Lettera all'Arch. Vahé Vartanian
Milano, 07 dicembre 2007
Al Gent.mo arch. Vahe Vartanian,
Direttore www.zatik.com
Nota della Redazione: alcuni dei nomi citati in questa lettera sono stati omessi, con il consenso della moglie dell'amico Herman. Il contenuto della stessa è comunque stato scritto dall'autore in piena coscienza. 23.01.2012
Come sta? Oggi è il giorno di S. Ambrogio, e consultando il sito Zatik, mi sono imbattuto in una lettera che proponeva di bandire un concorso per l’installazione di un khatckar in una piazza di Roma.
Conosco bene il problema. Nel lontano 1972 a Milano un gruppo di professori armeno-sovietici, italiani e armeno-americani durante un convegno proposero di asportare ed “esportare” tutti i khatchkar esistenti nell’Armenia sovietica d’allora... Il motivo era che gli armeni della diaspora statunitense ed europea avrebbero pagato fior di quattrini per installarne uno nel proprio giardino, specialmente quelli super-decorativi che si trovano nel cimitero di Giulfa. La mia opposizione al progetto portò il Senior professore armeno-americano presente a dire pubblicamente: “Tanto gli armeni hanno troppi khatchkar!”. Io risposi: “E Bank Of America ha troppi dollari. Mi darebbe qualche banconota?” Successivamente telefonai a Vahe Ochagan e a Ludwig Bazil e iniziammo a mettere insieme un gruppo di intellettuali-artisti che si opponevano al progetto. Non l'avessi mai fatto! Venni emarginato nell’ambito accademico armeno e dintorni. Anche a Milano quando misero su un sedicente Centro Studi armeni di qualità mediocre, si guardarono bene dall'avere rapporti con un “appestato”... Ma i khatchkar dell’Armenia furono salvi. Anzi no, un khatckar riuscì a “scappare”... Un khatchkar che oggi è collocato nel Museo Archeologico di Milano, solo soletto. È triste, è fuori contesto e appare anche abbastanza brutto – a Milano non c’è il sole d’Armenia che esalti i vuoti e i pieni delle decorazioni tipiche di un khatchkar armeno.
Inoltre, nella lettera citata si riferisce che non bisogna commissionare il khatchkar di Roma a uno scultore armeno del Nord Italia. In proposito desidero precisare quanto segue:
1. Sono l’unico scultore armeno-italiano residente in Lombardia – almeno che io sappia - e tale “apostrofamento” è a me diretto. Come anche la pesante affermazione “meglio un concorso che commissionare un’opera all’amico scultore” – che possiede un certo sapore di nepotismo (ovvero di una raccomandazione di bassa lega).
2. Fino alla data di questa lettera nessuno mi si è mai rivolto per un progetto di idee relative all’installazione di un khatchkar in Roma.
3. Sarebbe inoltre scorretto coinvolgere il sottoscritto in tale progetto, perché io sono uno scultore di “piccole dimensioni”, che in Italia non ha mai lavorato in grandi spazi e non ha mai prodotto grandi sculture. L’unico scultore armeno che ha lavorato per grandi spazi è Henrig Bedrossian, abitante a Roma, che ha vinto diversi concorsi ed è pieno di talento. E poi perché solo scultori armeni? Non sarà mica un razzismo alla rovescia?
4. Secondo le leggi italiane un’associazione come Zatik ha facoltà di commissionare a chi preferisce qualsivoglia opera, a suo piacimento e a suo giudizio.
5. Chi è che pagherà i costi del concorso? Il genocidio ha completamente cancellato la ricca – e colta – borghesia e intellighentsia armena. Pretendere un finanziamento dalla borghesia contemporanea sarebbe inopportuno, se non inutile.
6. L’idea del concorso mi sembra, come spesso accade per gli armeni, un mettere i bastoni tra le ruote di un progetto per promuovere qualche “cuginetto”.
Per finire, intendo aggiungere altri due fatti veramente poco incoraggianti.
1. La mostra dell’Oemme Edizioni a Erevan, con una dotazione di 7.568 volumi e 5.000 manifesti, prevedeva che questi dovessero essere venduti e la somma ricavata donata al professor Barseghian, presidente dell’Unione degli architetti di Erevan, per essere utilizzata ai fini del restauro di una piccola chiesa del IX secolo chiusa nel cortile del grande edificio di via Abovian n.3 a Erevan. Ma il professore non ha mai visto un quattrino, e oggi come oggi sui mercatini di Erevan – accanto a merce rubata – si vendevano e si vendono per uno o due dollari il libri donati da Agopik Manoukian, da Ludwig Bazil e dal sottoscritto. La struttura della mostra scomparve a San Pietroburgo durante il “ruba-ruba” che seguì la caduta del Muro. Il responsabile da sempre ha rifiutato di presentare dei rendiconti, dichiarando invece alla stampa russo-sovietica che tutti gli sforzi del lavoro si dovevano a lui.
2. Il secondo disastro fu il libro della collana Documenti di Architettura Armena n. 23, Edcmiatzin. Doveva essere un libro snello, che vendendosi bene dava la possibilità – come era stata progettato da Armen Manoukian – di portare a trenta i libri di quella serie. Per motivi personali io lasciai la casa editrice, consegnando il menabò del libro. Ma esso fu cestinato senza nemmeno informarmi, come avrebbe dovuto avvenire secondo le leggi italiane in materia. Il risultato fu un enorme pesante librone di qualità alquanto scadente, che fece sì che il libro risultasse invendibile, poiché nessun acquirente dei volumi precedenti risultava invogliato a comperarlo. Il fatto contribuì fra l’altro alla cessazione completa dell’attività editoriale di una casa già in crisi per ragioni interne. Tutto ciò venne fatto a mia insaputa.
Mia madre, donandomi la sua “eredità spirituale”, mi aveva avvertito: “Il genocidio armeno? Non solo turchi, ma anche tanti altri. Addirittura la stessa chiesa armena fu complice, per aver introdotto e sviluppato la corruzione, il tradimento e la non cultura. È come togliere un mattone da un edificio per propri fini egoistici e farlo crollare. E in questo modo anche loro hanno contribuito in un certo senso al genocidio”. Mamma fu profetica. Anni fa una mattina entrai nel collegio armeno dei padri Mechitaristi a Venezia. L’edificio al suo interno appariva completamente nudo. Mancavano tutti i mobili e le suppellettili. Qualcuno aveva fatto man bassa. Chi? Forse i turchi? O invece qualche astuto armeno? (si veda la cronaca dell’episodio sulla stampa veneta dell’epoca).
Con un saluto e un buon monumento (ma non ci credo: la diaspora armena è piena di sculture-monumento dedicate al massacro, in forme “massacrate” loro sì da un pessimo gusto e da una generale non cultura, che spesso rasenta la vera e propria pornografia artistica)!
Herman Vahramian
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