americani dell'epoca) si ricordò, quanto
meno dal punto di vista lessicale, di quel precedente contenuto
nel Trattato di Sèvres; e nella qualità che allora
rivestiva di Capo del Consiglio dei Pubblici Ministeri degli Stati
Uniti al processo di Norimberga, propose, in un rapporto del 6 giugno
1945 al presidente Truman, la formula "crimini contro l'umanità",
che, pienamente approvata dallo stesso Truman, fu accolta negli
Statuti di Norimberga solo due mesi dopo e poi in quello di Tokyo.
Di qui il legame veramente incontestabile tra i delitti contro l'umanità,
come oggi sono tuttora intesi, e il genocidio degli Armeni.
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